Il riferimento è chiaramente a Zeno e alla sua ossessione per le sigarette – prima acquistate rubando i soldi al padre, poi fumandone i sigari avanzati: peccato che, per colpa di una scrittura incapace di andare oltre la dimensione descrittiva, la spasmodica insistenza sul vizio del fumo di Fabio Resti - il protagonista del romanzo d’esordio di Luca Argentero “Disdici tutti i miei impegni” (Mondadori) – non svolga alcun ruolo metaforico, limitandosi a rimanere un dettaglio fine a sé stesso, nuocendo gravemente alla voglia di proseguire la lettura.
L’ambizione dunque è l’unità di luogo – che oggi va per la maggiore a teatro e al cinema, esempi recenti se ne contano moltissimi, The Father di Florian Zeller, o l’ultimo film di Darren Aronofsky The Whale – una scommessa non da poco per un esordiente: più lo spazio oggettivo è definito e claustrofobico, più diventa necessario bilanciarlo con la ricchezza interiore e soggettiva del protagonista. Insomma: se pensiamo alla diatriba tra storia e personaggi, l’unità di luogo privilegia i secondi, e per funzionare ha bisogno di protagonisti memorabili, proprio come l’Anthony Hopkins di The Father o il Brendan Fraser di The Whale.
Peccato che questo non sia il caso del Resti, descritto prima come un trucido imprenditore, poi come grezzo predatore sessuale ossessionato dalla gnocca, poi come un calciatore mancato dai modi burini. Una cosa sono i personaggi multidimensionali; un’altra l’incoerenza psicologica e la stilizzazione, che fa del protagonista una macchietta sfocata, alla lunga noiosa, che resta dove sta, non uscendo mai dal suo egotico rapporto con un mondo artefatto, romanocentrico e pretestuoso.
Chi è, infatti, Fabio Resti? Non si capisce, forse nemmeno Argentero se lo è chiesto. Tutto, di lui, resta in superficie: la dipendenza sessuale – un’occasione persa di raccontarci un Hank Moody contemporaneo, scisso tra dipendenza affettiva e sessuale; il rapporto ritrovato con i genitori - ridotti a comparse di scena tra un sugo e un soffritto d’aglio; ma soprattutto la crisi esistenziale di un uomo che si trova improvvisamente fermo di fronte a un mondo che fuori va avanti.
Si pone, anche, un problema di empatia: va bene un protagonista disturbato, financo cattivo, e d’accordo che la critica moderna parla apertamente di “empatia negativa”. Ma il Resti – ovvero l’Argentero - non risparmia descrizioni tecniche sulle sue polluzioni notturne (“penso di essere venuto nel sonno perché i calzoncini sembrano meno morbidi nella parte sinistra”) o ricordi di vecchie scorribande giovanili come la “chiavata epica” con la cameriera venezuelana Beatriz (“ovunque tu sia sappi che non ti ho mai dimenticata, né ho mai dimenticato il tuo sapore”) che non svolgono altro ruolo se non farci sentire fortunate per non avere un vicino di casa come lui.
Ambientato nell’estate del 2010 senza che se intraveda una ragione specifica, se non quella di offrire una telecronaca soporifera dei Mondiali di calcio di quell’anno a suon di Waka Waka e di sillogismi aristotelici come “Shakira balla da Dio, quindi scopa da Dio: le donne scopano come ballano” – le pagine scivolano via come gocce di sudore incollate alla pelle nei pomeriggi d’estate a San Lorenzo, intervallate dal ronzio di frasi come “tra una partita e l’altra, ho quasi sempre cagato, fumato e mi sono masturbato. Non sempre in quest’ordine e non sempre con la stessa soddisfazione” che, lungi dal creare scandalo, suonano fastidiose come punture di zanzare lungo il Tevere.
Perché è questo il punto che danneggia il romanzo: l’ansia con cui Argentero sembra voler fare di tutto per allontanare la sua immagine di bravo ragazzo, il tentativo esasperato di infarcirlo di volgarità finendo per fare la figura non certo di Henry Miller, ma di uno di quei bimbi paciocconi che ripetono tante volte “cacca” solo per il gusto di compiere una marachella davanti ai genitori.
Un’insicurezza tradita anche dal complicato ma assolutamente superfluo apparato di citazioni messo in piedi: ogni capitolo si apre con citazioni pescate a casaccio sul concetto di libertà, in una galleria sclerotica dove Lenin si ritrova seduto accanto a Martin Luther King, Alda Merini o Schopenhauer.
Dopo essere stato attore di cinema, teatro, fiction televisiva, e pure modello, concorrente di reality, conduttore televisivo, produttore, nessuno pensa che Luca Argentero non possa diventare anche un bravo scrittore. Ma i generi vanno studiati, e se scegli di scrivere un house arrest con un protagonista come Fabio Resti, significa che avresti dovuto documentarti meglio, magari scegliendo un editore meno permissivo di Mondadori, magari leggendo “A gentleman in Moscow” di Amor Towles (che a breve diventerà una serie tv con protagonista Ewan McGregor: segnatelo perché potrebbe valere la pena).
Certo, sappiamo come funziona: in Italia il Vip è come il maiale, non si butta via niente, e visto il suo attuale successo, di Argentero potrebbero anche catturare le puzzette e venderle come profumo, si venderebbero comunque. A lui, del resto, va bene così: in un’intervista ha già annunciato che gli piacerebbe dirigere il film o la serie tv (massì, esageriamo!) tratta dal suo libro.
Contento lui, contenti tutti: tranne i lettori, come sempre più spesso accade da noi.