Forse la Storia serve a raccontare la realtà, che di per sé sarebbe quasi incomprensibile, tendenzialmente perché coperta da flussi infiniti di informazioni, non sempre vere, da pregiudizi, battaglie ideologiche e società con una forma mentis fortemente vincolata alla cultura e all’insegnamento scolastico. Ancora più difficile, allora, è raccontare la realtà della libertà. Basti pensare alle innumerevoli fake news sul capitalismo come produttore di povertà, sfruttamento e morte. Nei Paesi a capitalismo avanzato i progressi fatti nel corso degli ultimi centoventi anni sono semplicemente non paragonabili con quelli, miserissimi, di altre realtà che hanno tentato strade diverse. Riduzione della povertà, aumento dell’aspettativa e della qualità della vita, progressi scientifici e in ogni altro campo, aumento delle risorse e dei prodotti a portata di tutti, avanzamenti tecnologici e così via. Questa è una bella storia che in pochi hanno piacere a raccontare. Perché? Perché non va di moda, non ti mette dalla parte giusta dei militanti politici e, soprattutto, non ti fa vendere. Ma come, cosa dovrebbe importare, ai sostenitori dell’anticapitalismo, delle vendite? Tutto.

Per questo uno storico che racconta la realtà per quel che è non solo raro, ma prezioso. E per fortuna parliamo di una figura, Rainer Zitelmann, che, oltretutto, vende un bel po’. Liberilibri pubblica Il viaggio della libertà, un reportage in vari Paesi di uno storico, saggista e investitore amante della libertà e dell’economia di mercato che, come ha dimostrato in varie altre occasioni, è storicamente superiore a qualsiasi alternativa. Per dimostrarlo ha chiesto a delle organizzazioni specializzate di condurre dei sondaggi in vari Paesi sull’idea più diffusa riguardo al capitalismo, che qui va letto come sinonimo di libertà economica (a differenza del socialismo, che è coercizione economica). Lui stesso, poi, andrà sul posto per capire come stanno realmente le cose e quando quei paesi visitati abbiano o no beneficiato del capitalismo. Da Buenos Aires a Bogotà, da Zurigo a New York, il viaggio della libertà è una vacanza nel successo di un modello che tutti osteggiano e criticano ampiamente. Purtroppo, ogni successo vive anche del suo riflesso, ovvero l’enorme fragilità. Tendenzialmente le cose che funzionano sono anche molto complesse e per questo talvolta fragili.

Zitelmann fa l’esempio del Regno Unito, sopravvissuto grazie agli interventi di Margaret Thatcher: “Nessun altro politico europeo ha mai attuato un programma di riforma a favore del mercato con la stessa intransigenza della Thatcher”. E poi: “Se si pensa al Regno Unito prima di Margaret Thatcher e si riconoscono gli impatti positivi delle sue riforme, non si può che stropicciarsi gli occhi incredibili di fronte al fatto che l’anticapitalismo sia tornato a dominare oggi. Questo conferma la mia tesi secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, le persone dimenticano le ragioni della prosperità in cui vivono”. E no, non è assuefazione al modello di successo, ma una anestesia nei confronti dei pericoli del sistema opposto. L’assuefazione, infatti, ti renderebbe insensibile al tuo sistema ma non ti farebbe tifare per alternative tragiche come il socialismo economico e il comunismo politico. È invece l’amnesia dei confronti del dramma socialista a spingere le persone verso le opinioni rilevate anche nei sondaggi che riporta Zitelmann. Qual è la meta di questo viaggio, dunque. Quella di tutti i viaggi. Ricordarsi i passi che son stati fatti. E solo i passi verso la libertà economica (su cui si basa, secondo Zitelmann, la libertà tout court) sono stati realmente positivi per la Storia.
