L’ho scoperta per caso, scrollando su Instagram mentre cercavo una buona scusa per non affrontare i classici impegni quotidiani. Così mi sono imbattuto in un reel: una ragazza che suona un violoncello e una voce che sembra scrivere la colonna sonora di chi ha ancora voglia di credere nei sogni, i suoi e quelli dei propri coetanei, ma sa quanto sia facile cadere. Si chiama Diletta Fosso, ha 15 anni anni, frequenta il Conservatorio Vittadini e il Liceo Linguistico Cairoli e, con ogni probabilità, è una delle artiste più talentuose della sua generazione. L’ho incontrata, a Pavia, la città dove studia e registra i suoi brani. Come Nuvole, il primo uscito, che ha il peso specifico della leggerezza: "È per chi si sente in bilico, per chi ha paura di sbagliare, ma continua a inseguire quello che ha dentro". Una canzone sospesa tra pop e cantautorato, guidata da un violoncello – che ha un nome, Alfred, guai a toglierglielo – che non è solo uno strumento ma un’estensione della sua creatività. Diletta, mi ha spiegato, inizia a comporre le prime canzoni a 13 anni, dopo aver vissuto anche un episodio di cyberbullismo: "Hanno creato una chat dove mi rivolgevano una marea di insulti legati al mio aspetto fisico. Avrei potuto denunciarle, ma ho preferito trasformare tutto in qualcosa di musicale". Le sue canzoni, alcune le ho sentite in anteprima, non rincorrono le mode, le attraversano con grazia e senza paura di affrontare temi universali. Come Oltre il rumore, che uscirà il 25 aprile, e parla di guerra. Ispirazioni da Elisa a Olivia Rodrigo, innamorata della scrittura e dei tramonti, ha già vinto premi, partecipato a concorsi, e si dice pronta a qualsiasi tipo di esperienza ma essendo consapevole che il successo non è l’unico obiettivo: "Non ho un piano B. Vorrei solo vivere di musica. Anche in una band, o insegnando. Ma il violoncello non me lo toglie nessuno". Ecco, appunto: segnatevelo.

Diletta, a 15 anni hai ricevuto la benemerenza del Comune di Cura Carpignano, il tuo paese, “per l’impegno dimostrato nel campo della musica e del canto con l’augurio di una promettente carriera”. C’è chi ci arriva dopo molti anni, tu invece bruci le tappe.
Sono molto contenta, perché chi si occupa degli eventi nel Comune mi supporta tanto, mi segue, mi invita spesso. A volte mi fanno anche suonare durante le feste di paese, e io sono sempre molto contenta di partecipare. C’è una Pro Loco molto attiva qui da noi, quasi ogni weekend d’estate organizzano concerti. Insomma, è tutto molto bello.
La tua è anche una famiglia di musicisti, giusto?
Sì, mia madre ha studiato musical, e mio padre ha studiato composizione. A casa la musica è sempre stata presente. Io però ho capito che poteva essere davvero la mia strada alle medie, quando mi hanno fatto esibire davanti alla scuola. Dovevo suonare il violoncello e cantare un brano, ed è stato emozionante. Ma da lì ho capito che era ciò che volevo fare nella vita.

A scuola hai scoperto la tua passione, ma so che hai anche passato un momento complesso. Ti va di raccontarlo?
Ma certo, più che bullismo sono stata vittima di cyberbullismo. Dopo le elementari, alcune ragazze avevano creato una chat dove mi prendevano di mira. Un giorno, il 25 dicembre, tra l’altro proprio a Natale, ho aperto i messaggi e ho trovato una marea di insulti legati al mio aspetto fisico o estetico, con allegate foto e commenti bruttissimi e offensivi. È stata molto dura. Avrei potuto denunciarle, ma erano ragazzine e alla fine con la mia famiglia abbiamo soltanto avvisato i loro genitori. Alcuni erano increduli di quello che gli abbiamo raccontato, ma poi, quando gli abbiamo fatto sentire anche i vocali, si sono ricreduti.
Questa esperienza ha influenzato anche la tua musica?
Assolutamente sì. Non dico di aver provato rancore, però mi ha dato una spinta emotiva. Avevo bisogno di dimostrare che non mi avevano ferita al punto da bloccarmi.
E così è nata Nuvole, la tua prima vera canzone?
Esatto! Prima scrivevo cose più brevi, non vere canzoni. L’ho scritta circa un anno e mezzo fa, quindi quando avevo 13 anni e mezzo. A me è sempre piaciuto scrivere, anche racconti. Oltre a mio padre, che mi supporta da sempre, mi ha aiutato molto anche un mio professore di italiano che mi ha spinto a partecipare a un premio letterario, che poi ho anche vinto.
Come nasce un tuo brano?
Spesso comincio suonando qualcosa, poi mi confronto con mio padre e successivamente continuo a lavorare sull’idea. Non è un processo veloce: Nuvole l’ho rifinita per mesi. Spesso scrivo di getto, ma poi mi piace prendermi il mio tempo. E rivedere continuamente tutto.

Oggi, in particolare per i giovani, è sempre difficile “prendersi tempo” visto che il mondo sembra correre velocissimo.
È vero, lo noto nei miei coetanei. Ho compagni di scuola che ci tengono tantissimo a essere presenti sui social, ma in realtà mi supportano molto per quello che faccio. Alcuni hanno partecipato anche al video di Nuvole. C’è un ragazzo al Conservatorio che vuole fare il trapper e mi fa ascoltare i suoi riferimenti, e anche se è diverso da me, però cerco sempre di imparare qualcosa. Loro sono più influenzati dalla velocità che impongono i social.
Qual è il tuo rapporto con i social?
Per ora li uso in modo molto sereno. Non sento l’ansia dei numeri, né sui social né sulle piattaforme. Mi piace usarli per conoscere altri musicisti e fare tante collaborazioni.
Il 25 aprile uscirà un tuo nuovo brano, che affronta il tema della guerra. Si intitola Oltre il rumore. Mi sembra che non ti spaventino gli argomenti complessi.
No, perché è nato da una foto che ho visto su Instagram: una bambina in zona di guerra in grandissima difficoltà. Mi ha colpito tantissimo. Così ho deciso di dedicarle quel brano.
Anche in questo sembri distaccarti dalla tua generazione, visto che oggi, in tanti casi, gli artisti giovani parlano molto di loro stessi e poco dei grandi temi universali.
Da una parte è vero, ma forse perché vediamo tutto, costantemente, sui social. E questo può portare a perdere il senso della realtà che ci circonda. Ma dall’altra è positivo, perché ci rende più consapevoli e informati. Sarebbe bello, però, che si trasferisse di più nelle canzoni.

Intanto, le sirene della discografia si sono fatte sentire?
Sono in una fase nella quale cerco di cogliere ogni occasione. Anche ai casting di Io Canto Generation e The Voice Kids, dove sono arrivata ai callback finali anche se non mi hanno preso, ho studiato tanto per prepararmi e mi sono sentita migliorata. Io sono pronta a provare tutto, ovviamente se ritengono che possa esserne all’altezza. Su Instagram mi ha contattata qualcuno per offrirsi come manager, anche se per ora preferisco andare avanti con mio padre. Per me funziona così. Mentre un talent è vero che può essere una scorciatoia, ma è anche una macchina complicata. In alcuni format mi hanno chiesto di abbandonare il violoncello, perché sul palco mi rende, secondo loro, troppo statica. Ma ho rifiutato, per me è un tratto distintivo.
Con l’esplosione di Lucio Corsi all’ultimo Sanremo, sembra che si stiano aprendo nuove possibilità per gli artisti che non seguono per forza un percorso legato a talent e tv.
È quello che vorrei anche per me, però non mi dispiace nessuna strada. Perché in fondo non ho un piano B. Se non diventassi famosa, mi basterebbe soltanto vivere di musica: suonare in una band, in orchestra, insegnare violoncello. Per fortuna i miei genitori mi supportano.
Chi sono i tuoi riferimenti musicali?
Sicuramente Elisa. Mi piacciono molto i suoi testi poetici, da sempre. E poi Olivia Rodrigo: giovane, intensa, rock-pop. Oppure Sabrina Carpenter mi piace tanto per l’ironia. A Sanremo ho apprezzato Lucio Corsi e mi è dispiaciuto per Giorgia, che meritava di più.
Hai già in mente un disco, oppure non è un obiettivo?
Mi piacerebbe, ma non subito. Prima vorrei fare uscire altri singoli. E se un giorno farò un disco, vorrei che avesse un filo conduttore.
Anche perché, al momento, coniugare la scuola, il Conservatorio e gli impegni musicali non dev’essere semplice, no?
Effettivamente sono molto impegnata. Mi piacerebbe collaborare di più con tanti artisti, anche se a volte è difficile per via del tempo che manca. Frequento il liceo linguistico, studio tedesco e spagnolo. Mentre al Conservatorio ho degli insegnanti molto bravi, anche se alcuni sono più scettici verso il percorso pop, mentre altri mi sostengono e mi chiedono di portare i miei pezzi per un confronto. Amo la musica classica, ma il pop è quello che mi rappresenta.
Auto-tune sì, Auto-tune no, o Auto-tune come espressione artistica?
Se usato come effetto ci sta. Ma se serve a coprire stonature, invece no. Se lo usi perché non sai cantare si sente, si percepisce e non è piacevole da ascoltare. Alcuni produttori lo usano apposta per far sentire l’effetto robotico, ma io penso che debba avere un senso artistico.
Per ora, intanto, mi pare che l’unico strumento a cui non rinunceresti mai è il violoncello.
Ho iniziato a suonarlo a quattro anni. E il mio ha un nome, che gli ho dato io: si chiama Alfred. Prima ero attratta dal contrabbasso, ma ero troppo piccola per suonarlo, per cui mi hanno fatto provare il violoncello. Da allora è stato amore a prima vista. Ha un suono caldo, profondo, ed è perfetto per accompagnare la voce. E mai nessuno potrà dividermi dal mio Alfred!
