Preriscaldate il cervello a 180°: non so se qualcuno ha visto "La grande abbuffata", un film di Marco Ferreri, uscito nel 1973. Il cast è stellare: Mastroianni, Tognazzi, Philippe Noiret e Michel Piccoli. Essendo un film che ha cinquant'anni, non credo di spoilerare nulla se vi racconto che i quattro protagonisti si chiudono in una villa, decidendo di mangiare fino alla morte. Un anticipo della strategia all you can eat, ma con l'obiettivo di suicidarsi. Bene, non aggiungo altro sul film, se non che c'è una scena in cui esplode un cesso, provocando uno tsunami marrone che inonda tutta la villa, e già soltanto per questo motivo dovreste assolutamente vedere il film. Però, erano gli anni 70, il prodromo dell'abbondanza. Peli abbondanti, barbe lunghe, canzoni lunghe 20 minuti. Se la grande abbuffata fosse stata realizzata con piatti gourmet, non sarebbe morto nessuno dei protagonisti, e niente scena dell'inondazione diarroica, che già all'epoca era stata fischiata in sala, ma oggi verrebbe definita offensiva verso chi soffre di gastroenterite. Mettete il film con il programma TV in una terrina, e mescolate furiosamente con una clava: negli anni 60 l'analfabetismo era ancora a livelli altissimi, per cui si rese necessario mandare in onda il maestro Manzi, con l'idea di insegnare l'italiano agli italiani. Il programma si chiamava “Non è mai troppo tardi”, e grazie al lavoro di divulgazione alfabetica svolto dalla TV pubblica, pare che un milione e mezzo di italiani riuscirono a prendere la licenza elementare.
Accendete la TV ora, e ora vale come un sempre, nel senso che in qualsiasi momento voi la accendiate, sarà matematicamente impossibile non trovare un programma di gente che cucina o mangia, possibilmente cose gourmet. Il capostipite di tutto fu ovviamente MasterChef, che sta per iniziare la sua tredicesima edizione. Andando oltre la sua natura di reality show, che lo può fare apparire come un qualcosa di puro e innocuo, cerchiamo di capire quale è stato il suo vero impatto sulla società, al livello della percezione che abbiamo del cibo. Perché l'impatto c'è stato, oltre all'impasto, ed è stato anche forte. L'idea, come avvenne per il programma del maestro Manzi, è quella di una ri-alfabetizzazione alimentare. MasterChef ci ha costretti a ripensare, da capo e per intero, il nostro sistema di sapere sul cibo. Perché l'uomo è ciò che mangia, come diceva l'abusatissimo ma vero aforisma di quel gran filosofo che era Ludwig Feuerbach. Così, abbiamo imparato ad apprezzare e a tesaurizzare quelle ridicole porzioni di cibo, messo nel piatto come se fosse un'opera d'arte, e abbiamo scoperto di pensarlo davvero come un qualcosa di museale, e non come una presa in giro. Fin qui nulla di strano, l'idea di mangiare bene ha preso una direzione contemporanea, ed è inutile vagheggiare la stagione in cui una quattro stagioni era soltanto una quattro stagioni, e non aveva sopra il prosciutto di suino violoncellista di Afragola, i carciofi di Viterbo raccolti a mano dagli gnomi, i porcini del bosco di Nottingham e le olive di montagna essiccate con l'asciugacapelli. Il problema è altrove, negli effetti concreti ed economici che questa ideologia nutritiva ha avuto sulla quotidianità.
Prendete i 2 stipendi medi e metteteli nella centrifuga, dopo averli frullati asciugateli per bene utilizzando il bollo auto, le bollette del gas e un po' di scontrini della spesa settimanale: una volta interiorizzato il fatto che il cibo dev'essere meno, e dev'essere pagato di più, l'accettazione di tutto il resto diventa già più digeribile. L'impatto di quella che mi piace chiamare gourmetizzazione dei consumi sul quotidiano, che MasterChef ci ha fatto conoscere, è stato questo aspetto di coercizione-giustificazione rispetto a quello che chiamano shrinkflation, o sgrammatura, ovvero la procedura economica che consiste nel ridurre le quantità di prodotto mantenendo o aumentandone il prezzo. Procedura che, direi, è sotto gli occhi di tutti, ma che tende a essere da tutti avallata o comunque pensata come giusta. Se ci sono meno biscotti nel pacchetto, e il prezzo al kg è aumentato del 115%, siamo tutti naturalmente portati a pensarlo come giusto, perché l'azienda che li ha prodotti dice che ha usato tutte materie prime di prima scelta, afferma che non ha usato l'olio di palma, strilla di non inquinare, bisbiglia di rispettare le minoranze e l'ambiente in ogni ambito del marketing, dagli spot al packaging. Timeo multinazionali et dona ferentes: temo le aziende anche quando portano doni. La frase veniva detta, nell'originale di Virgilio, anche nel film La Grande abbuffata. Ogni affermazione di bontà e giustizia, da parte delle multinazionali, corrisponde sempre a un uguale e diretto aumento del prezzo, o riduzione della quantità di prodotto. È matematico, come una ricetta. Si, chef.