Amadeus passa al Nove, del colosso americano Warner Bros. Discovery, e apre di fatto la crisi della Rai, dopo che anche sugli ascolti il cda ha certificato il sorpasso di Mediaset rispetto alla tv pubblica. Una situazione che fa discutere, preoccupa il governo (che nomina i dirigenti) e sembra aver dato il via libera al fuggi fuggi generale dei big verso altre piattaforme, tradizionali o streaming. Per capire questa rivoluzione in atto ci siamo affidati a chi conosce bene il mezzo televisivo, oltre ai suoi risvolti più reconditi. Parliamo di Carlo Freccero, passato a metà anni ‘90 dalla creazione di Canale 5 e Italia 1 alla direzione di Rai 2 nei primi anni del 2000 (oltre a diversi altri ruoli apicali) e considerato anche uno dei massimi esperti internazionali di media, tanto da aver insegnato in diverse università. Infatti ci ha tenuto a precisare: “La morte della tv generalista era l’ipotesi che si faceva prima dell’avvento del digitale”. Per questo è convinto che “oggi c’è posto per tutti, purché siano fedeli alla propria identità mediatica”. Ma la Rai mantiene questa fedeltà? “La politica ha sacrificato la sua identità mediatica ad altri scopi”. Da questo sarebbe iniziata la deriva di Viale Mazzini, passata da divulgare “pedagogia, capitale culturale e informazione” a “propaganda”. Qual è l’origine della svolta? La Riforma Renzi, perché “dipendendo dal governo, qualsiasi contenuto viene fruito come propaganda”. In questo senso si spiegherebbe l’uscita dei volti più noti, perché “le star, abituate a lavorare sul mezzo e sull’audience, non si riconoscono più in questo contesto e cercano di esprimere altrove la propria professionalità”. Tanto che considera Amadeus “inaffidabile” in questo contesto. Mentre, secondo Freccero, c’è chi ha capito prima di altri il cambiamento in corso e potrebbe realizzare i progetti del proprio fondatore: “In un’epoca di piattaforme, Mediaset è l’unica ad aver compreso le potenzialità della tv generalista commerciale, tanto da voler costruire un network europeo che rappresenta anche la realizzazione del sogno di Silvio Berlusconi”.
Carlo Freccero, come vive il dibattito intorno alla Rai in affanno di questi giorni dopo che Amadeus è passato al Nove?
Il digitale ci ha introdotto nell’epoca della multimedialità e questo spiega che la tv generalista tradizionale può moltiplicare i suoi ascolti incrociandosi con i social. L’Auditel con la Total Audience, oltre a certificare gli ascolti sul piccolo schermo, certifica anche il consumo televisivo su altri dispositivi che noi usiamo abitualmente come il tablet o il cellulare. Ma l’audience tv è trascinata dalla discussione sui social di argomenti televisivi come ad esempio la serie Mare Fuori.
Ma la tv generalista è morta?
La morte della tv generalista era l’ipotesi che si faceva prima dell’avvento del digitale, in un contesto in cui ogni medium ridimensionava in qualche modo il precedente. In un contesto di multimedialità la tv generalista si è creata un ruolo stabile e importante per gli investimenti pubblicitari. Da ciò deriva l’interesse dei grandi gruppi multimediali come la Warner che intendono inserire anche la tv tradizionale in un universo in cui compare già la produzione di film, di serie e di piattaforme in cui il prodotto viene fruito liberamente senza palinsesto.
In questo contesto la Rai non sembra più attrattiva per i big. Lei come se lo spiega?
La politica ha sacrificato la Rai e la sua identità mediatica ad altri scopi. Con la “Riforma Renzi” il servizio pubblico è diventato un’emanazione del governo. Alle origini servizio pubblico significava ben altro. Prima pedagogia e capitale culturale. Poi informazione. Oggi, dipendendo dal governo, qualsiasi contenuto viene fruito come propaganda. Le star, abituate a lavorare sul mezzo e sull’audience, non si riconoscono più in questo contesto e cercano di esprimere altrove la propria professionalità.
Che giudizio esprime su quella che viene chiamata TeleMeloni?
Mi sembra indifferente il governo in carica rispetto all’aberrazione di una televisione dipendente dal governo, come nei regimi totalitari. Ma, ripeto, la riforma è stata fatta da Renzi e, già allora, rimasi stupito dal fatto che l’opinione pubblica non capisse che questa riforma strutturale strumentalizzava il servizio pubblico a fini propagandistici. Precedentemente, le nomine Rai dipendevano dal Parlamento. Nessuno ha criticato il passaggio dal Parlamento al governo. Il Parlamento è la sede in cui anche le opposizioni hanno diritto a prendere la parola. La riforma traghetta la Rai dalla politica alla “visione partitica del governo in carica”. E questo non può funzionare, indipendentemente dalle convinzioni individuali.
Le conseguenze oggi quali sono?
La visione del mondo della destra al governo è oggi spesso percepita come un corpo estraneo in una Rai che dava spazio a tutti, fuorché alla destra. Nello stesso tempo, però, anche l’ideologia woke, che è oggi appannaggio delle sinistre, non è condivisa da tutti gli spettatori. La soluzione migliore sarebbe mediatica: gestire la Rai per quello che è, sostanzialmente, cioè una tv generalista commerciale e come tale legata agli ascolti e a logiche mediatiche.
Le ingerenze politiche sui dirigenti Rai negli ultimi anni sono aumentate o sono sempre state forti?
Per rispondere bisogna guardare alla storia della Rai e in particolare a un fenomeno spesso criticato come la Lottizzazione nella prima Repubblica. I partiti di maggioranza e di opposizione si dividevano le tre reti secondo questa logica: Rai 1 alla Dc, partito di maggioranza, Rai 2 ai socialisti e liberali, Rai 3 all’opposizione comunista. E tutto ciò compatibilmente col concetto di canone che gravava su tutti, indipendentemente dalle convinzioni politiche individuali degli italiani.
C’è chi dice, come il critico tv Giorgio Simonelli, che le pressioni della politica ci sono sempre state, ma che la sinistra le faceva in modo più “educato” e “ipocrita”, mentre la destra in modo più “scomposto”. È d’accordo?
Tornando al passato, secondo quanto già esposto, il centro e le sinistre avevano da tempo propri rappresentanti in Rai, secondo una tradizione che affonda le sue radici nella Lottizzazione. Queste persone sono in Rai da una vita e hanno acquisito competenze che la destra, esclusa dalla Rai anche all’epoca della Lottizzazione, non ha mai potuto maturare. Quindi, più che di scompostezza, si tratta di mancanza di competenze specifiche che provocano nella struttura Rai un diffuso malcontento. È difficile lavorare con dirigenti che vengono concepiti come un corpo estraneo all’azienda.
Lei ha mai ricevuto pressioni politiche in passato?
Non ho mai avuto pressioni politiche e anche per questo motivo presso i partiti ho sempre avuto la fama di “inaffidabile”. Non solo in Italia, ma anche in Francia. In compenso sono stato spesso censurato a posteriori, come dimostra la mia carriera accidentata. Personalmente ho sempre avuto orrore della censura e per questo non l’ho mai esercitata subendo le conseguenze delle mie convinzioni. Quando mandai in onda la puntata di Satyricon di Daniele Luttazzi con ospite Marco Travaglio, la notte stessa ricevetti telefonate che mi avvisavano che la mia carriera finiva lì.
Quindi Amadeus ha fatto bene a passare al Nove?
Amadeus era diventato “inutilizzabile”, poco “affidabile”, per le ragioni che le spiegavo prima, quindi incompatibile con la Rai declinata alla propaganda. Mentre sul Nove può trovare una piena valorizzazione.
Il Nove con Maurizio Crozza, Fabio Fazio e ora Amadeus dove vuole arrivare, a diventare davvero il terzo polo?
Gli acquisti del Nove delineano già il palinsesto del suo prime time. Quasi tutte le caselle sono state riempite: la satira con Maurizio Crozza, i format con l’ottimo condutture Gabriele Corsi, il talk di spettacolo con Fabio Fazio, i prossimi talent con Amadeus. Mi sembra di rivedere l’epoca d’oro in cui Telemilano si trasformava in Canale 5. Credo che a questo punto Discovery abbia tutte le carte in regola per fare concorrenza all’attuale duopolio.
Intanto a beneficiare delle debolezze altrui sembra essere Mediaset. Come valuta il nuovo corso scelto da Pier Silvio Berlusconi?
Penso che in un’epoca di piattaforme, Mediaset sia l’unica o la prima televisione ad aver compreso le potenzialità della tv generalista commerciale, tanto da voler costruire un network europeo che rappresenta anche la realizzazione del sogno del suo fondatore Silvio Berlusconi.
Pier Silvio Berlusconi ha tentato di eliminare il trash da alcuni programmi, ma alla fine sembra che senza trash non ci siano ascolti. Sono contenuti inevitabili ormai?
Il trash è sempre un fenomeno locale, che affonda le sue radici nella pancia del Paese, ma ha il difetto di non essere esportabile. È logico che se abolisci il trash, il programma perda i suoi fan locali. Ma questo ha un senso in una prospettiva europea. Poi le scelte di programmazione e di produzione non possono avere successo al cento per cento. Una buona percentuale è già un buon successo. Un dieci percento di insuccessi, forse anche più, è fisiologico.
Non bisogna dimenticare che, oltre a Discovery, è sempre più forte la concorrenza di piattaforme streaming come Netflix che propongono sempre più contenuti “generalisti”. La loro strategia è di affiancare la tv tradizionale o di spazzarla via?
Questa era la convinzione prima del digitale e della multimedialità. Oggi c’è posto per tutti, purché siano fedeli alla propria identità mediatica. Se la tv generalista deve fare la tv generalista, anche la piattaforma deve fare la piattaforma per avere successo.