Altro che nostalgia, Vasco Rossi non è uno che vive nel passato. È uno che, semmai, resiste al presente. Lo fa a modo suo, con quella sua voce ruvida da eterno reduce della libertà, mentre fuori infuria un mondo sempre più distopico. “Viviamo un periodo molto buio”, dice il Komandante in una intervista a Marinella Venegoni su La Stampa. E non è solo la solita metafora rock da inizio tour: qui si parla di dittatori, bombardamenti e “valanghe di ignoranza” finite dritte al potere. La sua risposta? Un concerto di luce. Vasco fa il filosofo zen. Letteralmente. Due anni di letture a manetta: da Osho a Eckhart Tolle, passando per Thich Nhat Hanh e Rupert Spira. Roba da risveglio spirituale serio, mica citazionismo social: “Esiste solo il presente, l’adesso”, spiega. E lo fa con la calma di chi ha capito che “non siamo i nostri pensieri”, ma la consapevolezza di averli. Altro che “Voglio una vita spericolata”: oggi Vasco la rivede: "Sono una vita spericolata". Eppure, c’è qualcosa di profondamente politico in tutto questo. Mentre fuori sventolano ideologie impolverate, lui celebra la Resistenza, quella di suo padre Carlino, che preferì il lager piuttosto che combattere con i nazisti: “Ha preferito il campo di concentramento alla vergogna”. Ed è lì, tra botte e fame, che conobbe un compagno che gli salvò la vita. Si chiamava Vasco.

E allora sì, chi dice che il rock è morto forse ha solo smesso di ascoltarlo: “Il rock è un linguaggio che non muore, muta la forma ma lo spirito rimane”, rivendica. E mentre il mainstream si arrende al flow, Vasco risponde con la potenza di un riff e la dolcezza di un pensiero pulito. Le sue canzoni – dice – sono atti d’amore, anche quando provocano. Soprattutto quando provocano. Perché “la provocazione deve risvegliare le coscienze”. La scaletta del tour sarà tutta un inno alla vita, in ogni sua forma: “vita complicata, vita ostinata, vita celebrata”, spiega lui. Una specie di manifesto laico e rock contro il nichilismo digitale, contro la legge del più arrogante, contro l’odio diventato algoritmo. Altro che nostalgia da stadio. Vasco non si limita a fare concerti: costruisce riti collettivi di consapevolezza, con gli ampli a palla e le mani al cielo. E anche se ha un inedito nel cassetto, ammette che non ha fretta di farlo uscire. “Di canzoni ne ho già tante”, confessa. Perché oggi, forse, non è il momento di pubblicare un singolo: è il momento di dire qualcosa che abbia un senso. In un mondo che urla, Vasco sussurra. Ma lo fa col volume a mille.
