Non è della musica che parlano quei napoletani che stroncano il “secondino” Emanuele Palumbo, in arte Geolier, che porterà al Festival di Sanremo 2024, un brano dal titolo “I p’ me, tu p’ te” (io per me, tu per te). Geolier, che è uno degli artisti che ha più venduto nel 2023, il primo che riempirà tre volte lo stadio Maradona. Geolier, che come dicono quelli che ne sanno, riporta il napoletano all'Ariston da cui era stato, di fatto, improvvisamente bandito, e infatti il suo debutto è attesissimo. Il rapper è da record, come certe critiche sugli errori che riguardano il testo sanremese, scritto senza rispettare alcuna regola del napoletano. In sintesi, è scritto così com'è parlato. Una modalità tipica del rap made in Naples, che non ferma però il giudizio tranchant dei “criticologi”. In particolare, lo scrittore Maurizio De Giovanni, che amareggiato commenta (senza mai nominarlo): “È una lingua antica e bellissima, con la quale sono stati scritti capolavori immensi. È un patrimonio comune, ha un suono meraviglioso, unisce il maschile e il femminile come fa l’amore. Non merita questo strazio”. Poi aggiunge: “Basta chiamare qualcuno e farsi aiutare. Un po’ di umiltà…”.
Segue Angelo Forgione, scrittore e divulgatore storico, che si esprime a sua volta: “Spaventato già dal titolo, ho letto oggi il testo della canzone di Geolier per il Festival di Sanremo. Non sono arrivato alla fine che mi è improvvisamente calata la vista e poi mi è apparso Salvatore Di Giacomo sanguinante in croce. Vocali sparite, totale assenza di raddoppio fonosintattico delle consonanti, segni di elisione inesistenti, o inventati dove non ci vogliono (vedi il titolo). Una lingua perfetta per il rap e non solo, ma il Napoletano, non questo scempio. E chi non prova imbarazzo è complice dell'offesa dell'alta dignità dell'unico sistema linguistico locale d'Italia di respiro internazionale, proiettato sull'orizzonte artistico globale proprio attraverso la Canzone. È la deturpazione dei costumi. Altro che ananas sulla pizza”. Finita qui? Macché. Gianfranco Gallo (anche fratello di...) la butta sull'ironia, anche un po’ razzista: “[...] Il testo è in dialetto congolese stretto. Speriamo che vinca - in un successivo post incoraggia comunque Geolier - così andiamo all'Eurofestival con un testo africano”. Solo pipponi benpensanti sull'autenticità della lingua napoletana? Evidentemente...
Già Alessandro Siani, ai microfoni di Gianluca Gazzoli (nel podcast Passa dal BSMT, durante le feste natalizie), si era dilungato sulla questione. In sintesi, il suo pensiero si può racchiudere così: lo slang è in continua evoluzione, e partendo dai mostri sacri come Troisi e Totò, introduce termini che facilitano la comprensione da nord a sud. Ma si addentra ancora meglio Federico Vacalebre, critico musicale, colonna storica del Mattino (da oltre 40 anni), nonché caposervizio Cultura e Spettacoli del quotidiano, che sull'argomento dibattuto in queste ore ha tenuto (qualche mese fa, in tempi non sospetti) un corso al Teatro San Carlo: da Salvatore Di Giacomo a Geolier. “È chiaro che quello di Emanuele è un napoletano ‘corrotto’, di strada, può non piacere ma è quello parlato. Chi chiede di correggere il testo - commenta Vacalebre - non capisce che poi non renderebbe. Per parlare il napoletano, prima di fare ‘i soloni’, è necessario che quella lingua c'appartenga. E la lingua si adatta ai tempi, altrimenti, per esempio, invece di 'O sole mio, avremmo Lu sole mio (e via discorrendo). Basta pensare che quando è stata scritta (due secoli fa), la città di Napoli era declinata al maschile...”.
Spiega più esaustivamente: “Sulla lingua si possono alimentare tante discussioni, ma occorre anche precisare che non esiste una grammatica per il napoletano, e per questo napoletano a maggior ragione, che è uno slang. In tempi di fluidità sessuale, pensare che questo sia un reato di lesa maestà è francamente discutibile. Forse un altro team avrebbe permesso a Emanuele di scrivere in modo più intelligibile, è questo che fa arrabbiare i detrattori, che non capiscono quello che dice, e diventano più torinesi dei torinesi…”. Questo dovrebbe far capire quanto siano autoreferenziali e lontani dai giovani certi giudizi. Si può parlare di puzza sotto il naso e persino di auto-razzismo?