I Måneskin. Un fenomeno tanto chiacchierato e da così tanto tempo, che mettendo assieme tutto quel che è uscito sul tema negli ultimi anni si potrebbe pensare di dar vita a un nuovo genere letterario. Della loro epoca d'oro, tra “gesta scandalose” e “primati discutibili”, tra tettine e chiappe al vento, una volta dominatori dei tabloid più influencer che popstar. Una storia che torna ciclicamente, ma non si impossessa più delle prime pagine dei giornali. Quasi fantasmi? Perfino il loro ingresso nel club dei miliardari di Spotify con una canzone originale, I wanna be your slave, sembra passare sotto traccia (un miliardo di stream non è roba di poco conto) con la stampa (e il pubblico) che reagisce con un lieve sbadiglio (se ne saranno accorti forse in tre o quattro).
Questo distacco si ricerca presumibilmente nel loro mantenere le distanze dalla madre patria: conferenze stampa, concerti e interviste in Italia sono diventati un miraggio, concentrati come sono sul palcoscenico internazionale. Anche i fan stanno cambiando rotta, abbandonando le vecchie fanzine, segno che qualcosa si sta sgretolando. C'è chi piange, scrivendo: “I Måneskin non esistono più”. C'è chi rassicura: “I Måneskin sono solo cambiati”. Quello spiffero che avevamo lanciato su queste colonne (quasi due anni fa), di un possibile piano B del frontman come solista (ben prima dell'Eurovision) sembra trovare conferma. Mentre il cantante si dedica al suo album (e presumibilmente mantiene una relazione di facciata, come la precedente), Victoria intraprende un tour da dj, e gli altri due sono a spasso. Niente di eclatante, come sostiene Marco Molendini, firma storica del Messaggero, che definisce la loro separazione “momentanea” un'azione strategica. Così il ritorno diventa solo una questione di tempo, una mossa ben calcolata per ravvivare l'interesse dei media, orchestrata sapientemente “dall'alto”, di chi ben bazzica il mondo degli influencer. È solo una pausa “leggermente stonata”.