Ci sono Paesi nei quali si beve soltanto per ubriacarsi, dove l’ubriachezza è un’intenzione e mai una conseguenza di qualche bicchiere di troppo. Ad altre latitudini bere è invece un rito collettivo, quasi giocoso, che si svolge da seduti, all’interno di locali eleganti o in lussuose terrazze. Esistono però anche Stati in cui la consumazione di alcolici è tassativamente vietata per legge. Ed è proprio a partire da questi ultimi che Lawrence Osborne - qui la nostra intervista esclusiva - ha intrapreso un viaggio per studiare come vivono gli astemi, scoprire se da loro si può imparare qualcosa e quindi tracciare una mappa originale del mondo. Lo scrittore inglese ha messo nero su bianco le sue impressioni in Santi e Bevitori. Un viaggio alcolico in terre astemie (Adelphi), libro pubblicato nel 2013 con il titolo originale The Wet and the Dry A Drinker’s Journey, in uscita in Italia il 25 giugno. Da Milano a Beirut, dal New Jersey a Muscat, Osborne procede senza sosta in un percorso dalla doppia chiave di lettura: una fattuale, che coincide con l’approfondita indagine del rapporto esistente tra l’alcol e le persone di ciascuna città visitata, e una culturale, volta a (ri)definire la complessa relazione tra Occidente e Oriente, ovvero due universi che esistono fianco a fianco “in un atteggiamento di reciproca incomprensione”. Il consumo dell’alcol, diverso da Paese a Paese, da cultura a cultura, è insomma l’espediente che consente all’autore di analizzare le varie società con un piglio a metà strada tra l’antropologo e il giornalista investigativo.
Santi e bevitori
Osborne si sposta attraverso molteplici Paesi, per lo più impregnati di cultura islamica: l'Oman, la Turchia, l'Egitto, il Pakistan e gli Emirati Arabi Uniti, soltanto per citarne alcuni. Lo fa cercando un drink, e spesso mettendosi in situazioni di grave pericolo. Come quando, in Indonesia, lo scrittore decide di andare a caccia di una birra a Surakarta, presidio locale di al-Qaida, dove, sotto un ritratto di Osama bin Laden, un gruppo di studenti biancovestiti cerca in tutti i modi di convincerlo che l’alcol è “una malattia dell’anima”. O come quando a Islamabad, in Pakistan pensa bene di ubriacarsi “in uno dei paesi più pericolosi e ostili all’alcol” della terra. In mezzo a simili peripezie, l’autore si concede anche momenti di profonda riflessione sull’abisso che separa l’Oriente dall’Occidente: “Può darsi che proprio le molecole d’alcol in circolo nel sangue giorno dopo giorno, notte dopo notte, con effetti al limite dell’impercettibile, facciano sentire l’occidentale libero, senza catene e superbo all’ennesima potenza”. Oppure su cosa potrebbero pensare i musulmani di un occidentale dedito ad alzare il gomito: “Agli occhi del musulmano, costui è in uno stato di ininterrotta – benché inconsapevole – ebbrezza, pur essendo convinto di dominare lo spazio e di usare giudiziosamente il tempo”. Perché tanta durezza? Nella maggior parte dei Paesi islamici il consumo di alcol altera il normale stato di coscienza, fa evaporare ogni momento di consapevolezza, falsa i rapporti umani e, peggio ancora, compromette la relazione con Dio. Santo è insomma chi non consuma alcol. I bevitori sono invece peccatori.
Il rapporto tra Oriente e Occidente
Proseguendo nella lettura si nota come Osborne sia un fine conoscitore di drink e bevande alcoliche. L’autore, ad esempio, definisce la Vodka un “clistere per l’anima”, consiglia birra e vino “per gli amici” e i distillati ai bevitori solitari. In Santi e bevitori emerge anche l'educazione dello scrittore - in “un fermo sobborgo inglese” nel 1970 - perfetta cartina al tornasole per approfondire il rapporto inglese con il bere: “È così profondamente radicato nel mio modo di stare al mondo che scrivere di bere significa scrivere allo stesso tempo dell’Inghilterra, un Paese di cui ora non so quasi nulla dato che vivo a New York da quasi vent'anni”. Tra una digressione e l’altra, il volume si impegna a tracciare i contorni di due modi molto diversi di interagire con il mondo consumando alcol: Est contro Ovest o anche “Wet and Dry, Alcoholic and Prohibited”. Da questo punto di vista, lo scontro di civiltà tra Oriente e Occidente altro non è che il riflesso di due approcci opposti alla vita: temperanza contro sregolatezza, continenza contro dissolutezza.
Un viaggio letterario
Il risultato è un libro scorrevole e, aspetto più importante da sottolineare, adatto ad un pubblico generalista. Persino gli astemi – anzi: loro in primis - troveranno aspetti interessanti in questo volume impossibile da catalogare in un preciso genere letterario. Non ci troviamo, infatti, di fronte ad un diario autobiografico, anche se nelle poco più di 200 pagine del volume il lettore si imbatte spesso in numerose esperienze personali dell’autore, tra flashback e ricordi sparsi cuciti insieme con la maestria tipica delle grandi penne. Sarebbe inoltre scorretto parlare di saggio, riduttivo parlare di reportage, limitante di pamphlet. Santi e Bevitori, semmai, proprio come tutti i libri di Osborne è un viaggio letterario. Eccola la definizione ideale: un viaggio letterario. Non, però, all’interno di una singola città e in seno alle sue contraddizioni - come Osborne aveva fatto nei due precedenti romanzi, Il Regno di Vetro, ambientato a Bangkok, e Java Road, a Hong Kong - bensì un viaggio culturale attorno ai drink e ai piaceri dell’alcol. Non ci troviamo tuttavia di fronte ad un’apologia dell’ubriacarsi. Certo, a Osborne piace bere il suo drink ma è consapevole che bere può essere sia una benedizione che una maledizione.