Un anno fa, di questi giorni, Mr. Rain si presentava alla stampa mainstream, che per intendersi è quella che si occupa di musica solo quando arriva il Festival di Sanremo e una volta finito Sanremo smette di occuparsene, quindi è un po’ il corrispettivo di chi segue il calcio solo durante i Mondiali ma pretende di saperne più del commissario tecnico che ai Mondiali ci ha portato (nel caso dell’Italia ultimamente non ci ha portato) la squadra. Nel suo presentarsi alla stampa mainstream, lui che comunque è già in circolazione da un po’, titolare di un rap/urban intimista, esistenziale, mica per caso dichiara sin dal nome di riuscire a scrivere solo durante i giorni di pioggia, ultimamente praticamente mai, parlava del suo brano, Supereroi, dicendo come fosse un suo modo per condividere con gli altri, il pubblico, compreso quello mainstream che segue Sanremo, quello che un tempo veniva chiamato male di vivere, e che oggi viene giustamente indicato come depressione. Una sorta di terapia pubblica, certo, ma anche un modo per provare a togliere lo stigma verso una malattia che negli ultimi tempi, magari complice anche il periodo della pandemia, si è molto diffusa. La canzone, Supereroi, lì in quel della riviera ligure, ha fatto quello che tecnicamente si dice “il botto”, andando non solo a piazzarsi terza dietro due canzoni-colosso come la vincente Due vite di Marco Mengoni, entrato papa e uscito papa da quella kermesse, e Cenere di Lazza, decisamente una delle tante sorprese dell’edizione del Festival 2023. Sopra Alba di Ultimo, uno che invece era arrivato in riviera papa e che se n’è tornato in qualche modo prelato semplice, e sopra l’altra sorpresa assoluta Tananai, con la sua Tango. Supereroi, e arrivo all’oggi, si è piazzata terza anche a fine anno, nella classifica dei singoli Fimi, mentre i primi due piazzati si sono ritrovati a posizioni invertite, a riprova che la canzone è davvero entrata nell’immaginario collettivo, con le sue immagini poetiche, anche un po’ spicce, come l’angelo con un’ala sola, col suo coro di bambini, quell’incedere vagamente, neanche troppo vagamente, da canzone da chiesa. Canzone che in effetti in chiesa c’è finita davvero, inclusa d’ufficio nei canti da messa, per quella capacità tutta propria dei cattolici di aggiornarsi in tempo reale sulle frequenze del mondo intorno.
Mr. Rain torna a Sanremo, e questa non è una notizia, o almeno non lo è più dal 3 dicembre, quando Amadeus ha dato la lista dei nomi al Tg1 delle 13:30. Al momento, alle 13:30 del 3 dicembre, sentire il suo nome, un po’ ci si è sorpresi, perché in questa nuova modalità di intendere il Festival, tutta amadeusiana, con tutti i big che fanno la gara per esserci, vedere per due volte di fila un campione, di questo si tratta, tornare sul luogo del crimine, sorprende, come se un brano come Supereroi necessitasse una qualche conferma, e perché, in fondo, proprio per questa corsa di campioni lì a contendersi un podio sì allargato a cinque, sempre che anche quest’anno la faccenda andrà così, ma con trenta ipotetici pretendenti. Il rischio di andare a fare peggio dell’anno scorso, quando non solo ha fatto benissimo, ma ha anche indubbiamente sorpreso un po’ tutti, andando a raccogliere più di quanto era prevedibile, potrebbe sembrare un azzardo. Il brano, ascoltato fugacemente il 15 dicembre negli studi che furono di Fabio Fazio in Rai, trenta ascolti in poco più di due ore, pur in assenza di coro di bambini, una mossa che per quanto paracula ha indubbiamente portato a casa il risultato sperato, sembra perfettamente in linea con quanto ci si può aspettare ora da Mr. Rain: malinconia, poesia spiccia, cantato e rappato, e anche se stavolta si parla di dolore, poi vediamo di quale. Mr. Rain ha incontrato la stampa a Milano, e incontrare chiunque a Milano era una specie di sfida degna di un Tom Cruise d’annata, missione impossibile, complice l’ennesimo sciopero dei mezzi pubblici. Sono giorni convulsi questi. Parlo di quel tipo di convulsione che si muove sgangherata e festosa intorno al Festival, e capisco che nel dirlo mi copro di ridicolo, perché non stiamo parlando di emergenze climatiche o di guerre, ma è anche pur vero che negli ultimi anni il Festival, per merito e colpa di Amadeus, si è fagocitato il mercato discografico, o lo ha inglobato, o ne è stato assuefatto, a voi la sentenza, per cui chi scrive di musica dovrebbe in genere togliersi di dosso un bello strato di spocchia, seppur la spocchia sia uno smalto permanente, difficile da levare senza rimanere sprovvisti di unghie, e affrontarlo anche con un minimo di affetto.
In fondo sono, come direbbe proprio quell’Ultimo che l’anno scorso si è trovato davanti il ragazzo Mr. Rain, oltre che i ragazzi Lazza e Mengoni, gli unici giorni in cui la musica (lui parlava di chi scrive di musica, i giornalisti della Sala Stampa nello specifico) conta un caz*o, meglio goderseli per quel che sono. Sono giorni convulsi, quindi, e il fatto di essere tornato a incontrare la stampa pur senza bisogno di presentazioni tradisce un atteggiamento ancora umile, raro di questi tempi, e anche la volontà di confrontarsi coi media, spesso guardati quasi con schifo, se non con sospetto dalle nuove generazioni, consapevoli che hanno a disposizione “un ditino e il telefonino”, per dirla col poeta, con cui fare tutto quel che serve per comunicare alle masse. Credo che uno sforzo del genere, questi sono giorni convulsi per noi che scriviamo di Sanremo, figuriamoci per chi a Sanremo ci va a cantare. Con tutto quel che ci sarà da fare, credo che ricambiare la cortesia sia quantomeno doveroso. Mentre lo dico, lo so, ci sarà uno stuolo di ditini pronti a vergare sui social commenti nei miei confronti che suonano come “non sei più quello di una volta”, “invecchiando stai diventando troppo buono”, “ormai ti sei rincoglionito”. Giusto a scanso di equivoci, anche se lì stavo piuttosto giocando, complice l’assurdità di dover ascoltare le canzoni di Sanremo per la prima volta in quelle condizioni scomode e poco utili, nel vergare di mio pugno i commenti su quei preascolti ho dichiarato, consapevolmente e con un certo orgoglio, che sentire Mr. Rain, quella canzone di Mr. Rain, quella che andrete a ascoltare il 6 febbraio, visto che sono in trenta e la puntata finirà alle prime luci dell’alba forse anche il 7, vallo a sapere, mi induceva alla violenza. L’ho ascoltata e mi sono innervosito, al punto che sarei voluto scendere e picchiare qualcuno. L’immagine dello scendere era dovuta al fatto che mi trovavo come sempre in ultima fila nelle gradinate, per nulla volenteroso, e anche necessitante, di farmi vedere da Amadeus o chicchessia, e anche dovuta al fatto che nelle prime file, invece, c’è sempre chi sta lì per farsi vedere, appunto, quelli che in altri contesti ho spesso bollato come gli “Amici a quattro zampe”.
Era una sensazione, certo, non certo una reazione pavloviana, e mi rendo conto che nei fatti fuori da quel contesto nervosismo e violenza poco si addicono a una qualsiasi canzone sanremese, men che meno a quella di Mr. Rain, che invece è portatore sano di buoni sentimenti. Sono una brutta persona, verrebbe da dire, ma mi sono fatto quattro chilometri a piedi per venire qui, abbiate almeno un minimo di rispetto per me e quel ditino, se proprio non potete tenerlo a bada, sapete dove dovreste andare a infilarlo (nel pezzo dei preascolti indicavo esattamente la posizione per Google Maps, lo trovate qui). Allora, Mr. Rain a Sanremo 2024. Dopo l'angelo con l'ala sola, che tenendosi per mano con un altro angelo ne fa due con due ali, quindi capaci di volare, ecco il nuovo brano Due altalene. Mr. Rain, al secolo Mattia, seduto appunto su una altalena caduta dal cielo della zona palco di quel gioiello che risponde al nome di Teatro Gerolamo, di altalene ovviamente ne son cadute due, ci racconta subito di come quest'anno sia stato per lui incredibile. Ancora prima che iniziasse a parlare già Francesco Facchinetti, il suo manager, lo aveva sottolineato, e un video riassuntivo di Sanremo, concerti, incontri col pubblico e tappa del Forum di Milano ben lo ha descritto. In questo anno, ha detto Mr. Rain, ha avuto modo non solo di farsi un sacco di selfie coi suoi fan, ma di sentire le loro storie. Attraverso lettere, messaggi, incontri di persona, migliaia e migliaia di storie di fragilità e dolori, e di ripartenze. Una in particolare, la storia di un padre che ha perso due bambini, le due altalene del titolo, lo ha ispirato per scrivere questa canzone così intensa. Una canzone che in realtà non racconta nello specifico solo quella storia lì, ma che da lì parte per raccontare un dolore e una speranza. Per tutto l'incontro con la stampa Mattia sarà sempre così, timidamente ottimista, volenteroso di far trapelare la fortuna di aver potuto incontrare così tanta gente, così tanto affetto. Ci ha raccontato di come quello che è successo in Italia a partire da Sanremo ora sta capitando in Spagna, dove la canzone Superheroes è quinta in radio, sottolineando come l'atteggiamento del mondo dello spettacolo in Spagna sia assai migliore di quello in Italia, senza però andare a fare nomi di chi da noi avrebbe atteggiamenti spocchiosi. Ha provato, sempre timidamente, a dirci come le emozioni ricevute lo abbiano fortificato, e di come si sia sentito in dovere di lanciare un messaggio positivo, sentendo su di sé una responsabilità nei confronti del suo pubblico, fatto che ha dato il via alle solite domande sui cattivi esempi di alcuni suoi colleghi. Io, personalmente, ho chiesto come e dove trovasse la forza per sopportare il carico di dolore degli altri, lui che l'anno scorso si presentava a Sanremo con una canzone che parlava appunto di depressione e di come solo l'aiuto di chi aveva intorno lo aveva aiutato a superare quelle fasi oscure. La risposta è stata proprio in quel senso del dovere, di rendere al pubblico il tanto ricevuto, di condividere quindi non solo le fragilità ma anche le speranze. Ho anche chiesto se si incaz*asse mai, perché anche a vederlo Mr. Rain è come le sue canzoni, palesemente placido, e a risposta esplicita, “ora mi vedi così, ma un tempo ero una testa calda”, non ho potuto rispondere che con un “bene, allora ti aspetto fuori”, contando sul mio aspetto da Wolverine, più basso e più grasso di Hugh Jackman, ma comunque gagliardo.
Mr. Rain ci ha raccontato quel che poteva, surfando sulle domande che chiedevano di come avrebbe portato il brano sul palco. Lì ha negato di replicare il coro di bambini, respingendo al mittente le accuse di paraculismo mosse da un collega, quelle che chiedevano del video come quelle che chiedevano della cover, dove ha semplicemente detto di averla trovata finalmente solo domenica, dopo una intensa sessione in studio col maestro Melozzi, una canzone super sorprendente, ha chiosato. Ha parlato a più riprese di Spagna, dicendo che molto deve alla collaborazione col fido Lorenzo Vizzini, che con lui ha firmato il brano, e raccontandoci come stia studiando spagnolo nelle pause di tempo, puntando evidentemente molto su quel mercato, che vedrà in effetti la pubblicazione del suo nuovo album, in Italia è prevista a marzo, ma anche qui nulla di più ci ha raccontato, a parte che sarà molto diverso dagli altri, più sperimentale, ma niente titolo e niente data precisa. L'ansia, ha poi sottolineato, è ancora tanta, anche se ovviamente è un ritorno, con aspettative forse più alte, il terzo posto dell'anno scorso è lì, ma anche con la consapevolezza che più in alto del terzo posto ci sono solo due posizioni. Forse proprio per la presenza nel cast di così tanti suoi amici, da Annalisa a Fred De Palma, passando per Sangiovanni e tanti altri, davvero non riesce a vedere al Festival come a una gara. A sentirlo parlare, confesso, il nervosismo provato agli ascolti mi è passato del tutto, perché un po' di sano atteggiamento positivo, oggi come oggi, non può che essere visto con benevolenza. Specie se affiancato a un evidente talento nella scrittura e anche nella comunicazione: trovare le parole adatte per veicolare un messaggio di massa è cosa per pochi, provare per credere. Finito l'incontro stampa alcuni colleghi sono saliti al secondo piano del Teatro Gerolamo per un rinfresco, altri sono rimasti in platea per scambiare qualche chiacchiera singola con Mr. Rain, io ho imboccato la porta, perché ogni promessa è un debito. Ho aspettato un po' invano, poi sono tornato a casa a scrivere queste parole. Tornando a casa mi è venuto in mente un vecchio racconto di Raymond Carver, Una cosa piccola ma buona, contenuto nella raccolta Cattedrale e poi finita in quel gioiello di cinema che risponde al titolo di America Oggi, diretto da Robert Altman, con il cantautore Lyle Lovett nei panni del protagonista. Un modo tutto carveriano di raccontare il dolore, quel racconto, che parlava appunto di genitori che perdono un figlio. Il protagonista è il pasticcere che aveva fatto la torta per il compleanno che i genitori non erano poi andati a prendere, ovviamente, e racconta di come si fosse imputato per farsi pagare, ignaro di quel che fosse capitato loro, fino al momento che ha dato un senso al titolo, che non vi spoilero perché dovete assolutamente andarvelo a recuperare e leggere. Mr. Rain non è Raymond Carver: fa il cantautore, non lo scrittore. La musica, per quanto si possa giocare a togliere invece che a mettere, non sempre riesce a essere minimale, ma Due altalene ha quel medesimo senso di calore, quella voglia di farsi in qualche modo consolatori, e comunque di indicare una luce anche flebile da qualche parte, cui attaccarsi per risalire. Musica leggera, quindi, non solo in quanto pop, ma proprio per quello scopo che si prefigge di togilere pesi dal cuore.