Interno giorno, Sicilia della prima metà dell'800. Un giovane uomo dall'aspetto benestante, tuba in testa, arringa dei lavoratori per convincerli a lavorare per lui. Mentre si allontana, accortosi che gli uomini hanno deciso di seguirlo, sul volto gli si dipinge un'espressione di soddisfazione: e parte Supermassive Black Hole dei Muse. Si conclude così il primo episodio de I Leoni Di Sicilia, la serie tratta dalla saga di Stefania Auci per Editrice Nord. Già presente sulla piattaforma Disney Plus dallo scorso 25 ottobre, ieri sera Rai1 ha trasmesso le prime due delle otto puntate totali. Si tratta della serie che consegna all'immaginario collettivo i Florio, una famiglia di imprenditori che hanno scritto una pagina di storia siciliana tra il XIX e il XX secolo. Nel cast Vinicio Marchioni, Michele Riondino, Edoardo Scarpetta, Miriam Leone, Ester Pantano e Donatella Finocchiaro. La regia è di Paolo Genovese che, nonostante un paio di generazioni di Genovese possano ormai campare solo con i diritti di Perfetti Sconosciuti, ha comunque deciso di creare un prodotto che guarda oltre.
Dicevamo: il primo episodio si chiude così: con il primo piano di un convintissimo Michele Riondino, mentre la colonna sonora prevede la voce di Matthew Bellamy che canta “Oh baby, non sai che soffro? Oh, baby, non mi ha sentito lamentarmi?” Cioè l'esatto contrario di quello che stiamo vedendo. Un momento questo che è un po' il sunto della serie stessa: un oscillare tra credibilità ed elementi che, al contrario, non lo sono. La recitazione del cast, la cura dei costumi, la bellezza di Palermo e della Sicilia denotano ricerca, la volontà di realizzare qualcosa che possa travalicare i confini; una serie che racconti un pezzo di storia italiana ai pubblici esteri. E speriamo che almeno per loro, siano previsti sottotitoli, ché - agli autori dev'essere sfuggito - il siciliano di alcuni dialoghi non è lingua universalmente nota. L'intenzione di dare vita a qualcosa di nuovo con I Leoni Di Sicilia è espressa dal contrasto tra il contesto storico della serie e la musica sfacciatamente contemporanea. A volte il connubio riesce, altre volte l'effetto è straniante, come appunto con i Muse. Allo stesso tempo, appare chiaro che Genovese pensasse a un prodotto che potesse essere popolare, inteso nell'accezione originaria del termine. La scrittura cerca perciò appigli con l'attualità attraverso le figure femminili, donne che vogliono seguire la propria felicità. Ma è anche una scrittura in cui gli anni trascorrono velocemente, per cui il focus diventano le vicende interne alla famiglia. I cambiamenti storici in cui Paolo, Vincenzo e Ignazio Florio si muovono, rimangono sullo sfondo ed è difficile capire come le vicende influenzino le loro scelte. Il risultato? Questi leoni a volte ruggiscono, altre volte miagolano.
Per essere una serie da piattaforma, I Leoni Di Sicilia è molto generalista: potrebbe essere tranquillamente una fiction di Rai1 finita su Disney Plus, poi ritornata alla casa base. Ma ad alto budget. Del resto le piattaforme si stanno sempre più orientando verso prodotti più generalisti, accantonando quell'aura di ricercatezza che le aveva caratterizzate al momento del loro lancio. I Leoni di Sicilia si inserisce nel trend: qualità nell'aspetto visuale, un buon cast e un po' di pilota automatico nello svolgimento. Ah, a proposito: dettaglio importante. Dopo i Muse, proprio mentre la voce di Bellamy sfumava, per la sigla finale partiva Laura Pausini. Abbiamo finito, vostro onore.