Parlare di certi argomenti è rischioso. No, non parlo di roba tipo che un ergastolano da poco estradato potrebbe chiedere a qualche sgherro di mettermi a tacere, scrivo pur sempre di canzonette, in genere, è rischioso perché tra lo scrivere e ritrovarsi sotto attacco sui social è un attimo, e gli attacchi sui social, seppur virtuali, restano pur sempre una immane rottura di coglio*i. Scrivi un articolo, azzardo un esempio, sul concerto di Geolier, spiegando che non ci torneresti neanche se costretto, che non ti piace la sua musica, che ti sembra tutta uguale, che non capisci le parole dei suoi testi, ma al contempo sottolineando come sia un concerto generoso, quaranta canzoni per oltre due ore e mezza di show, che lui sia indubbiamente talentuoso e che il suo pubblico, a Milano, conosce ogni singolo passaggio di ogni singolo testo, e di colpo ti accusano di essere venduto al sistema, rimbambito, uno che segue le mode o roba del genere. E ad accusarti non sono bimbiminkia, ma in prevalenza vecchiminkia, o boomer che dir si voglia, gente che in teoria dovrebbe saper capire cosa ha letto, ma nei fatti non è in grado di interpretare neanche un bigliettino in un Bacio Perugina, figuriamoci se riesce a star dietro a un reportage. Ma non è di questo che volevo raccontarvi, oggi. Volevo parlare di qualcosa sì rischioso, perché tira in ballo tematiche delicate, la violenza, l’abuso, il potere, tutta roba da maneggiare con cura. Lì, penso, ma ovviamente suppongo che Geolier tiri molto di più, nel bene e nel male, se sbagli le parole rischi la crocefissione, e io ho superato ormai da ventidue anni i trentatré anni, pur avendo un look che ricorda quello di certa iconografia cristiana (per dirla come un giorno, su un palco, mi ha detto Roberto Vecchioni: “Sembri Gesù, solo molto più grasso”). Il fatto è che è uscito un podcast per Tortoise che presenta due testimonianze di due donne, giovani, che accusano Neil Gaiman, autore di Sandman, ma anche di Good Omens e American Gods e tante altre opere amate da milioni di persone, di averle violentate. La prima testimonianza è di una giovane donna di ventitré anni, Scarlett, ex baby sitter del figlio di Gaiman e Amanda Palmer, che sarebbe stata violentata, non entro nei dettagli, che il podcast invece riporta, il primo giorno di lavoro, nella loro casa in Nuova Zelanda (la coppia, che aveva un rapporto decisamente aperto, si è lasciata da tempo), fatti accaduti nel 2022. Un racconto duro, scabroso, che lascia poco spazio a dubbi. Il secondo, di una donna che rimane anonima, racconta di uno stupro avvenuto dopo un incontro durante un firmacopie. K, questa la lettera scelta per identificarsi, ai tempi aveva venti anni, venticinque meno dell’autore. In questo caso la violenza sarebbe subentrata in seguito, dopo un inizio romantico. In entrambi i racconti si parla di pratiche violente, umilianti, dove il potere ha un peso importane e la volontà si svilire anche. Neil Gaiman, va detto, ha negato ogni fatto, parlando del primo caso come di un disturbo mentale da parte della testimone, che a suo dire avrebbe modificato i suoi ricordi involontariamente, nel secondo di una sorta di pentimento per un rapporto assolutamente consensuale. In entrambi i casi, va detto, sempre, Gaiman non ha negato i fatti, ma semplicemente le intenzioni, il che sarebbe comunque alla base dell’accusa di violenza, parlando di consenso.
Ora, immagino che di queste faccende si occuperà la magistratura, e lo dico conscio che in questi casi il tempo passato, nel caso di K oltre venti anni, e soprattutto la difficoltà di provare qualcosa che è avvenuta in privato, fatto che su denunce tardive rende la verificabilità decisamente complessa, come conscio, il MeeToo in questo è emblematico, in casi come questo va sempre valutato se quello di cui si parla sia vero o un tentativo di cavalcare un trend, chi è molto famoso è soggetto a millanterie, come, per contro, in casi come questo il potere mediatico e economico di chi è accusato possa avere un peso notevole in fase di processo, leggi alla voce influenza ma anche alla voce offerte economiche riparatorie. Il fatto che io abbia usato questa sequenza, giuro, assolutamente neutra rispetto a qualsiasi tipo di giudizio. In pratica, non sappiamo se sia vero che Neil Gaiman ha violentato queste due donne, né le tante che hanno lasciato commenti sotto il podcast in questione, aprendo un vero e proprio pozzo infernale. Essendo uno che ha molto letto Gaiman, grande fan soprattutto della sua ex moglie Amanda Palmer, spererei di no, ma non è di questo che voglio parlare. Quanto piuttosto, e qui siamo in territorio minato, del sacrosanto diritto che ho, da oggi al giorno in cui, in caso di processo, si dovesse mai arrivare a una o più sentenze di colpevolezza, e soprattutto dal giorno successivo in poi, di continuare a leggere Neil Gaiman, amando ancora le sue opere, il suo modo di scrivere, le sue trame, e anche lui come autore, certo modificando, in caso, il mio giudizio sull’essere umano, essere umano col quale non ho mai avuto modo di interagire, se non nella sua esternazione artistica, quella a mio modo di vedere, appunto, inattaccabile. Siamo sempre lì, l’arte è amorale. Lo deve essere, amorale, e giudicare l’arte, ma soprattutto gli artisti, secondo la morale è sbagliato. Dovessi dire che Sandman è un’opera aberrante, perché forse il suo autore è uno stupratore, direi una sciocchezza, una falsità. E lo direi anche se quel forse dovesse decadere. Neil Gaiman, in caso, sarebbe un uomo aberrante, ma non Sandman, e né l’autore di Sandman, cioè Neil Gaiman nell’atto di scrivere Sandman. Anche la avesse scritta, siamo nel campo delle fantasie, anche discutibili, anche la avesse scritta, Sandman, mentre stava stuprando qualcuno, cosa piuttosto complicata da fare, nulla cambierebbe rispetto all’opera in questione, lo dico sapendo di andare a saltare a piè pari su una mina, ma conscio di farlo.
Gli artisti possono essere persone bellissime, non parlo di estetica, ma anche mostruose, idem. La storia dell’arte, nelle sue varie esternazioni, è piena di artisti deplorevoli, inutile io sia qui a citare i soliti Picasso che disconosce la figlia disabile, Caravaggio assassino o Bentrard Cantat dei Noir Desir femminicida. Persone deplorevoli che hanno fatto grandi opere d’arte, Cantat neanche troppe. Fossimo interessati agli artisti invece che alle opere, forse, il discorso cambierebbe, ma di Caravaggio abbiamo ammirato e ancora ammiriamo l’arte, non la condotta personale. Che quest’ultima sia entrata nelle opere, e immagino ci sia entrata, non fa che rendere il nostro rapporto con l’arte ambiguo, certo, ma sarebbe sciocco cambiare opinione perché l’anima che ha concepito quelle opere fosse macchiata di sangue. Le opere stesse non possono essere trattate secondo la morale, perché la morale non può riguardare questo campo. L’arte mette in mostra, senza giudizio, anche i lati oscuri dell’umanità, ci aiuta a comprenderli, a volte, a sublimarne il male, altri, dovessimo giudicarli come se l’autore fosse necessariamente concorde con quanto mostrato o raccontato, ci troveremmo di fronte una carrellata di opere rosa shocking, con unicorni che scoreggiano arcobaleni a fare da cornice. Niente ferite, ma solo cerotti, niente cicatrici, ma chirurgia estetica. Luce laddove le ombre hanno un peso specifico fondamentale, perché la profondità è data proprio dal lavoro costante tra questi due aspetti, altrimenti sarebbe tutto piatto, bidimensionale. Guardiamo a cosa sta succedendo, e qui stiamo parlando di parole, a Walter Siti, dopo l’intervista fatta con Rivista Studio. Prevedibilmente Giovanni Robertini è riuscito a tirare fuori un pezzo interessante, nel quale Siti parla del suo rapporto coi protagonisti dei suoi romanzi in una maniera che andrebbe studiata nelle facoltà di Lettere, ipotizzando la fine della sua carriera di narratore. Parla anche di tante altre cose, e a un certo punto, per altro prendendo spunto proprio dal suo ultimo romanzo, I figli sono finiti, e da uno dei suoi protagonisti, dice una cosa riguardo al Premio Strega, parlando dell’ultima edizione, quella del 2023, vinto dal romanzo postumo di Ada D’Adamo, e parlando di effetto “Michela Murgia”, oltre che di trend che, a suo dire, durerà ancora qualche tempo, il trend di premi letterari vinti da donne, trend che prevede però poi un ritorno alla normalità. Parole che hanno scatenato una ridda di polemiche senza fine, da parte di scrittrici femministe, che lo hanno accusato di qualsiasi cosa, dal patriarcato alla demenza senile, passando per la misoginia e tante altre aberrazioni. Qualcuno si è anche concentrato, e ci mancherebbe altro, sulle parole rivolte al Pride di Milano, nell’intervista, come nel suo romanzo, si parla molto di Milano. Siti parla del Pride con distacco, quasi fastidio, dicendo che dietro quei tanti colori non vede però il desiderio, desiderio che lui trova solo nelle divise dei poliziotti (per altro, va detto, esplicitando in maniera chiarissima il pensiero di Pier Paolo Pasolini, che forse per anagrafe aveva detto il tutto in maniera lievemente più paracula). In pratica Siti, quello che ha scritto il pamphlet Contro l’impegno, per capirsi, come quello che ha rivendicato il sacrosanto diritto di pubblicare, a breve, per Silvio Berlusconi Editore, lui che ha pubblicato per Mondadori come per Einaudi e Rizzoli, quando al vertice del gruppo editoriale c’era Marina Berlusconi, c’è ancora, e Silvio Berlusconi era ancora in vita, viene accusato di ogni nefandezza per aver fatto quello che ha sempre fatto, provocato intellettualmente i suoi lettori, e qui anche quelli di Rivista Studio, come se le parole dovessero necessariamente servire solo per dare carezze, e davvero le crepe, quelle della società, dovessero essere necessariamente aggiustate sempre e soltanto con fili d’oro, come da consolatoria storiella giapponese, e non magari con maleodoranti e raccapriccianti pasticci di merda. Star lì a sottolineare come l’effetto Michela Murgia, parlando dello Strega 2023, non ci potesse essere stato perché lei era ancora in vita, è faccenda irrilevante, Siti per altro lo Strega l’ha vinto, a suo stesso dire col suo romanzo meno meritevole. Confondere le parole di un personaggio con quelle dell’autore, invece, è un errore marchiano, da analfabeta funzionale. Credo anche confondere le risposte di un’intervista con il pensiero di chi ha risposto alle domande, nel caso di uno scrittore, ma qui stiamo facendo un salto forse troppo alto.
Per tornare a faccende serie, che non finiranno in tribunale solo perché non si fanno i processi ai morti, e la protagonista è morta giusto due mesi fa, sono finite su tutti i giornali le dichiarazioni, che più che dichiarazioni sono legittime accuse, da parte di Andrea Robin Skinner rivolte al suo patrigno, Gerald Fremlin e a sua madre, la scrittrice appunto da poco scomparsa Alice Munro, Premio Nobel per la Letteratura undici anni fa. La figlia della scrittrice, in una lunga intervista rilasciata al Toronto Star il 7 luglio, ha dichiarato di essere stata violentata dal patrigno sin da quando era una bambina, fatto di cui la madre era a conoscenza e che non solo non ha denunciato, ma l’ha vista rimanere a fianco all’uomo. Andrea Robin Skinner, racconta nell’intervista, ha raccontato la vicenda a sua madre quando aveva ormai venticinque anni, per trovare un appoggio psicologico in sua madre, come a togliersi di dosso ogni ombra di una qualche responsabilità in una storia di violenza e pedofilia, ma la cosa, dice, è stata accolta dalla madre più come un suo tradimento, fatto che ha deciso di raccontare solo ora che la madre è morta. La notizia, anche per il tipo di letteratura che la Munro ha praticato, ha ovviamente aperto una ferita profonda nella comunità letteraria e in quella dei suoi tanti lettori, riportando ancora una volta la questione di come le opere degli artisti possano o debbano essere giudicati sulla base della morale degli artisti stessi. Una questione diversa da quella di Gaiman, perché chi ha attaccato l’autore di Sandman ha spesso usato come manganello il suo essere, pubblicamente, un moralista che giudica certi comportamenti, salvo poi muoversi privatamente in altra maniera, mentre nel caso della Munro chi la difende sembra aver optato per spostare l’attenzione sul fatto che la Munro, donna del Novecento, casalinga, fosse nei fatti vittima a sua volta di una mentalità patriarcale, come a dire, se ha taciuto è perché è cresciuta in una cultura impregnata di silenzio, e che punta sul senso di colpa delle donne, più che sulla loro complicità o solidarietà. Insomma, non se ne esce, o se se ne esce se ne esce decisamente male.
Diversa è, credo, la questione Morgan. Come ha evidenziato con tutta la perizia possibile Selvaggia Lucarelli, documentando con screenshot di messaggi e altro, Morgan si è macchiato negli ultimi anni di tutta una serie di comportamenti vergognosi e violenti, ai giudici, si spera presto, il compito di stabilire se anche criminali. Ha praticato nei confronti della sua ex Angelica Schiatti, a sua volta artista, non solo stalking, ma anche revenge porn, minacciando lei e il suo attuale compagno, il cantautore Calcutta, arrivando addirittura a assoldare due sgherri per seguirla e identificare la sua casa, al fine, stando ai messaggi, di rapirla per portarla da lui, cosa fortunatamente non accaduta nonostante lo stesso Morgan pare avesse affittato una casa a Bologna nella stessa zona dove lei e Calcutta vivono. Un fatto aberrante, che lascia basiti, nel mio caso ulteriormente, conoscendolo da ormai oltre venticinque anni, e conoscendo tutti i protagonisti di questa storia. Storia di cui non sapevo nulla, se non che i due erano stati insieme, lui ne ha parlato a più riprese sui social, sempre con toni acidissimi, e anche a Ballando con le Stelle, andando a invocare una legge contro il ghosting, e come la Carlucci abbia permesso ciò, con un processo in corso, mi sfugge. Come prima conseguenza di questo articolo, uscito sul Fatto Quotidiano, Calcutta ha attaccato duramente la Warner, rea di aver messo sotto contratto Morgan pur sapendo i fatti, dicendo che non lavorerà più con loro, non scriverà per i loro artisti e non vorrà più avere a che fare con nessuno di quella major, né ai suoi concerti né in strada. A seguire altri artisti, Clara, Tommaso Paradiso, Levante, hanno espresso solidarietà a Angelica e Calcutta, Levante anche chiedendo alla Warner di prendere una posizione, lasciando intendere che altrimenti avrebbe rivisto la sua posizione nei loro confronti, lei è una loro artista. La Warner a questo punto ha fatto un comunicato in cui ha annunciato di aver rescisso il contratto con Morgan, mentre la RAI, che a giorni avrebbe dovuto annunciare il ritorno in tv dell’ex Bluvertigo con Stramorgan, ha detto che non c’è nessun contatto in essere, né ci sarà. Da lì è partita la giusta solidarietà pubblica di tanti altri artisti, Annalisa, Emma, Noemi, Elisa, Angelina Mango, Marco Mengoni, Ermal Meta, Rose Villain, Diodato, Elodie, Alessandra Amoroso, Tropico, J-Ax, Vasco Brondi, Renzo Rubino, che ha annullato l’invito a partecipare al suo Porto Rubino, e immagino molti altri nelle prossime ore. Solidarietà cui Morgan ha risposto nella notte con un post piuttosto delirante su Instagram, dove parla di angeli e mostri.
Dicevo, la faccenda è diversa, e lo dico davvero sconvolto, perché di Morgan si è sempre detto che è un artista, un genio, pur in assenza di grandi opere, almeno recenti, Altrove, ultima sua canzone degna di nota è di oltre venti anni fa, e in precedenza le canzoni erano fatte con una band. Un genio dotato di una grande cultura, più artista delle sue opere d’arte, in pratica. Difficile quindi distinguere l’uomo dalle opere, in assenza di opere, e, spiace dirlo, in assenza di opere ma in presenza di tali fatti direi che si può serenamente calare un velo su di lui, e lo dico davvero spiazzato, perché mai avrei pensato di saperlo autore (non di canzoni, attenzione, io mi sono trovato recentemente a difenderlo nella querelle che lo ha visto contrapposto a X Factor, e a riguardo resto ovviamente della mia opinione) di tali azioni aberranti. La condanna nel suo caso, come anche negli altri citati, è decisa, ma in questo caso non mi sembra ci sia altro cui continuare a guardare con interesse o ammirazione. Quindi no, lui in questo discorso non può entrare, direi. L’arte serve per curare come per ferire, e gli artisti possono essere brutte, bruttissime persone, fate pace con questa ovvietà. Anche senza bisogno che ve lo mostrino come un Michele Houellebecq che si fa filmare mentre scopa male dentro un film porno, poco conta che in corsa disconosciuto. Quindi che la giustizia faccia il suo corso, ma, almeno nel caso di Gaiman, lasciamo stare le opere, per cortesia, bruciare i libri, o gli scrittori, non è certo attività di chi poi può permettersi di fare la morale agli altri.