Questa ormai sta diventando materia buona per il “nostro” psicologo Matteo Merigo: Bugo e la sua musica, Bugo e la sua arte. Bugo e Morgan, soprattutto. Storia di una (mica tanto dolce) ossessione? Verrebbe da crederlo, perché chi conosce, almeno a spanne, la carriera di Bugo può quasi ciecamente affermare che per il cantautore di Rho c’è stata una lunga fase pre-Sanremo 2020 e una post-Sanremo 2024. Che quella famosa edizione del Festival in cui il buon Bugatti abbandonò il palco dell’Ariston dopo l’attacco in diretta di Morgan, abbia segnato un solco nella parabola artistica di Bugo, questo è sempre stato fuor di dubbio. Che quattro anni dopo ci sia ancora “sotto”, l’abbiamo scoperto definitivamente con “Per fortuna che ci sono io”, primo pezzo dell’omonimo album disponibile dal 15 marzo. Che è un brano piacevole e orecchiabile, per carità, ma affollato da demoni. Uno, in particolare: Morgan.
Ascoltando il brano tornano anche i conti rispetto al recente episodio delle Iene di Mediaset in cui Bugo si è lanciato in uno stringato ma sentito sfogo. Che in fondo altro non era che il teaser perfetto per questo pezzo dal respiro vecchio Britpop. In tv aveva detto: “Una mia canzone è stata distrutta in diretta mondiale. Sono stato insultato da milioni di persone. E la sofferenza generata da quell’evento è stata insopportabile. Una cosa tremenda che ha cambiato la mia vita e quella della mia famiglia. Sì, perché io sono padre di due figli e sono anche figlio. E a volte sono anche una gran testa di caz*o, nel senso che non sono perfetto, ma mi piace affrontare le cose positivamente”. E cosa canta Bugo nel pezzo? “Sono un padre, un figlio, una gran testa di caz*o”. Un pezzo dalla struttura classica in cui si lancia in un ritornello altrettanto classico che rivela la sua voce. Che sarebbe ancora così adatta a follie come “Hasta la schiena siempre” e invece qui prova ad essere pop, come peraltro è già stata in tante altre occasioni (vedi proprio, fra gli altri, l’album del 2020 che seguì la partecipazione sanremese di quell’anno).
“Il brano è la mia reazione a questi ultimi anni. È la prima canzone nata per questo nuovo album: un inno alla vita, un tributo alla forza dell'animo umano – dichiara Bugo –. E continuerò a cantare, a lottare, a vivere ogni istante con tutta l'intensità di cui sono capace. Perché per fortuna che ci sono io, e non smetterò mai di essere me stesso”. Ed è proprio così, eh! Non mente affatto, Bugo. Solo che ascoltarlo così straight e normalizzato mette a noi qualche dubbio esistenziale: dov’è finito il “fantautore” dei primi album? Dov’è finita la sperimentale contorsione di quegli anni? Beh, Bugo ci direbbe che quella versione di sé è ormai lontana e che la sua carriera, dal 2008 circa, l’anno di “Contatti”, dice altro. Però “Per fortuna che ci sono io” è troppo lineare, troppo limpida, troppo figlia di un momento – quel Sanremo 2020 – che sembra accaduto ieri. Noi, invece, avremmo voglia di intravedere il Bugo di domani. E se il Bugo di domani ancora non fosse pronto, andrebbe bene anche quello di ieri l'altro. Basta che abbandoni davvero, per sempre, quel palco dell'Ariston.