Viene pubblicato Il nome della rosa nella versione illustrata di Milo Manara ed ecco che torna tra i top delle classifiche il capolavoro di Umberto Eco, che fu un successo mondiale nel lontano 1980. I buoni motivi per leggerlo sono tanti; in primis Manara salva lo spirito della storia labirintica immaginata da Eco: il fumetto va costruendosi attuando una selezione minuziosa fra tutte le parti, e sebbene ne abbia sacrificate alcune, non dimentica il cuore pulsante della riflessione sia filosofica che narrativa del romanzo. Così il fumetto non ci appare come una ri-lettura noiosa, ma come un approccio differente alla celebre storia che ormai tutti conosciamo. Secondo motivo: Manara si serve di tre diversi stili di disegno. Con il primo racconta la trama, usando lo stile che conosciamo bene e a cui affida la storyline principale, quella di Adso e Guglielmo da Baskerville, delle loro indagini, della formazione e della scoperta della vita del più giovane dei due. Il secondo stile è dedicato ai racconti dentro il racconto, come l’eresia dolciniana e la storia personale di alcuni monaci, mentre con il terzo, utilizzato per le incisioni medievali, gioca con il meraviglioso e il grottesco. I marginalia del monaco amanuense Adelmo da Otranto che corredano i libri miniati della biblioteca ci portano direttamente al mondo fantastico e surreale di artisti medievali come Bosch.
Ecco un altro motivo: Manara cambia il volto iconico di Guglielmo da Baskerville, che per noi tutti è ormai quello di Sean Connery, con quello di un giovanissimo Marlon Brando. Scelta azzardata ma vincente, perché appunto questo fumetto non vuole essere la copia del ben riuscito film del 1986 ma un’opera nuova, che parte dal romanzo stesso. E Marlon Brando funziona alla perfezione.
A differenza della perfettamente azzeccata trasposizione cinematografica di Jean Jacques Annaud, e del facilmente dimenticabile adattamento tv del 2019, Manara gioca con il fascino del medioevo, non più solo gotico e cupo, ma divertente, luminoso, fantastico. Un’epoca di delirio febbrile, dove la realtà e la fantasia si uniscono e si corteggiano vicendevolmente: come le creature di sogno/incubo miniate o come la – tanto attesa – apparizione femminile finale, angelica, terribile, irreale.
È quando Adso scopre la sensualità e la donna che noi ritroviamo il Manara che tanto conosciamo, l’artista del sogno erotico per eccellenza, carnale e terreno come il desiderio e l’immaginazione che stimola. Finalmente è presente la sensualità della donna, vi tocca aspettare la fine del fumetto (merita tutta l’attesa) dove il Cantico dei Cantici si fa portavoce del terreno sublime.
Se tutto questo vi sembra poco, pensate che è solo la prima metà di un’opera di due volumi, non ci resta che attendere il seguito. Volete qualche altro motivo per leggerlo?