La stand-up comedy in Italia? "Il mercato è saturo, c'è troppa omologazione". Serve studiare per salire su un palco con il microfono o basta avere qualcosa da dire? "Ci sono comici che sostengono che il teatro è inutile, per me è una aberrazione". Giorgio Montanini è tornato e sembra aver rimesso in chiaro le gerarchie? "Gli voglio bene, ma non esistono né re né imperatori nel nostro mondo". Non è facile mettere spalle al muro Chiara Becchimanzi, che già nella sintesi della biografia ha parecchie frecce al proprio arco: "Attrice, autrice, regista, speaker radiofonica, romanziera, stand-up comedian, traslochi, sgomberi, l’arrotino e l’ombrellaio”. E assicura che anche gli ultimi lavori segnati non sono frutto della fantasia: "Nelle tournée internazionali montavamo e smontavo strutture pesanti, so cos’è il lavoro manuale". L'abbiamo intervistata perché è in tour con un nuovo spettacolo, Terapie live. Una trilogia per tutti gli stadi del disagio, che porterà in giro da nord a sud dell'Italia, da ottobre 2024 a giugno 2025, esplorando il rapporto tra performance comica e psicoterapia. Ma c'è anche un altro aspetto che ci ha incuriosito, e cioè la sua partecipazione come ospite a DiMartedì, il talk condotto da Giovanni Floris, dove si confronta (e spesso litiga) con politici di centrodestra. Che cosa c'entra una stand-up comedian con Italo Bocchino? Chiara ci ha spiegato che, in fondo, i due mestieri nella realtà non sono più così distanti: "I politici degli attori? Sono allenatissimi a non ascoltare. Partono con i loro slogan preimpostati e non entrano mai nel merito. Sono l'emblema di una destra politica che è diventata un insulto all'intelligenza". E meno male che dovrà rivederli in studio: "Fuori dalle telecamere sono gentili, ma quando si accendono le luci cambiano radicalmente e si trasformano in soldatini di Meloni comandante”.
Nei tuoi spettacoli affronti spesso temi delicati come la sessualità e la salute mentale. Hai sempre unito satira e impegno civile o è una esigenza che si è sviluppata in seguito?
È qualcosa che è sempre stato presente in varie forme nei miei lavori, anche se non ho cominciato subito con i monologhi. Ho iniziato con opere teatrali più corali dopo essere uscita dall'Accademia. Ho fondato una compagnia teatrale, ho scritto opere che poi ho diretto e tutte con uno sfondo di satira sociale, politica o di costume.
Quindi forse è una urgenza che hai sempre sentito, al di là della forma.
Credo che ognuno di noi abbia un’urgenza quando fa qualsiasi cosa. Anche dietro questo mestiere c'è un'urgenza. La mia è l'arroganza, un po' tracotante, di pensare di poter cambiare qualcosa nelle persone che vedono ciò che propongo. Cambiare può significare far nascere anche solo un pensiero, far fermare qualcuno a riflettere su quello che ha visto. Faccio questo con un intento preciso, altrimenti non lo farei. Lo dico anche ai miei allievi quando insegno stand-up comedy: ogni urgenza è rispettabile. Se qualcuno ha l'urgenza di diventare famoso, farà dei pezzi per diventare famoso. Se io ho l'urgenza di cambiare il mondo, devo fare dei pezzi che possono cambiarlo. Non che ci riesca sempre, ma questa è l'anima della mia vita.
Nella tua biografia leggo: “Attrice, autrice, regista, speaker radiofonica, romanziera, stand-up comedian, traslochi, sgomberi, l’arrotino e l’ombrellaio”. Sei versatile.
Questo, in parte, è dovuto alla precarietà endemica della nostra generazione. La precarietà può anche essere una ricchezza, perché ci ha insegnato ad atterrare in piedi persino se ci rompiamo un menisco. Essere abituati a cambiare e ad essere elastica rispetto a ciò che mi accade è fondamentale.
Ma quindi hai frequentato davvero lavori manuali?
Certo, come i traslochi e gli sgomberi. E li ho fatti perché, venendo dal mondo del teatro, là ci si costruisce tutto da soli. Ho passato sette anni di tournée internazionale con una compagnia che si occupa di teatro urbano. Quella esperienza, con le sue performance fisiche e acrobatiche, ha arricchito il mio percorso. Montavamo e smontavamo strutture pesanti, quindi so cosa significa viaggiare in contesti internazionali, dove l’arte dà emozioni più forti rispetto a all’Italia, così come so cos’è il lavoro manuale per allestire gli spettacoli. Tutto questo mi ha disciplina a un profondo senso di coralità. Costruire qualcosa insieme ad altri, affrontare le difficoltà e le notti insonni. Per me, oltre al talento, la competenza è fondamentale.
Infatti sei diplomata al Liceo Classico Dante Alighieri di Latina, hai una laurea magistrale in Antropologia teatrale a La Sapienza, con diploma triennale all’Accademia Internazionale di Teatro a Roma, un master in Università Cattolica e hai frequentato un corso executive per autori televisivi con Banijay Italia. Insomma, arrivi alla stand-up ma non pensando che bastasse prendere in mano un microfono e salire su un palco.
Spesso i principianti vedono solamente quando qualcuno sale sul palco e pensano che la naturalezza sia qualcosa di innato, ma in realtà è una skill che si impara. Molti credono che basti dire ciò che gli passa per la mente, ma la verità è che nulla è veramente nuovo. Si tratta invece di riciclare idee. L'importante non è solo cosa dici, ma come lo dici. Il tuo stile e il tuo punto di vista sono ciò che ti rendono unico. È fondamentale studiare, conoscere il mondo e le dinamiche in gioco. Altrimenti, quando si esauriscono le idee, rischi di trovarti bloccato.
Anche perché oggi la strada della stand-up sembrano provarla davvero tutti…
Assolutamente, in questo momento il mercato è saturo. Per fortuna siamo tanti, ma c'è un certo appiattimento nei contenuti veicolati dalla stand-up in Italia. Tutti stanno provando a passare da questo percorso e siamo arrivati a una sorta di omologazione.
Un po’ come la trap, dopo la sua esplosione tutti hanno provato a cavalcarla.
Esattamente! Da un lato la stand-up si sta diffondendo, ma dall'altro non è che i teatri si riempiano solo grazie alla stand-up. Gli abbonati vanno ancora a vedere il teatro classico, quel mercato solido ancora esiste. La stand-up è un fenomeno di nicchia e di rottura, e quando perde queste caratteristiche diventa pop. Che non è necessariamente negativo, certo è qualcosa di molto diverso dalle sue origini. Così ci sono principianti che accettano di esibirsi per 50 euro in una serata e rovinano il mercato. Siamo in una fase di passaggio.
Non sarà già finita la rivoluzione della stand-up in Italia?
Io ho molta fiducia di no. Negli anni diversi colleghi, in particolare maschi, hanno portato avanti un certo tipo di mentalità parlando di purismo nella stand-up. Ma io credo che il purismo uccida l'arte. La vera distinzione è tra ciò che funziona e ciò che non funziona. Per questo non mi definisco solo una stand-up comedian. Il mio spettacolo mescola varie tecniche e stili.
In fondo dove è nata la stand-up, cioè in America, sono molti gli artisti entrati e usciti per passare al teatro, al cinema e nella tv. Penso a Robin Williams o a Jim Carrey, tra i più famosi.
Pensa che invece in Italia esistono comici che dicono ai propri allievi che il teatro non serve a fare stand-up. Per me invece è un’aberrazione. Anche perché non è assolutamente vero!
Dopo aver trascorso un periodo di eccessi, culminato in un coma di 40 giorni, è riapparso Montanini e a Tintoria sembra aver ribadito che “Re Giorgio” è tornato, come diceva spesso in passato. Nell’ambiente è forte la competizione, oppure sono provocazioni?
Personalmente sono distante da questo tipo di competitività, che mi sembra una guerra tra poveri. Giorgio è Giorgio e io sono io. Non siamo sulla stessa strada, ne percorriamo di diverse. Nel tempo ho capito che è l'unico modo sano di prendere questo lavoro. Giorgio è un collega che stimo molto e vederlo riprendere il controllo della situazione è stata una gioia. Lui ha una capacità enorme di analizzare la realtà, estremamente lucida, e riesce a farmi ridere anche quando non sono d'accordo. Ma non esistono imperatori o re nel nostro mondo, anche se lui ci arriva vicino.
Potrebbe fargli bene partecipare a uno dei tuoi spettacoli, visto che sei in tour con Terapie live. Una trilogia per tutti gli stadi del disagio, con date da nord a sud.
Porto in scena tre terapie diverse, a seconda delle città: Terapia di Gruppo, che è una vera e propria Terapia interattiva col pubblico, Terapia d'urto , in cui me la prendo con i capisaldi della cultura italica, Dio Patria e Famiglia, l'ho scritto quando Giorgia Meloni è diventata Presidente del Consiglio, e Terapia Intensiva, tentativo di rianimazione collettiva della nostra capacità di leggere la realtà, perché crediamo di sapere tutto quando in realtà non sappiamo quasi nulla. Questa condizione io la chiamo "Beata ignoranza".
Nel gruppo dei “beati ignoranti” ci metti anche gli haters?
Sai cosa rispondo ai miei haters quando mi contestano in maniera becera? “Quanto vorrei essere nella tua testa per farmi un po’ di vacanza”.
Visto che lo spettacolo presuppone una costante interazione con il pubblico, quali sono gli episodi o le storie più curiose che gli spettatori hanno condiviso con te?
Una volta ho chiesto al pubblico di esprimere un desiderio e uno mi ha risposto: “Vorrei un suv”. E sono rimasta di sasso, perché immaginavo desideri un po' più ambiziosi. Invece a lui bastava il suv… Un’altra volta, in una città del sud, un ragazzo ha invece condiviso con me una storia molto dolorosa che riguardava un grave lutto che aveva subito e i successivi mesi di depressione. In quel momento sono uscita completamente dall'ironia. La storia era troppo intensa per aggiungerci la satira, quindi ho staccato con un minuto di poesia, cercando di tirarlo su con tecniche tra la psicoterapia e l'arte. Quando ho sentito che su di lui ha funzionato e la sala si era ammorbidita, sono tornata all'ironia. Ho ritenuto necessario farlo, perché quella persona mi stava regalando una confidenza troppo grande per sdrammatizzare. E poi ci sono ancora quelli che si arrabbiano talmente tanto da voler quasi alzare le mani.
Nel tuo spettacolo del 2016, Principesse e sfumature - lei, lui & noi altre, immaginavi di parlare con una misteriosa psicoterapeuta “perché la mia mi aveva abbandonata”. È davvero autobiografico o l’abbandono della psicoterapeuta era un espediente?
È vero che mi ha abbandonata, ma è stato un grande regalo. Ti spiego. La mia prima psicoterapeuta era del DSM (Dipartimento di Salute Mentale) e non una terapeuta privata. Stavo male in quel periodo, avevo attacchi di panico perché vengo da un lungo passato di disturbi alimentari di cui parlo anche in Terapia d'urto. Al DSM, però, la condividevo con persone anche più gravi di me, una stava agli arresti domiciliari fino al giorno prima.
E perché ti ha abbandonata?
La psicoterapeuta mi disse che quel servizio, per i miei disturbi, era un lusso e che aveva delle priorità più gravi da seguire. Abbiamo fatto qualche terapia, ma dopo un anno lei è sparita e non me l’ha neanche comunicato. Io ho cercato il suo numero, un po’ da stalker, ma ha ribadito che non poteva seguirmi. Insomma, mi ha trattato come se fossi il suo problema.
Sei stata ghostata persino dalla psicoterapeuta…
Esatto! Ma è stato anche un regalo, perché da lì ho pensato: “Ok, la psicoterapeuta non c'è più, ma posso scrivere quello che le vorrei dire”. Infatti ho scritto il mio primo monologo.
Quindi la stand-up è diventata la tua terapia.
In un certo senso sì.
È per questo che hai deciso di rovinare la stabilità mentale conquistata negli anni partecipando al programma Dimartedì, su La7, confrontandoti con i politici?
Si vede ancora il mio stupore quando ci litigo? È tutto reale. Ma nello stesso tempo è interessante come situazione, soprattutto quando ti ritrovi di fronte a Italo Bocchino e altri politici simili a lui.
Che interesse ci trovi?
Intanto non avrei mai pensato di essere coinvolta in questo tipo di trasmissioni. La redazione di Dimartedì mi ha contattata e pensavo volessero chiedermi degli sketch, invece mi hanno proposto di essere ospite per confrontarmi con i politici. Sono un po’ caduta dal pero, solo che subito dopo ho pensato: “Perché no?”. Alla fine ho un background, sono una che si informa, quindi perché non portare il mio punto di vista? Ma è anche inevitabile lo scontro…
Come mai?
Io vengo dalle manifestazioni di piazza e dalle occupazioni. Figurati trovarmi di fronte questi politici di destra.
Sembrano degli ottimi attori, anche loro molto preparati sul copione.
Su questo fronte sono allenatissimi, in particolare a non ascoltare l’interlocutore. Partono con i loro slogan preimpostati e imparati a memoria e non entrano mai nel merito di quello che gli contesti. Sono l'emblema di una destra politica che è diventata un insulto all'intelligenza. Pensa che fuori dalle telecamere sono gentilissimi, poi quando si accendono le luci e entrano in studio cambiano radicalmente e si trasformano in soldatini di “Meloni comandante”.