È tornato da pochi giorni con un nuovo pezzo, Motivation, insieme a Reverend Haus. Lui che di “motivation” ne ha sempre da vendere. Dice Cristian Marchi, classe 1976 ma con l’energia di un esordiente: “Questo è un brano che vi dà la carica nei giorni difficili. In palestra come sul dancefloor. Energia pura”. Che poi è questo, il punto. Negli anni la musica dance (lo dice la parola: per ballare) è paradossalmente uscita dalle discoteche, i templi a essa dedicata, per finire in playlist non più necessariamente legate al sudore di una pista. E il dancefloor, allora? Ha seguito le mode, “le tendenze”, come ovvio che sia, ma si è anche riempito di brani non così travolgenti o semplicemente danzerecci. Ci è finita persino la trap, in pista, e i risultati si sono visti. Con Cristian Marchi, trent’anni di carriera, abbiamo parlato di questo e altro. Del suo suono inconfondibile, di dove sia finita la dance music e… di Gabry Ponte a Eurovsion.

A che punto sei del tuo lungo percorso?
In un punto importante. Mi rimetto in discussione da sempre, e oggi più di prima. Come artista, produttore, performer. Tentando di tenere viva la mia identità, ma senza ignorare i trend. Chi fa il mio mestiere non può permetterselo. Io ragiono sempre, innanzitutto, con la pista da ballo in testa, ma cerco anche una voce che magari possa rendere un pezzo come “Motivation” più crossover.
In questo periodo dove troviamo Cristian Marchi ai piatti?
Mi considero da sempre un battitore libero, un freelance della notte, però d’estate, ormai da anni, mi trovate spesso al Praja di Gallipoli e a Palma di Maiorca, ormai dal 2008. A Maiorca, da un paio d’anni, sono al BCM. In genere non sono un “resident”, preferisco essere l’eccezione, non la regola.
Cosa suoni, oggi, principalmente?
Esclusivamente i miei pezzi, i miei remix e i miei bootleg. In due ore di Cristian Marchi live puoi trovare David Guetta, Nirvana e 50 Cent, ma in ogni traccia senti il mio tocco. Senza alcun dubbio.
Ti riporto una dichiarazione, da tempo diventata virale, di Bob Sinclar: “La musica house è morta, è un dato di fatto, stiamo riciclando a più non posso le cose del passato perché purtroppo non c’è niente di nuovo che si faccia notare. Ogni giorno entro su TikTok per cercare qualcosa di interessante e mi fanno male le orecchie dagli obbrobri che ascolto”.
Capisco cosa intende. Però quella di Bob Sinclar è pur sempre un’opinione personale, non la verità assoluta. Io credo che la musica vada avanti e la gente tenda a rannicchiarsi in una comfort zone fatta di remix e bootleg di brani stra-classici e stra-conosciuti. Le nuove leve, i più giovani, sono invece molto influenzati dalla scena urban, dal reggaeton e dalla trap. Per i clubber puri è quindi più dura, in certi locali è diventato difficile fare ballare con la house.
Una dichiarazione che fa un po’ eco a quello che ci disse mesi fa Dj Cerla…
Ah, grande Cerla…
Parlando più della trap che del reggaeton, ci disse che l’irruzione della trap in discoteca è stata una sciagura perché ha snaturato le piste. Atmosfere plumbee per gente che, di fatto, non balla ma oscilla.
Concordo. La trap è figlia dei live e finito il live i ragazzi se ne vanno. Una pista sprecata, insomma.
E in pista ci finiscono più gli adulti.
Esatto. Un cambiamento che ha trasformato la nightlife, ha trasfigurato le discoteche. Inevitabile che il pubblico più adulto sia, in genere, più affezionato alla dance di ieri. Ergo, il movimento, in quanto a creatività, si evolve molto lentamente.
Anche a te è capitato di trovarti di fronte una pista immobile perché tutti ti puntavano addosso lo smartphone per filmarti?
Sì, certo. Se prima per far passare la tua musica avevi bisogno di radio, riviste di settore e ufficio stampa, adesso la comunicazione la fanno i clip che vengono condivisi sui social. Questi video danno visibilità ai nostri brand, certo in pista talvolta la gente balla meno perché è impegnata a smanettare sui telefoni. È però un disagio necessario.
Tu c’eri, negli anni ’90, quando la dance ha raggiunto un apice sia commerciale che creativo forse irripetibile. Cos’è successo negli ultimi 25 anni? Gli artisti dance in classifica sono merce rara, le discoteche chiudono. Dove (o quando) si è rotto il giocattolo?
Le nostre città, nei Nineties, erano meno multietniche. Era un mondo diverso. Nell’ultimo quarto di secolo siamo stati esposti alle più disparate influenze (si sono creati, anche in ottica discoteca, più pubblici da accontentare), poi sono arrivati i social che hanno contestato il dominio e l’autorità delle radio. Oggi siamo bombardati da mille clip, i ragazzi ascoltano la musica a botte di 30 secondi l’una su TikTok, come se ascoltassero tanti jingle…
Come vedi Gabry Ponte che va all’Eurovision 2025 con Tutta l’Italia?
Sono contento. Conosco da Gabry da anni, abbiamo anche collaborato insieme a un pezzo (Don’t let me be misunderstood del 2010). È stato bravo a rendere pop un pezzo dance molto italiano.
Anche l’esibizione dei Planet Funk a Sanremo è stato un buon assist dell’industria al mondo dance?
Assolutamente sì. Sono segnali incoraggianti.
Quindi la dance può ancora essere pop?
Oggi tutto può essere, non ci sono più regole.

