Il documentario Sky Funari, Funari, Funari mostra un’importantissima parte della Storia della tv italiana, ricordando il ruolo che il Tribuno del popolo ebbe nella creazione di tantissime correnti che oggi, nel bene o nel male, spopolano sui nostri piccoli schermi. Si deve a Funari, per esempio, l’idea di portare in tv la gente comune a esprimere le proprie opinioni “di pancia” e senza imbellettamenti o giri di parole. A interpretarlo nel documentario c’è Claudio Madia, dal 1990 al 1994 amatissimo conduttore de L’Albero Azzurro, il programma cult dell’intrattenimento per bambini. L’abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare il suo ruolo nel documentario e il Gianfranco che ha conosciuto nei dietro le quinte della “bizzosa” Rai. È stata anche un’ottima occasione per ricordare Dodò e la sua compagnia di amici televisivi che hanno fatto crescere e giocare milioni di piccoli telespettatori italiani. Il clima era così “fiabesco” anche in studio? A volte sì, altre decisamente meno… Ma, poco importa: Madia a un certo punto ha detto “Bye bye” alla tv e ha ripreso in mano la propria passione per il circo (in casa!). Una vita incredibile, passata anche nelle sale trucco Rai dove si sentivano gli echi delle litigate tra Franca Rame e Dario Fo, si tessevano le lodi dell’elegantissima e sempre educata Lorella Cuccarini e Funari era solito girare in mutande… Chissà cosa ne avrebbe pensato Dodò.
Ha interpretato Funari nel documentario Sky a lui dedicato. Com’è nato questo ruolo?
Ho una certa età e la mia agenzia mi contattò perché c’era un annuncio di lavoro per un attore che avesse più o meno i miei anni e potesse ricordare “Giuseppe Verdi”. Mi candidarono alla parte mandando alcune mie foto e, solo una volta preso ho scoperto che in realtà sarei andato a interpretare Gianfranco Funari. È stato un grandissimo onore per me. E anche un ricorso storico importante: durante i miei anni a L’Albero Azzurro, l’avevo incontrato più di una volta e mi era sempre piaciuto come persona: era identico, nei modi, a come lo si vedeva in tv. Non era una “doppiafaccia” come tanti altri che fanno il loro personaggio, magari anche positivo, davanti alle telecamere e poi nella vita sono l’esatto opposto…
Ci racconta i suoi incontri con Funari?
Più che altro, avvenivano per i corridoi ma soprattutto in sala trucco. Per quanto lui fosse la persona meno vanitosa del mondo - non l’ho mai sentito lamentarsi per il make up o domandare che gli venisse coperta qualche imperfezione dal viso -, la sala trucco era comunque il posto dove tutti, dalle più grandi star internazionali che venivano ospiti da Paolo Limiti ai conduttori italiani di punta come Gianfranco Funari, condividevano i loro segreti e intimità. Quotidianamente ne sentivo e vedevo di ogni…
Per esempio?
Per esempio posso dire di ricordare Renzo Arbore che chiedeva sempre un tappo di sughero per scurirsi il cranio, così da sembrare meno pelato. Una scena piuttosto comica. Poi beh, c’era chi, come Funari, ero oramai abituato a vedere in mutande e chi invece si sfogava parlando degli ascolti, problema che fortunatamente a L’Albero Azzurro non avevamo…
Come mai?
L’Albero azzurro, in questo senso, era un’oasi di pace: i bambini sotto i 6 anni non venivano monitorati dall’Auditel quindi noi, ufficialmente, facevamo una trasmissione per zero telespettatori. Io e i miei colleghi eravamo gli unici sempre sereni in sala trucco (ride, ndr). Nonostante questo, nessuno ci invidiava o voleva prendere il nostro posto, anzi!
In che senso?
L’Albero Azzurro non lo voleva fare nessuno. Non avevamo nemmeno sostituti per le 160 puntate che dovevamo fare. La trasmissione era di successo, ma faticosa, tutto buona la prima. C’era da essere creativi, improvvisare e non aver paura di sbagliare. Io ho accettato serenamente di stonare per favorire la produzione, non c’era problema per me. Chi puntava in alto, comunque, a L’Albero Azzurro non ci avrebbe mai messo piede. Io non avevo particolari velleità televisive, di certo non mi interessava ambire a una prima serata o cose del genere, ero completamente fuori dalle logiche televisive.
Beh, magari la tv non le interessava. Però il provino per L’Albero Azzurro l’ha pur fatto…
Sì, ma quasi per errore. Frequentavo la Scuola Civica di Arte Drammatica e un giorno il Direttore ci disse che in Rai stavano cercando nuovi volti per un programma per bambini. I miei compagni di corso inorridirono: la tv la consideravano spazzatura a cui al massimo potevano ambire le ragazzine seminude di Non è la Rai. A loro, invece, interessava l’Arte, il Teatro…
E lei, invece, perché si presentò al provino?
Tanto per cominciare, ero convinto che non mi avrebbero mai preso: ero certo di non avere la faccia “giusta” per la tv. Comunque pensai che avere davanti una telecamera potesse essere un buon esercizio, un'esperienza... E allora andai al provino comunque. Alla fine mi scelsero su 500 candidati.
Se ne è spiegato il motivo?
Secondo me fu perché ero da poco diventato papà, quindi parlavo alla telecamera con la naturalezza con cui parlavo a mia figlia tutti i giorni. E poi ero avevo una faccia qualunque ed ero bravo a sbagliare. Ci voleva esattamente questo: un papà “normale” che poteva essere il vicino di casa di qualunque italiano dell’epoca.
E quindi dal 1990 al 1994 è stato conduttore de L’Albero Azzurro. Poi cos’è successo?
Nel ‘94 c’è stato un cambiamento alla dirigenza Rai ed è arrivata la decisione di sostituire gran parte del cast anche de L’Albero Azzurro, me compreso. Questo rinnovamento, però, non è riuscito molto bene…
Perché?
Beh, lo dico perché tempo due anni hanno cominciato a richiamare il “vecchio” scenografo che avevano mandato via, molte maestranze delle edizioni precedenti e alla fine pure me. Ma, una volta tornato, ho fatto di tutto per farmi cacciare…
Addirittura?
Sì, sì. Purtroppo non sono capace di stare zitto e ingoiare rospi. Non c’era più lo stesso clima di un tempo in studio. Pensi che quando i miei colleghi mi hanno rivisto, hanno esclamato: “Ah, ancora qui? Ma non ti avevano mandato via?”. Poi c’ero, sì, ma mi veniva dato sempre meno spazio con spiegazioni del tutto pretestuose. Venivo molto criticato quasi quotidianamente. A un certo punto, per allontanarmi sempre di più dal gruppo, mi piazzarono fisso su delle nuvole di scena e lì rimasi finché, appunto, non scappai via. Era una situazione che non faceva per me.
Praticamente sta parlando di mobbing?
Non so se si possa usare quel termine, sicuramente all’epoca non esisteva nemmeno la parola. Fatto sta che me ne sono andato senza rimpianti. Ma, del resto, stando a quel che potevo vedere tra sala trucco e corridoi, in Rai il clima era sempre molto teso. Era impossibile entrare in ascensore senza sentire un regista che inveiva contro un conduttore o viceversa.
E lei che faceva davanti a queste scene?
Di tutto per evitarmele, ovvio. Cominciai a fare le scale.
Mi fa qualche nome?
Posso farle il nome di Lorella Cuccarini: l’ho incrociata più volte e tutti me ne parlavano come una professionista senza pari: sempre educata, gentile, sorridente. Era davvero la più amata dagli italiani e anche dalle maestranze come dalle truccatrici. E le truccatrici vedono tutto, a partire da come una “star” lascia il camerino quando se ne va. Quello della Cuccarini era sempre pulitissimo, perfetto. Molti altri, invece, lasciavano disordine, fazzoletti sporchi, un disastro.
E tra questi, invece, chi c'era?
Ma no, è passato tanto tempo…Nemmeno ricordo bene e non vorrei attribuire torti a persone che magari non c’entrano niente. Certo, le litigate tra Dario Fo e Franca Rame le ricordo, invece. Senza nulla togliere al genio che avevano entrambi, lavorare con loro era davvero difficile. Io, ancora prima de L’Albero Azzurro, ero tra i saltimbanchi di uno spettacolo di Fo in Rai. A telecamere spente, loro due si scannavano. Lui, in particolare, si infuriava contro Mauro Pirovano che a quei tempi era il suo galoppino: per portargli un bicchiere d’acqua, impiegava un quarto d’ora. Ma non era colpa sua, era una cosa frutto della disorganizzazione che vigeva in Rai. Anche per questo, me ne sono andato senza rimpianti.
Cosa ha fatto, poi?
Ho aperto una scuola circense di cui oggi non faccio più parte. Ma è stata una grandissima esperienza. Fino a prima della pandemia, facevamo spettacoli di circo in casa. Cioè letteralmente a casa mia. La compagnia si chiama Circinca’ e mi ha dato grandissime soddisfazioni.
La più grande soddisfazione che le ha dato la tv, invece?
Guardi, stento ancora a credere di quando incrociai Edoardo Bennato e mi riconobbe entusiasta perché ero “quello de L’Albero Azzurro!”. All’epoca aveva un figlio piccolo che era un grande fan della trasmissione. Fu un momento quasi surreale: Bennato, di cui io ero grandissimo fan, mi conosceva ed era felice di incontrarmi di persona… assurdo!
C’è qualcosa che non rifarebbe ripensando agli anni a L’Albero Azzurro? O di cui in qualche modo oggi “si vergogna”?
Assolutamente no! Soprattutto dal ‘90 al ‘94 quella trasmissione è stata un’oasi felice, come dicevo, anche per la qualità dei contenuti che noi, insieme agli autori, proponevamo al nostro pubblico di bambini. Negli ultimi anni si discute tanto di famiglia, di “genitore 1” e genitore 2” ed è giusto che se ne parli. Ma, ancora prima della politica, c’è stato L’Albero Azzurro: anche grazie al supporto di alcuni esperti di pedagogia che seguivano lo sviluppo dei nostri testi, abbiamo sempre fatto molta attenzione a non dire che una famiglia dovesse “per forza” essere formata da “mamma” e “papà”.
Sta dicendo che a L’Albero Azzurro si parlava già di famiglie arcobaleno?
No, era davvero troppo presto per i tempi. Però gli esperti ci avevano, giustamente, sconsigliato di parlare solo di “mamma e papà” quando si tirava in ballo la famiglia, perché altrimenti avremmo corso il rischio di far sentire “esclusi” i bambini che magari avevano perso un genitore o anche tutti e due. Per questo, le famiglie a L’Albero Azzurro erano sempre un carrozzone di nonni, zii, cugini, amici… nessuno rimaneva fuori!