Torniamo indietro di qualche anno. È un freddo inverno quello del 2017, quando alle 16.49 del 18 gennaio una valanga travolge l’hotel Rigopiano a Farindola, in Abruzzo. Una valanga che ha raso completamente al suolo la struttura, uccidendo 29 delle 40 persone che quel giorno si trovavano al suo interno e che, per un tempo lunghissimo, sono rimaste intrappolate tra neve e detriti. Pablo Trincia ha raccontato il dramma di quel giorno con ‘E poi il silenzio - Il disastro di Rigopiano’, il nuovo podcast originale di Sky Italia e Sky TG24 realizzato da Chora Media. Otto episodi che sono un viaggio attraverso una tragedia di cui si parla sempre troppo poco. Un podcast che è un grande ritorno, che arriva dopo l’enorme successo di ‘Dove nessuno guarda – Il caso Elisa Claps’, la serie più ascoltata d’Italia. E anche stavolta Pablo Trincia ha fatto centro. Il podcast si presenta come una ricostruzione di quanto accaduto che va a indagare e scavare nella tragedia attraverso un meticoloso lavoro di ricostruzione dei fatti, presentando all’ascoltatore in modo ragionato tutto il materiale raccolto. Trincia ci spinge a riflettere se davvero la tragedia sia solo colpa della valanga e delle scosse di terremoto che l'avrebbero innescata quel giorno, o se la neve sia stata usata solo per seppellire errori e responsabilità: “Quando cade un singolo fiocco di neve non fa rumore e non uccide. Ce ne vogliono tanti per creare una valanga. E a Rigopiano non ce n'è stata solo una. L’hotel sorgeva nel punto esatto in cui si sono incrociate diverse valanghe. Quella della burocrazia. Quella della cattiva amministrazione. Quella dei tempi infiniti della politica. Quella della gestione dell'emergenza. Quella della giustizia. I fiocchi di queste valanghe sono le singole scelte di persone che per anni hanno lavorato poco, male o hanno ignorato il rischio che qualcosa potesse accadere agli altri. Nessuna di queste persone, almeno moralmente, è priva di colpe. E se cercassero bene in fondo alle loro tasche, ognuna di loro ci troverebbe un po' della neve di Rigopiano”.
Ascoltando il podcast si è subito pervasi dalla sensazione di trovarsi lì, di camminare tra il gelo bianco che avvolge l’hotel, con la preoccupazione di quello che potrebbe succedere se la neve non smettesse di cadere. L’ansia di non riuscire a tornare a casa il giorno dopo. Sono i racconti dei sopravvissuti a fare la differenza, che con le loro parole riescono a scaraventaste con potenza chi ascolta a quei momenti terribili, a quelle ore buie travolti dalle macerie mentre la loro speranza di salvarsi si affievoliva sempre più. Ventinove vittime, ventinove vite interrotte. In fondo sarebbe potuto capitare a chiunque, trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Chi lì per lavoro o per una fuga romantica. Questa storia, in fondo, sta tutta qui: si divide tra la casualità delle vittime e chi, una responsabilità nel disastro, la ha sul serio. Davvero dovremmo credere che si sia trattato di una tragica fatalità? Perché nessuno ha provveduto a liberare dalla neve l’unica via di fuga? Sono tante le cose che quel giorno non hanno funzionato, e che hanno impedito a tutti di salvarsi. Ed è per questo che, come racconta Pablo Trincia, i sopravvissuti e i familiari delle vittime chiedono giustizia: “Quando gli ultimi corpi sono stati recuperati dalle macerie è cominciata un'altra lunga e complessa fase di questa vicenda. Quella dell'inchiesta, e poi del processo, per accertare le responsabilità del disastro. La vicenda di Rigopiano è stata ricondotta a due questioni di fondo. Da un lato la mancata previsione e prevenzione del rischio valanga, e dall'altro la gestione dell'emergenza”.