Forse vi ricorderete di quando Woody Allen – il film era Il dormiglione – diceva: «Il cervello? È il mio secondo organo preferito!». Tutti ci siamo dati di gomito come scolarette – e forse lo state facendo anche voi adesso, in questa sala – dando per scontato di aver capito quale fosse il primo. Eppure, a ben pensarci, questa prontezza di riflessi è misteriosa. Si sa che l’umorismo trova le scorciatoie più rapinose e imprevedibili attraverso il nostro inconscio, ma a meno di voler credere che tutti i sottintesi debbano essere sempre e solo sessuali, dobbiamo riconoscere che l’associazione tra il fallo e il cervello non è così ovvia. Ancor meno ovvia è l’ipotesi di una proficua cooperazione tra i due organi. Il comico Jerry Seinfeld mise in scena una partita a scacchi tra il suo cervello e il suo pisello: il trionfo dell’uno implicava la resa dell’altro, e viceversa; che agissero di concerto era impensabile. Le cose cambiano un poco, però, se ci mettiamo dal punto di vista di un indiano della tribù Winnebago, radicata nel Wisconsin e nel Nebraska. Consideriamo il personaggio più caratteristico del folklore Winnebago, diventato famoso in tutto il mondo quando Carl Gustav Jung decise di infilarlo nel suo mazzo di archetipi: parlo naturalmente del Briccone divino, meglio noto come trickster. Il Briccone è al tempo stesso un architetto di trame intricatissime e un buffone priapesco, un eroe civilizzatore ricco di ingegno e un arrapatissimo maniaco sessuale. Entrambe le sue qualità, tuttavia, nelle storie dei Winnebago sono rappresentate da un solo simbolo: il fallo. Il fallo del Briccone è il suo luogotenente e il suo messo diplomatico, al punto che a volte è mandato in missione staccato dal corpo del suo proprietario (poi dicono che ambasciator non porta pene). Così ne parla il mitologo Karl Kerényi: «Si noti: il fallo non è certo un rappresentante mal scelto per un essere la cui natura più profonda è appunto questa identità. Il “fallo astuto” e il “fallo stupido” sono espressioni pertinenti del movente delle avventure del briccone». Fin qui Kerényi. Cosa sono il fallo astuto e il fallo stupido? Converrete con me che è difficile figurarsi il quoziente di intelligenza di un fallo, ancora più difficile immaginare di misurarlo, sempre ammesso che in questo campo le dimensioni contino, questione notoriamente controversa. Ad ogni modo, in quelle pagine Kerényi esaminava la figura del Briccone in relazione ai tanti miti, aneddoti e racconti popolari in cui c’è un eroe stupido che fa il furbo o un eroe furbo che si rivela stupido. Concludeva che l’astuzia e la stupidità sono legate nella loro essenza, e che «è impossibile riconoscere dove finisce l’astuzia e dove comincia la stupidità, e quale delle due caratteristiche sia quella originaria». C’è solo un grosso fallo, astuto e stupido insieme.

Scendiamo adesso dall’iperuranio dove albergano gli archetipi per osservare le ultime incarnazioni terrestri del Briccone, così numerose che quasi si fatica a tenerne il conto. La politica è ormai la nuova vocazione del trickster, la sua passion predominante. Quasi non c’è paese in cui non abbia fatto capolino in questi anni un leader tutto astuzia e buffoneria, furbizia e incontinenza sessuale, lingua grossolana e cervello «fino». E badate, anche se ci troviamo alla periferia dell’impero il nostro è un osservatorio privilegiato. Nel giro di pochi lustri l’Italia ha sospinto sulla scena – prima con Berlusconi, poi con Grillo – le due figure di trickster politici che vantano nel mondo più tentativi di imitazione. Noi però non ce ne siamo accorti. Forse la colpa è di Giuseppe Prezzolini, grande etnologo della tribù peninsulare, che nel Codice della vita italiana del 1917 aveva contrapposto i furbi e i fessi come fossero due clan rivali: in Italia, diceva, il fesso è quello che paga il biglietto in ferrovia e dichiara al fisco il suo vero reddito; il furbo ha per segni distintivi la pelliccia, l’automobile e le molte donne. Così autorevolmente fuorviati, abbiamo letto la nostra vita nazionale come una gigantesca «fessofurbomachia», una battaglia in cui l’astuzia ha sempre la meglio sull’onesta fessaggine. Che gigantesco abbaglio. Altro che clan rivali! Avremmo dovuto capire che il fesso qui ama rendersi irriconoscibile sotto una cappa di furbizia machiavellica, e che il furbo marcia volentieri sotto le insegne della fessaggine, magari al grido di «onestà!». Si diceva che in Italia abbiamo messo a punto i prototipi, ma è nei più pragmatici Stati Uniti, come spesso accade, che i trickster politici sono stati perfezionati e prodotti in un formato incomparabilmente più grande. E siccome certi sottintesi non ci sarebbe bisogno di esplicitarli, è solo a beneficio dei fessi come me che farò ad alta voce quel nome: Donald Trump. Ovvero, Berlusconi e Grillo fusi in un unico animale da zoologia fantastica, che non a caso ha conquistato nelle urne sia il Wisconsin sia il Nebraska, le terre del Briccone. Fesso o furbo? I suoi apologeti, tra i quali lui medesimo, ritraggono Trump come un genio, e anche nelle sue sortite apparentemente più demenziali credono di indovinare le mosse di una partita sottile; d’altro canto, per chi apologeta non è, il cumulo di fesserie di questi primi mesi pare impossibile da inquadrare in un qualsiasi piano logico, figuriamoci astuto. Così, mentre riempiamo le colonne dei nostri giornali nel tentativo di sciogliere il dilemma tra il fallo astuto e il fallo stupido del presidente, il Briccone ci prende all’amo e fa le sue scorpacciate. Dopo tutto, nel folklore, la sua più antica invenzione è una trappola per pesci, e il trickster fa affidamento sulla collaborazione delle prede affinché lo aiutino a far scattare la trappola: in breve, ci infiliamo nel suo sacco da soli. Siamo furbi o fessi? Probabilmente entrambe le cose, come lui. E sta qui la nostra sola speranza: il Briccone, ci dicono le storie dei Winnebago, è abbastanza scaltro da costruire trappole, sì, ma non tanto da evitarle lui stesso.
