È poco più di un divertissement ma la notizia e il dibattito non richiedono altro. È anche il modo per ricordarci che idee e azioni sono cose diverse e che lo psicoreato, il crimine compiuto da chi ha pensieri discordi (anche spregevoli), è non solo una metafora orwelliana per le dittature ma uno dei rischi reali che il liberalismo combatte da qualche secolo. La domanda è: siamo sicuri che il generale Roberto Vannacci sia quel mostro di cui tutti parlano, giornali, tv, movimenti femministi? E siamo sicuro che l’unico modo per difenderlo dalla costante messa in croce sia dover difendere le sue stupide idee? Ormai nella grande scacchiera della società dello spettacolo le parti sono state già date, i ruoli sono presi sul serio e abbiamo chi vorrebbe vederlo sparire dai radar e chi lo vorrebbe leader politico. Ma si possono considerare orribili le sue opinioni senza per questo attaccare i suoi diritti, tra cui quello di parola. Per capirlo potremmo basarci su alcuni numeri, non del tutto indicativi ma più esplicativi delle sintesi. Numeri tratti dai suoi due libri, Il mondo al contrario e Il coraggio vince (Piemme, 2024). Il primo è un saggio sulle sue opinioni, una sorta di monologo politico-ideologico senza struttura. Il secondo è la sua autobiografia, il racconto della sua vita e delle sue idee nel mondo reale, non nello studio da cui ha scritto la sua opera prima. Il primo esemplifica il “mondo delle idee” di Roberto Vannacci, il secondo “il mondo della vita” del generale. Nel secondo a un certo punto riprende la sua risposta chi in televisione gli aveva chiesto come dovessero sentirsi i soldati gay e lesbiche sotto di lui: “Sono sicuro che si sentano garantiti! La garanzia è data dai fatti e dalle azioni, non dalle idee. Le leggi si occupano dei fatti e delle azioni, non delle idee”. Le cose stanno così?
In effetti i due libri sono profondamente diversi, dal momento che il primo parla delle idee e il secondo delle azioni del generale. Se le idee incidono sulle azioni, le idee diventano un problema. Per esempio: se l’idea di una razza superiore diventa persecuzione degli ebrei, allora qualcosa non va. Ma se le azioni restano, almeno in parte rilevante, separate dalle idee, allora le idee non sono un vero problema se non per degli inquisitori. E qui ci vengono in aiuto alcuni numeri: ne Il mondo al contrario Vannacci usa cinquantacinque volte il termine “gay”, tre volte il termine “lesbiche”, sessantacinque volte il termine “omosessuale”. Sono le sue idee e, innegabilmente, la comunità lgbtq+ è diventata almeno negli ultimi tempi “l’impero romano” di Vannacci. Ma se andiamo a vedere ne Il coraggio vince, invece, scopriamo che in circa duecentosettanta pagine il termine “omosessuale” (o “omosessualità”) compare solo quattro volte, e lo stesso con il termine “gay”, mentre il termine “lesbiche” torna anche qui tre volte. Nel racconto della sua vita, cioè, la presenza di vicende legate in modo diretto alla comunità lgbtq+ sono pochissime, irrilevanti. D’altronde è quello che continua a ripetere Vannacci, non solo nel libro ma nelle interviste e in televisione. Il modo migliore per prevedere qualcosa, a meno che non si creda che tutti siano potenziali sterminatori, è guardarsi indietro e capire come sono andate le cosa finora. Ciò che dice Vannacci non rappresenta, stando ai suoi quarant’anni di carriera, una minaccia concreta né all’interno nell’arma né in altri contesti. Anche l’ombra lunga sulla sua opinione riguardo a Mussolini sembra più una costruzione dei media. Nei suoi libri non si parla mai né di fascismo né del Duce. Certo, una persona con le sue idee, si è convinti, dovrà avere qualche simpatia per il fascismo. E magari è possibile sia così. Ma che peso ha nella realtà? Davvero le simpatie fasciste di un Vannacci, se non si risolvono in nulla di concreto, dovrebbero essere un tema di dibattito politico? La sinistra che si attacca a questo non finisce per commettere la stessa manipolazione di cui poi accusa la destra (e Vannacci) parlando di temi progressisti?