Bimbi, il SEO (o la SEO? Non se ne è mai capito il gender) è una bestiaccia infame. Nel titolo di questo report dal live perfetto di Calcutta all'Ippodromo di San Siro, Milano, abbiamo dovuto in qualche modo brutalizzare il nome di "Morgan". Perché indicizza. Perché se no Google penalizza. Eppure, anche per i cinque crani in più che saranno qui a leggere questo report grazie alla potenza del (o della?) SEO, abbiamo da raccontare un concerto perfetto. Che non avrebbe e non ha bisogno di alcun circo per stare in piedi. Calcutta, all'anagrafe Edoardo D'Erme, è un tizio di Latina che arriva sul palco in braghette, berrettino, capelli lerci, occhiali scuri dalle lenti a specchio, sandali aperti. E incanta una massa di persone sudatissime per due ore. Non c'era niente da vedere, ma tutto da sentire. Ascelle comprese. 17 luglio 2024, i token sono sempre il Male Supremo e francamente ci sta sul cazzo parlare di Calcutta in qualità di supereroe del femminismo, oramai pare passi le notti a salvare giovani fanciulle dai mostri sotto al letto. Non ce ne frega parimenti di scrivere di lui perché da quattro anni sta con Angelica Schiatti che ha denunciato Morgan per stalking e diffamazione con processo in partenza a a settembre. Calcutta non ha bisogno di queste cose per farsi ascoltare, Calcutta è un cantautore. L'unico che possa essere definito tale senza provare profondo imbarazzo interiore malcelato. Se vi pare poco, se non vi sembra abbastanza, tenetevi ben stretti i "Rutti" di Morgan.
L'Ippodromo di San Siro è da sempre una location di merda per i concerti. Acustica orrenda, lontano da qualsiasi zona di Milano. L'organizzazione dell'evento ci mette il carico inerpicando il già sudatissimo pubblico in code interminabili, più contorte dello Snake sul Nokia 3310. E, soprattutto, infinite. Mentre marciamo, in ogni senso, hostess distribuiscono cioccolatini. Un'idea luminosa, considerato il caldo porco e la tipica, coriacea consistenza dei cioccolatini. Intravediamo Valerio Lundini in maglietta verde accodato come noi poveri stronzi. Ma magari non era neanche lui. Intorno a noi, un sacco di sosia di Calcutta. Ci siamo proprio persi il momento in cui D'Erme sia diventato un sex symbol. Ma deve essere capitato o non si spiega. Scavalchiamo, la gente ci impreca contro e ha ragione. Ma pure noi non abbiamo torto. L'atmosfera è così mite che sulla maglia di una ragazza con la scritta "Cosa mi manchi a fare" in caps lock leggiamo a colpo d'occhio "Cosa mi minchia a fare". La lingua italiana necessita urgentemente del verbo "minchiare". Rende benissimo l'idea. Di tutto, ogni cosa.
Quando varchiamo le insperate soglie dell'Ippodromo, Angelica Schiatti, in apertura, sta cantando 'Karma'. What else? Con 20 token arraffiamo due cocktail mentre uno dice: "L'ultima volta qui ci ho visto gli Iron Maiden". Il concerto inizia con un improbabile coro degli alpini (qualcosa del genere) registrato che blatera di Sanremo e del mare. Boh. Arriva Calcutta, vestito di merda perché appunto non gliene importa. Molta gente è ancora in coda fuori e grida "Vergogna!". Seguendo le regole della security (Snake Nokia 3310), sono rimasti al di là dei cancelloni e si stanno perdendo l'inizio del live. Imprecano fortissimo. Una cosa comunque molto italiana, in linea generale. D'Erme (che con questo casino non c'entra niente, ovvio) dopo il bis rifarà i primi tre pezzi "perché a quest'ora io contavo già di essere giù a fumare una sigaretta, ma mi hanno detto che qualcuno non è riuscito a entrare subito e mi dispiace". Come non lo perdoni? Pure se, lo ripetiamo, non aveva nessuna responsabilità riguardo al sommo disagio in questione. Castoldi, da casa, tenta malamente di marciarci sopra postando il video dei fan incazzati fuori dall'Ippodromo. Con caption suggestiva, diciamo. Post rimosso. Sarà andato a lavarsi.
Unico appunto possibile è la mancanza delle splendide canzoni che ha scritto per altre. "Se Piovesse il Tuo Nome" (Elisa) e "Io Non Abito al Mare" (Francesca Michielin) erano da fare. Perché "queste cose vorrei dirtele all'orecchio, mentre urlano e mi spingono a un concerto" avrebbe dato un motivo in più alle coppiette per limonare. E agli sventricolati per piangere, tra sudore e zanzare. Per i suddetti sventricolati, comunque, c'è 'Milano' "Io ti giuro che torno a casa e non so di chi", e pure 'Sorriso (Milano Dateo)' perché "Ovunque non ci sei, mi sembra il Colosseo". Senza tetto, tutto forato, un monumento alla disperazione. Però la gente lo guarda e dice che è bello, gli fa pure le foto. Non siamo più abituati a far caso ai testi delle canzoni, la maggior parte degli 'artisti' oggi si mangiano pure le sillabe finali perché hanno fretta di sfornare la prossima hit, circa la dodicesima del mese. Se un cristiano, però, dovesse mai rendersi conto alle parole che mette in fila Calcutta, collasserrebbe sul colpo, stramazzerebbe lì. In memoria di tutti gli amori passati, forse presenti ma di certo non futuri, mai più.
"Vestiti da Sandra che io faccio il tuo Raimondo" ('Del Verde') è un verso che, ad aver avuto il culo d'esser stati ventenni e innamorati quando uscì, quella relazione lì non te la scordi più. Pure se alla fin fine è durata un paio di mesi. Chissenefrega, "preferirei perderti nel bosco che per un posto fisso" è qualcosa. Ed è qualcosa che si può dire soltanto così. Anche quando poi cala il sipario e "Se ti parlo con il cuore chiuso, rispondi tanto per fare". Avete presente, no? Quando riversate tutto il vostro peggio verso una persona a cui di voi, purtroppo, non importa più. Che visualizza e magari risponde, ma come fosse un bot. Non c'è più niente lì per voi, potete scalpitare quanto vi pare, fingervi furiosi, magari esserlo pure, in parte. Non serve. È un dolore comune, spiacevolissimo e senza nome. Che D'Erme ha crocifisso in due versi, l'apertura di 'Orgasmo'. Che cosa gli vuoi dire?
Non stiamo sviolinando il concerto di Calcutta, per altro pure intonatissimo, perché oggi è e viene dipinto come l'eroe contemporaneo contro il patriarcato cattivo. E siamo pure stufi marci della retorica dell'anti-divo che da sempre gli si colora intorno. Non è un divo, non ne ha bisogno con quello che dice e canta. Lo stiamo semplicemente ringraziando perché ha scritto queste cose, come fossero semplicissime da buttar fuori. Uno invece magari campa una vita a non capirle 'ste emozioni del cazzo, spende soldi in terapia, cerca di passarci sopra perché i problemi veri non saranno certo questi. Anche se fa un male cane quando "ho scritto un Vangelo che parla di te, ma ormai è troppo tardi" ('Due Minuti'). "E allora dimmi cosa mi manchi a fare?" resta uno squisito interrogativo senza risposta mentre "Suona una fisarmonica, fiamme nel campo rom, mia madre lo diceva 'Non andare su Youporn per lasciarti andare" ('Gaetano'). Ai concerti di Calcutta non si piange, non davvero, piuttosto ci si riconosce. Tutti insieme. Ventenni, trentenni, quarantenni, cinquantenni. "Tutti falliti, tutti esauriti". Pure lo splendido che "Io l'ultima volta qui ci ho visto gli Iron Maiden" aveva l'occhietto umidiccio, alla fine, brillante, diciamo. Calcutta ha ridato dignità alle canzoni, comprese le canzoni d'amore, che stavano per finire sotto il sole di Riccione. Ha ridato loro una profondità che t'ammazza e ti fa benissimo insieme. A dire che Calcutta fa schifo è rimasto solo Morgan.