Sembrava fosse finita e invece è appena iniziata. Quest’anno Più Libri Più Liberi è diventata più di una fiera culturale. È un simbolo e l’affaire Caffo, di cui vi abbiamo parlato qui, non è stato altro che l’espediente affinché una rivolta culturale stavolta detonasse. Portabandiera dell’iniziativa è la casa editrice indipendente Effequ, ma altre, come Racconti edizioni, si sono presto aggregate. Si tratta di boicottare la Fiera? Non esattamente. Ciò che viene messo in atto è piuttosto una forma di disobbedienza civile che, anche grazie alle polemiche di questi giorni, potrebbe avere una risonanza inaspettata e, per quello che ci riguarda, legittima. Il comunicato è stato pubblicato sui social dalla casa editrice e gli editori che concordano possono scrivere direttamente a loro. Si tratta di una risposta seria non tanto alla direzione di quest’anno, ma alla struttura stessa della fiera che ormai da anni risulta essere tra le più costose della filiera e anche tra le più contraddittorie, poiché non si oppone alla “logica iperproduttiva” che soffoca proprio quel tipo di editoria, piccola e media, che vorrebbe rappresentare. Allora non poteva esserci nessuna risposta migliore di questa:
Il comunicato del gruppo di editori indipendenti che non parteciperà a Più Libri Più Liberi
PLPL non ci saremo e vi spieghiamo perché. Siamo un gruppo di case editrici indipendenti che da anni ha deciso di non partecipare alla Fiera della Piccola e Media editoria, organizzata a Roma dall’Associazione Italiana degli Editori. Si chiama Più Libri Più Liberi, ha costi di accesso altissimi, e già dal nome inneggia a un meccanismo a cui noi non vogliamo appartenere.
L’AIE fa rientrare nella Piccola e media editoria imprese delle dimensioni più varie purché sotto il fatturato annuo di dieci milioni di euro. A tutte viene richiesto di comportarsi come i grandi gruppi editoriali, con un’unica parola d’ordine: produrre più libri possibile, alimentando il meccanismo della resa che genera profitto anche dalla non-vendita. E la distribuzione in Italia è un vero e proprio oligopolio, in mano a tre grandi gruppi editoriali, i quali detengono anche le principali catene di librerie. Le stesse che fagocitano le librerie indipendenti, e che da anni, tra l’altro, subiscono a Roma l’affronto di una Fiera organizzata a pochi giorni dal Natale che sottrae loro clienti e vendite vitali.
In Italia si producono più di 80mila titoli nuovi all’anno, circa dieci titoli all’ora. Un mercato saturo e alimentato dai grandi gruppi, ma anche dalle piccole e medie case editrici, costrette a produrre più di quanto potrebbero.
Una logica iperproduttiva che si riflette anche nella logica della proposta culturale della fiera, diventata un casellario da riempire in modo quasi indiscriminato e disattento, con pochi eventi curati da una direzione artistica (che spesso non guarda agli editori presenti in fiera ma ai grandi nomi di richiamo, innestando l’altrettanto tossico meccanismo che solo il nome richiama gente) e molti buttati via in tempi e spazi morti. La brutta vicenda degli ultimi giorni si mostra figlia della medesima logica di arroganza e disattenzione: se ogni cosa vale tutto allora tutto vale nulla, e l’intitolazione della Fiera a una giovane uccisa dalla violenza patriarcale si accosta senza problemi alla presenza di un autore denunciato dalla ex compagna per maltrattamenti.
Noi non vogliamo questo. Crediamo in una editoria che si possa permettere di produrre meno, e che possa basare la propria attività su un atto chiaro: la scelta. Chi pubblica sceglie, non solo cosa pubblicare, ma anche come e soprattutto quanto: ma se la regola è solo produrre, scegliere non serve più a niente.
Vogliamo lavorare per un’editoria diversa, sostenibile e umana, un modello alternativo all’unico che prospettano come possibile: più libero, in effetti.