Parlare di femminicidi e dedicare una kermesse della piccola editoria formalmente a Marco Polo ma di fatto alla vittima eletta stocasticamente a simbolo del fenomeno, Giulia Cecchettin, è come andare a una sagra della cipolla e trovare cicoria. Dal momento che alla Nuvola dell’Eur, dove si tiene la tradizionale rassegna “Più libri meno liberi”, sono presenti titoli di ogni genere (come dev’essere se non si vuole la nicchia), suggerire un tema specifico significa svilire il significato stesso dell’esposizione. Regola aurea vuole che i temi di gran momento - politici, sociali o sportivi che siano - vadano dibattuti nei convegni e nei seminari, mentre i libri del momento siano sfogliati negli stand e discussi nei padiglioni. A Roma si è piuttosto pensato a una fiera non di libri odeporici in omaggio al Milione o sulla violenza di genere in onore alle donne, ma si è voluto attrarre il pubblico pagante in cerca di nuove letture e di scrittori da conoscere affidando ai relatori il compito di smuoverne la coscienza su un’emergenza, il femminicidio, che implica rivolgimenti anche politici. Tutta colpa del Salone del libro di Torino, negli ultimi anni alla deriva per via del processo di ideologizzazione che ne ha fatto un think tank rivestito da workshop. Avere scelto nelle ultime due edizioni temi non di cultura ma di attualità - del tipo “Prendersi cura” sull’ascolto e le relazioni e un annoi fa “Mi prendo il mondo” sul benessere mentale, il clima, i diritti di genere - ha imbastardito la manifestazione romana, o meglio è successo che questa ha cercato in tutti i modi di diventare grande scimmiottando quella, cominciando con il mutuarne la trattazione di quelle questioni che fanno parlare di più i giornali e magari i social.
Al fondo dello scorno che la novella curatrice di “Più libri più liberi” Chiara Valerio ha dovuto ingoiare per le polemiche nate circa l’invito del filosofo Leonardo Caffo, arrivate alla defezione di ventitré autori su milleduecento (cifre della Valerio), ristagna un errore che all’estero non commette nessuno. La Fiera di Francoforte insegna infatti che si possono immaginare motivi conduttori nell’ambito di scelte che ogni anno eleggono un Paese a ospite d’onore, ma sono sempre generali e attinenti rigorosamente alla sfera culturale: sicché quest’anno si è parlato di “Radici nel futuro” (ovviamente culturali), l’anno scorso del tema “La letteratura ci salverà” e due anni fa su “La cultura che unisce”. L’altro grande appuntamento europeo, il Salone di Parigi, ha mantenuto la stessa natura: quest’anno ha proposto il tema “Gli scrittori del mondo”, nel 2023 “La diversità linguistica” e nel 2022 “Letteratura e ambiente”. E se secondo Mallarmé tutto finisce in un libro, a parere di Chiara Valerio, Nicola Lagioia e Annalena Benini tutto invece comincia da un libro. Anche l’opportunità di un invito. Avendo Caffo, atteso in tribunale per rispondere di maltrattamenti alla ex compagna, appena pubblicato un libro sugli anarchici teorizzandone la non violenza (sob!), la Valerio ha ritenuto di poterlo fare parlare all’Eur presumendo che fino a quando non sarà condannato è un autore in diritto di esprimere le proprie opinioni. In base a questo ferreo principio, sarebbe dunque giusto che Depardieu vada ospite da Fazio, Andrea Beretta parli del tifo sugli spalti, Chiara Ferragni si lasci intervistare sui regali di Natale, Carlos Tavares prenda il microfono per parlare di aziende da rilanciare e Vittorio Sgarbi tenga conferenze sull’invio di opere d’arte all’estero. Senonché un giornalista che ottenga dichiarazioni da uno di questi Vip in zona retrocessione centra un colpo, mentre la curatrice di una rassegna di libri si prende un colpo a invitare un filosofo giudicato impresentabile. Indignati per il suo invito si sono defilati fra gli altri Zerocalcare, Giulia Siviero e Carlo Lucarelli. I quali hanno trovato inaccettabile dover dividere il Convention Center con un imputato di violenza, sebbene nel loro lavoro abbiano fatto della violenza un ricco territorio di caccia.
Ha sbagliato Chiara Valerio nell’imbarcare autori senza chiedere carichi pendenti? E occorre essere penalmente puliti per parlare in pubblico di un proprio libro? Cervantes, Defoe, Wilde, Edward Bunker e tutti gli scrittori beoni e maneschi della letteratura di tutti i tempi dovrebbero perciò essere messi all’indice e cancellati dai corsi universitari? Gira in Italia una morale pelosa che si compiace di dare mostra di integrità nel segno della più corriva political correctness e serpeggia una fronda ex choro perlopiù femminista che ama épater les bourgeois. Chiara Valerio ne è a capo. Sapeva di poter dare scandalo (perché altrimenti è meglio che sia esonerata potendo fare ancora danno), ma contava di imporre come primadonna sans merci la sua dottrina della libertà incondizionata sul pensiero claudicante di un costume nazionale ancora provinciale e bigotto. Contava insomma sulla libertà di pensiero promessa a tutti dalla Costituzione. Ma libertà non vuol dire licenza, tant’è che persino il sacro e inviolabile art. 21 è soggetto a limitazioni, non potendosi diffamare, calunniare, fare apologia di reato e del fascismo. Né l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero integra per ciò solo libertà di modi e maniere personali. Essere geni non autorizza a fare i bulli, ma viceversa un malandrino può essere un portento. Come uscirne? Leonardo Sciascia parlò di “consustanziazione” per spiegare che anche il sacerdote più peccatore è pulito e resta ministro di Dio quando impartisce l’eucarestia, così anche il giudice più disonesto pronuncia sentenze che sono emesse non da lui ma dalla Legge. In sostanza Caffo avrebbe potuto parlare, sì, ma non del tema del giorno, così da non rischiare di parlare anche di sé. Ma lui stesso si è chiamato fuori cogliendo il paradosso e sottraendosi a linguacce e occhiatacce. Si tratta in realtà di questione troppo complicata per avere una risposta che non sia di coscienza. Per questo il tema dei femminicidi portato dalla Valerio a “Più libri più liberi” non doveva arrivare nemmeno alla Piramide.