Chiamatelo sadismo, ma siamo andati a leggere i libri della cinquina finalista al Premio Strega. Capirai, sono tutti libri letti e straletti, in cima alle classifiche di vendita, scritti da autori affermati e premiati: non sarà poi stato uno strazio. Purtroppo, senza scomodare le teorie critiche di chissà quale Adorno o Walter Benjamin, i cinque testi ritenuti degni di fascetta in copertina sono, estratti alla mano, una complicazione della parotite. In altre parole, un’orchite. In altre parole ancora, un ingrossamento dei testicoli. Altro che liquore che strega le parole, come cantava Capossela. Lo Strega bisogna berlo, per trovare un qualche valore letterario nelle opere della cinquina. Banalmente, non bastano le vendite o il successo a decretare la bontà di un'opera, con tutto che dal letame nascono i fiori, che milioni di mosche non possono sbagliarsi e altre amenità di sorta. Elisabetta Rasy, Perduto è questo mare. Titolo balneare, ottimo per l'ombrellone. “Mare scintillante, trasparente”, per citare un pezzo. Oppure: “L’ultimo cane di mio padre, l'ultimo che gli ho visto, si chiamava Gip. Era il cane più brutto che abbia mai conosciuto”. Siamo ancora alle prime pagine, ma l'effetto è quello di un tema da terza liceo. O anche meno, non fosse ci sono alcuni passaggi già postadolescenziali, tipo: “Che cos'era questa notte perpetua che l'avvolgeva? Certo un firmamento senza stelle, qualcosa di tenebroso e inaccessibile che mi faceva paura”. 240 pagine scritte così, forse no.

Paolo Nori, Chiudo la porta e urlo. Dovesse proprio vincere qualcuno tra i cinque, cosa che ineluttabilmente accadrà, il migliore è lui. “La battaglia contro la coglionaggine inizia da se stessi”, declama l'incipit. È divertente, ben scritto, il ritmo c'è. Forse troppo, visto che ciascuna frase è più che stretta, e che ogni capitolo è lungo come un post di Facebook. Dopo due pagine viene in automatico da scrollare col pollice, anziché sfogliare. Michele Ruol, Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia. Un pateticissimo, nel senso letterale, melodramma con risvolti comici involontari. Colpa di un espediente narrativo, che chiama inavvertitamente in causa la Gialappa's. I protagonisti non hanno nomi. Maggiore, Minore, Padre e… “Madre, quando parlava al telefono, era abituata a prendere appunti che poi gettava”. La sfida è non leggerlo senza immaginarsi la voce di Marcello Cesena nei panni di Jean Claude in Sensualità a Corte. E il fatto che il libro parli di genitori che sopravvivono ai figli non fa che complicare le cose, dal punto di vista comico.

Andrea Bajani, L'anniversario. “Non ho mai scritto di mia madre. Non ho mai pensato che di lei valesse la pena parlare, né in fondo l'ho mai fatto con nessuno”. Cosa l'abbia spinto a farlo adesso, viene da chiederselo, visto che del suo corpo trattiene “solo indizi verbali, e una gamba appena più sottile tra il ginocchio e il malleolo”. Se l'inizio è questo, come andare oltre? Va bene, l'intento è quello di ammorbare l'incauto lettore con l'anatomia della mamma, ma allora meglio andare a leggersi Portnoy di Philip Roth, nella nuova traduzione di Codignola: “Ce l'avevo talmente conficcata in testa, mia madre, che per l'intero primo anno di scuola non riuscivo a non pensare che tutte le maestre fossero lei, travestita”. Nadia Terranova, Quello che so di te. Di nuovo, la madre. O meglio, la madre della madre della madre. Una madre al cubo, o bisnonna che sia. E va bene il tema della pazzia e dei manicomi, che non tutti hanno la pazienza di leggersi la Storia della Follia di Michel Foucault, ma siamo sicuri di voler leggere una roba del genere? “Una dopo l'altra, alle donne che hanno frequentato il corso preparto con me sono tornate le mestruazioni. È l'unica domanda che faccio nel gruppo in cui ci scambiamo ancora messaggi: a voi è tornato il ciclo?”. Chiudiamo subito il volume, prima di ritrovarci a leggere una chat di genitori delle elementari. A voler essere massimalisti, ci si potrebbe interrogare sul significato intrinseco di un premio letterario, o sul perché di tutti questi libri in prima persona o sui patemi di famiglia, ma il mercato è come il ciuccio: a lavargli la testa ci si perdono tempo, acqua e sapone.
