Nessuno di noi ha la palla di vetro. Attenzione, lo dico per gli analfabeti funzionali che saranno arrivati qui attratti dal titolo, poi gli altri capiranno perché, dire “nessuno di noi ha la palla di vetro” è far ricorso a un modo di dire, non va preso alla lettera, magari voi avete una palla di vetro, magari anche più di una, ma nel dire “nessuno di noi ha la palla di vetro” si intende “nessuno di noi ha certezze riguardo al futuro, specie riguardo faccende che siano per loro natura frutto di dinamiche difficilmente prevedibili”. No, vabbè, facciamo finta di niente. Nessuno di noi ha la palla di vetro, quindi potrebbe essere, è probabile, che già tra qualche giorno tutto tornerà come prima, le macchine, gli ingranaggi, il tritatutto elevato a modus vivendi, ma è indubbio che in questi giorni si stia facendo un gran parlare del rapporto insano tra discografia e fragilità mentale. Nello specifico, complici le vicende personali e ora pubbliche di Sangiovanni e Mr Rain, il primo ad annunciare il suo ritiro, con conseguente slittamento a data da destinarsi del prossimo album e del prossimo tour, atteso a breve dopo il passaggio sanremese, il secondo ad annunciare uno stop di un paio d’anni dopo il prossimo tour, annuncio fatto durante la presentazione del suo nuovo album, Il pianeta di Miller, appena uscito, nello specifico, quindi, complici le vicende personali e ora pubbliche di Sangiovanni e Mr Rain, due artisti molto amati dal pubblico della Gen Z, volendo anche della Gen Alpha, si è evidenziato come il sistema che pretende che si sia sempre sul pezzo, un singolo via l’altro, senza pause, un tour via l’altro, senza aver prima consolidato le spalle, quelle metaforiche, certo, ma anche quelle fisiche, rischi di portarci prima o poi alla tragedia, in questo le parole di Ghemon, che intervenuto sui social a riguardo ha citato Luigi Tenco sono state anche troppo chiare. Ora se ne parla, il che è un bene, perché evidenziare come il sistema sia storto, e come ci siano anche nomi di successo che a un certo punto pretendono giustamente di sfilarsene, facendo una pausa non può che essere guardato, specie da chi è adulto, con un plauso, magari anche con un abbraccio, anche lì, metaforico e non.
Che la famosa regoletta imposta da Daniel Ek, Ceo di Spotify, che vuole gli artisti a tirare fuori una canzone al mese, per esserci e fare traffico, sia qualcosa di aberrane, sia perché pretende uno stare sempre attivi, come gli squali che non smettono mai di nuotare, anche quando dormono, sia perché con l’arte, eh già, la musica sarebbe una forma d’arte, signori miei, nulla può avere a che fare, ecco, che la famosa regoletta imposta da Daniel Ek, Ceo di Spotify, sia qualcosa di aberrante è un dato di fatto incontrovertibile. Qualcosa cui guardare con sdegno, volendo, io già lo faccio, praticando anche una forma di boicottaggio, anche perché a tutto questo corrisponde un trattamento economico di detti artisti pari a “stocazzo”, sfruttati e malpagati, quindi. Che però questa vicenda, che appunto sta aprendo un dibattito, sia tra addetti ai lavori, sia tra l’opinione pubblica, stia sortendo le altrettanto solite storture di interpretazione e anche di commento, è altrettanto aberrante, e qui veniamo agli amici analfabeti funzionali di cui sopra, che per altro mi auguro, anche a causa del mio spinto utilizzo di relative, a questo punto non siano più tra noi. A fronte dei tanti che hanno condiviso le notizie relative prima a Sangiovanni, poi Mr Rain, in mezzo le dichiarazioni di Ghemon, a volte anche infarcite con altri esempi arrivati da fuori, penso a Justin Bieber, per fare un nome eclatante, chi sottolineando solo gli aspetti strutturali, il sistema è impietoso e trita questi giovani artisti, chi anche quello umano, le nuove generazioni, magari complice anche il Covid che li ha tenuti fermi al palo mentre sarebbero dovuti andare, lo dico a qualche amico analfabeta funzionale che sia miracolosamente arrivato fin qui, sto per usare un’altra figura retorica, un modo di dire che non va preso alla lettera, le nuove generazioni, magari complice anche il covid che li ha tenuti fermi al palo mentre sarebbero dovuti andare in giro per il mondo a mangiarsi la vita (qui di figure ce ne sono addirittura due, attenzione attenzione), a fronte, quindi, di chi si è giustamente allarmato e dispiaciuto, e ha provato a far sì che per una volta, in questa epoca oscura e frammentata di una notizia via l’altra, senza lasciare traccia, si aprisse dibattito, serio, c’è chi ha più o meno palesemente gioito. E nel farlo ha usato due modalità tipiche di questi tempi, entrambe avvilenti. Da una parte ha giocato la carta del black humor, ma proprio all’acqua di rose, gioendo per le disgrazie altrui rovesciando però la faccenda, come dire, una disgrazia altrui che porta un beneficio a tutti non è poi da guardare così male.
La gioia altrui, ca va sans dire, sarebbe il fatto che gente come Sangiovanni e Mr Rain non faranno prossimamente più musica, pensa che piccinerie. Dall’altra si è provato a alzare il tiro, stiamo parlando di nani che provano a mettersi sulle punte dei piedi, sottolineando come loro, chi ne ha parlato sui social, e dove se no?, lo avevano sempre detto che il sistema era marcio, fallato, orribile, e che questi poveri giovani, i Sangiovanni e Mr Rain, altro non erano che la carne da macello che quel sistema prevedeva come benzina per far muovere il proprio motore (nessuno ha usato questa metafora della benzina e del motore, troppo complessa per tali ragionamenti). Fin qui, uno potrebbe dire, tutto bene, non fosse che però chi ha fatto tali ragionamenti novantanove volte su cento, è andato poi a parare là dove era ovvio, cioè che in realtà il tutto era frutto di un sistema che lasciava loro, quelli che commentavano, a bordo campo, nonostante il loro indubbio talento, dando spazio a quei giovani incapaci, triturandoli pure. Per intendersi, chi è lì a indicare con sdegno quanto capitato a Sangiovanni e Mr Rain, il sistema discografico malato a vestire i panni del carnefice, indica l’autotune in buona parte dei post, il fare hit di plastica su hit di plastica, tradendo in realtà non tanto un moto di empatia nei confronti di tali artisti, quanto piuttosto verso loro stessi, tenuti a margine da detto sistema, si suppone, per fare largo a questi artisti da autotune e hit di plastica. Come se ci fossero delle caselle da occupare, limitate, e quelle caselle, occupate indebitamente da artisti inesistenti, questo il loro pensiero, per di più anche fragili, non fossero appunto lasciato libere per loro, artisti veri, senza autotune e con un repertorio, ovviamente quasi sempre ipotetico, di tutt’altra levatura.
Ora, facendo la tara a quel che succede nei social, perché è come voler prendere sul serio i commenti che si sentono al supermercato mentre si è in fila alla cassa, o, tanto per citare un grande classico, quel che si dice in tarda serata al bar, già qualche giro di sambuca di troppo andato a buon fine, è evidente che i posti lasciati liberi, momentaneamente, si spera se è questo ciò che vorranno, da Sangiovanni e Mr Rain, non verranno mai occupati da quanti sbraitano scomposti sui social. Perché non è affatto vero, quasi mai, che sono a margine perché qualcun altro occupa immeritatamente il loro posto, e perché, anche fosse, non è certo per la defezione di qualcuno che nel sistema occupava un posto che cambierà qualcosa, hit di plastica o non hit di plastica, autotune o non autotune. A Sanremo ho avuto modo di incontrare entrambi questi artisti, che per essere chiari di questo film vestirebbero i panni degli attori non protagonisti. Con Sangiovanni credo di aver passato più tempo di qualsiasi altro critico musicale, dal momento che è stato il primo ospite dei miei A pranzo con Monina, tra tutto quasi un’ora, mentre con Mr Rain ho passato qualche minuto in compagnia anche di mia figlia Luccioola, in una puntata di Bestiario Pop. Con entrambi si è parlato proprio di pressioni, Sangiovanni palesemente provato, io pensavo più per lo stress del momento, Sanremo è una sorta di frullatore, con Mr Rain, andatevelo a vedere, si è parlato proprio del peso di farsi carico del dolore degli altri, situazione che si è trovato a vivere dopo il successo esplosivo di Supereroe, l’anno scorso, dolore che ha poi provato a convogliare in Due altalene, brano in gara quest’anno. Non sono uno psicologo, affatto, sono però un padre di famiglia, e in entrambi i casi vedere quella sofferenza mi ha colpito, al punto, appunto, di andare a chiedere esplicitamente a Mr Rain come facesse a sopportare tutto questo. Vedere, oggi, che si sente (magari lo è) artista e rivendica uno spazio che un sistema a suo dire sbagliato gli ha ingiustamente negato invece di empatizzare è lì a muoversi agitato per provare a farsi largo mi lascia abbastanza basito, se non addirittura infastidito, al punto da entrare a gamba tesa su tali comportamenti. Chiaro che il sistema è sbagliato, sia nei confronti di chi innalza, illude e spreme, sia nei confronti di chi emargina, senza offrire magari quelle occasioni che potrebbero aprire a carriere anche importanti, ma vedere nelle cadute degli altri una propria occasione c’è molto poco di artistico, quanto piuttosto da meschino. Di chi invece ridacchia, magari supponendo pure che sia tutta una mossa di marketing, il cosiddetto marketing del dolore, preferisco non dire, perché, anche lì, pure fosse, non parlo di Sangiovanni e Mr Rain o di loro nello specifico, non vedo come una vicenda che comunque poggia le proprie fondamenta sulla fragilità di chi si sta affacciando al mondo ora possa dar adito a risatine, invece che a allarmata preoccupazione. Sia come sia il sistema, che era tale già in passato, il Tenco cui Ghemon faceva riferimento nel suo stracondiviso post, si è sparato nel 1967, non esattamente l’altro ieri, è marcio, i giovani artisti costretti a spremersi o lasciarsi spremere, finché in loro non resta una sola stilla di vita, sono carne da macello, chi intorno si aggira più o meno famelico resterà comunque intorno, affamato e anche con un’aura di mestizia intorno. Lunga vita, artistica e non, ai giovani, lunga vita al pop.
PS Nessun analfabeta funzionale è stato maltrattato in questo testo, e se anche fosse successo, pazienza, se l’era andata a cercare.