C’è un nuovo faro per l’egemonia culturale della destra italiana e risponde al nome di Angelo Duro? Lo sostiene Stefano Cappellini, che nel suo pezzo su Repubblica (all'interno della newsletter Hanno tutti ragione) analizza il successo del comico protagonista di Io sono la fine del mondo, dopo averlo visto al cinema, un film che sbanca al botteghino e segna un passaggio chiave nello spirito dei tempi: non più Checco Zalone con le sue maschere universali, ma un artista che “adotta le bassezze, tutte, indistintamente, per restituirle al pubblico con l’idea di sfidare l’ipocrisia e, già che ci siamo, il mainstream”. Dire che Angelo Duro sia divisivo è un eufemismo. Cappellini lo descrive come un comico che punta sul “risentimento e sulla frustrazione delle vite degli altri”, trasformando la cattiveria esibizionista in un marchio di fabbrica. Battute contro ambientalismo, educazione, e buone maniere? Per Duro, tutto è lecito. E se qualcuno si offende, tanto meglio. Il suo “auguri e figli gay” non ha nulla della leggerezza ironica di Zalone, che giocava con il pregiudizio per svelarne l’assurdità. Duro, invece, si limita a cavalcare stereotipi, come un Clint Eastwood con una sola espressione facciale.
“Vi fa ridere Duro? Ecco cosa dovreste chiedervi sulle vostre disgrazie”, scrive Cappellini, centrando il punto. Perché il successo di Duro racconta più del pubblico che lo acclama che del comico stesso: “Vannaccismo” culturale, lo definisce, l’urgenza di sentirsi eroi del libero pensiero per dire quello che tutti pensano ma con l’illusione di sfidare un sistema. La domanda, in fondo, è semplice: Duro vi diverte davvero o sta solo assecondando il bisogno di qualcuno di vedere la propria frustrazione trasformata in battuta? Come dice Cappellini: “Interessante che lui e Zalone condividano il regista, ma la differenza è tutta qui: Zalone ride di tutti, Duro ride con voi delle vostre stesse bassezze. E a voi va bene così”.