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Chiara Ferragni e Grissinbon, i meme su TikTok sono più intelligenti di te 

  • di Bruno Giurato Bruno Giurato

8 aprile 2024

Chiara Ferragni e Grissinbon, i meme su TikTok sono più intelligenti di te 
Una marca di grissini diventa un tormentone che non si capisce fino in fondo. Il segreto del meme è pura filosofia: esibire un significato che non c’è. E un libro di Pietro Montani spiega l’aspetto intelligente anche delle più stupide rappresentazioni digitali

di Bruno Giurato Bruno Giurato

Un meme che non si capisce che caspita significhi. Grissinbon è nato su TikTok e non ha niente di preciso da dire. Può essere satira, può essere vita, può essere niente. C’è anche una camminata Grissinbon. È un atteggiamento, una intenzionalità, sì. Ma quale? Boh. Tutto è partito dalla musica dello spot dei grissini (del 2010) ma, come succede spesso su TikTok, rallentata e abbassata di tono. Minore/dominante, ricorda l’Antro del re della montagna dal Peer Gynt di Grieg. A gennaio la musica è spuntata in un video con il wrestler John Cena. Qualche giorno dopo con Salvini. Grissinbon e il ministro di Trasporti che cammina per corridoi. Didascalia: “Io che alle tre di notte vado in camera dei miei perché mi servono fogli A3 e la matita H2 per la mattina successiva”. Al momento siamo a un milione di views con le riprese di diversi Tiktoker, che hanno cambiato il testo. Uno dei più belli: “Io che mi reco a scuola con uno stronzo al metro cubo su per il c**o”. 

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L'ultimo libro di Pietro Montani

A fine gennaio è spuntato il Grissinbon walk, fatto da @legendalreadymade (alias Black Willy Wonka) e qui siamo a milioni di visualizzazioni e migliaia di imitazioni. Il Grissinbon walk è una camminata lenta, caracollante, a gambe larghe e flesse, viene bene di notte per strada, in parcheggi deserti, centri commerciali vuoti, non-luoghi. Le didascalie sono sempre sospese. Robe di nascosto, piccoli imbrogli, ladrate. 
O denuncia sociale: “io che uso la camminata Grissinbon per difendermi dalle molestie a Milano”. 
O i casi in cui la scena resta uguale, prima senza e poi con la musica, quando arriva cambia il senso di tutto: la nonna in cucina, un portiere in allenamento, il cambio della guardia davanti a un’ambasciata. 
O anche niente. Altro meme classico della serie, passa qualcuno, normalmente, con le cuffie: “scusa che musica stai ascoltando?” “Grissinbon”. Poi si inquadra la persona mentre va via, parte la musica e si vede la camminata. C’è il senso di una qualche trasformazione, di qualcosa di furtivo, “eerie” direbbero gli inglesi. Ma boh.
Il genio del meme è il genio del boh, un genio indeterminato, una sospensione dei significati. Alcuni pensano che il meme sia un modo di condividere le proprie opinioni senza prendersi responsabilità, ma vale solo per i meme “politici”, che poi sono i meno divertenti e i meno interessanti.
II fatto è che il meme se ha un senso lo ha come “spostamento”, come frammento, come provocazione. Come abolizione. 

Magnifici quelli con i discorsi di Alessandro Barbero decontestualizzati, nei quali la grinta un po’ surreale dello storico-divulgatore serve a sottolineare piccoli moti quotidiani dell’utente-creator. Meravigliosi quelli con le musiche che suggeriscono un mood, come Makeba di Jain ( “Ooohe, Makeba, Makeba ma qué bellà”) o I see you dei Jutty Ranx (“You make me/make moves/I see you/yeah I see you”). Il primo sta nell’orbita di significato “quanto sono fica/fico”, il secondo nel “quanto mi piaci”. Ma le possibili variazioni e disdette sono infinite. 

Cose intelligenti? Forse no. Ma cose che fanno vedere come lavora l’intelligenza? Certamente sì. “Immagini sincretiche” per dirla con l’ultimo libro di Pietro Montani (appena uscito per Meltemi), il filosofo che sta indagando con più attenzione e sostanza di studioso di Kant, Heidegger, Ėjzenštejn, il mondo dell’estetica digitale. Le immagini sincretiche sono rappresentazioni che si muovono tra un regime mediale e l’altro e tra un regime di significato e un altro. Vero che la riproducibilità tecnica ha ucciso, per dirla con Walter Benjamin, l’aura dell’opera d’arte, ma è altrettanto vero che quel che si perde in mistica si guadagna in “spazio di gioco”. Gli elementi che compongono le rappresentazioni digitali si ricompongono in modi inesauribili. Musica, testo, immagini vengono ri-collegate in citazioni che non citano, se mai travisano e “ri-usano”. 

Montani, oltre a Eliot e Studio Azzurro, Picasso e Zerocalcare, tira fuori l’esempio del famoso selfie di Chiara Ferragni con il libro aureo di Benjamin. Sembrava che Ferragni tenesse il libro come un telefonino per farsi un selfie, ma quello non era un telefonino. O non era un libro ed era un telefono, invece? 
Questo spazio sospeso, sottratto agli esiti, è lo spazio in cui lavora l’immaginazione, po’ razionalizzando moti fisici (nel caso da cui sono partito il Grissinbon walk) e un po’ trasformando la riflessione in movimento. 
Racconta Montani che questo momentum ludico è anche ciò che lo psicologo Lev Vygotsky chiama “zona di sviluppo prossimo”, le emozioni intelligenti che il bambino interiorizza per creare il suo capitale semantico. 
Esempi di come lavoriamo con l’immaginazione, messi in luce dal fatto che il digitale è una forma sincretica e usa/riusa in maniera contestuale immagini, testo, movimento, significati. 
 
Una di queste forme sono quelle favole senza finale che si chiamano meme. Proprio perché esibiscono ma senza una conclusione. In fondo capire i meme è inutile: quanto più sono scemi tanto sono più intelligenti di te. Sono, semplicemente, te.

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