Che il cinema italiano stesse messo malino lo sapevamo. Che fosse anche il nuovo Eldorado dei soldi pubblici bruciati, forse non tutti ne erano al corrente. E inveceil quotidiano La Verità ci sbatte in faccia un numero che fa paura: quattro miliardi di euro. Non incassati da Netflix o spesi per girare kolossal d’autore. No, evaporati in un sistema di crediti d’imposta dove, secondo l’avvocato ed esperto Michele Lo Foco, il concetto di controllo è stato sostituito da quello di “ce la raccontiamo tra amici”. Il tutto nasce nel 2016, quando Dario Franceschini – allora ministro della Cultura e aspirante mecenate del cinema nostrano – tira fuori il suo asso nella manica: un tax credit maggiorato per chi produce film in Italia. In teoria, un’idea bellissima. In pratica, un’autostrada per i furbi e i finti produttori. Perché le regole ci sarebbero pure, ma – denuncia La Verità – nessuno le verifica davvero.

Il meccanismo è semplice e perverso: dichiari che il tuo film costa 3 milioni, magari ne spendi uno e mezzo, e intanto ti prendi i soldi dello Stato. Il trucco? Nessun controllo effettivo sui budget dichiarati. Basta una fattura, una voce di spesa, e via con i soldi pubblici. Il risultato: montagne di film che nessuno ha mai visto, produzioni fittizie, e un sistema che ha svuotato le casse pubbliche senza produrre reale valore artistico o occupazionale. Il problema non è solo etico. È culturale, industriale e ora anche giudiziario. La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta. Un esposto è già sul tavolo. Venerdì ci sarà un tavolo tecnico sul tax credit. Ma la domanda che bisognerebbe porsi è un’altra: com’è stato possibile che tutto questo sia durato anni senza che nessuno – dal Ministero al Parlamento – si accorgesse di nulla? Perché mentre attori e registi indipendenti fanno la fame, c’è chi si è costruito fortune su progetti inesistenti o su fiction sfornate in serie, buone solo a prendere il bonus e a sparire nel catalogo infinito del “già visto e dimenticato”. Il cinema italiano, quello vero, intanto continua ad arrancare. Perché i soldi che dovrebbero finanziare visioni, storie, coraggio e talento sono finiti in progetti gonfiati, dove la creatività è l’ultima cosa che conta. E il film più surreale, come gli capita spesso, lo ha scritto ancora una volta lo Stato.
