Sul Foglio, Ferrara non usa mezzi termini: la serie in sei episodi targata Netflix è “impresentabile”, mentre il romanzo di Tomasi di Lampedusa resta una chiave fondamentale per comprendere la nostra storia. Il Gattopardo, scrive, è “racconto civile di come siamo stati fatti”. E allora, davvero non c’è nulla da salvare in questa ambiziosa trasposizione con Kim Rossi Stuart (Principe di Salina), Saul Nanni (Tancredi) e un cast ricco di volti noti del cinema italiano? Il giornalista continua la sua critica esortando i lettori a spegnere la tv per tornare al libro, perché la serie, a detta sua, avrebbe addirittura “tradito e irriso il romanzo, sepolto dalla goffaggine seriale, addizionato con tutto l’inessenziale e l’esteriore”. La critica è sì audace, ma nella riflessione di Ferrara si legge un tema più profondo, che prende spunto proprio dal Gattopardo per andare oltre la semplice stroncatura del prodotto Netflix.



“Una chiave modernista per rileggere il capolavoro però c’è”, aggiunge e la individua nel clima: non quello politico, ma quello atmosferico. Oggi il discorso sulla fine del mondo e sul riscaldamento globale è dappertutto, ma Il Gattopardo parlava già, quasi un secolo fa, a suo modo, di una Sicilia schiacciata dall’arsura, dall’immobilità soffocante dell’estate, da piogge torrenziali. Il punto di svolta del ragionamento di Ferrara è netto: Il Gattopardo non è solo un romanzo storico, ma“un libro sul clima siciliano, sulle arsure che immobilizzano, che stancano, che ottundono.Racconto civile, amoroso, triste e sornione di come siamo stati fatti, plasmati e condizionati da una natura canicolare che ci ha sempre prevaricati”. E allora, paradossalmente, per capire davvero il clima, oltre alle statistiche, forse bisognerebbe recuperare Il Gattopardo. Perché, scrive Ferrara, “è una sublime testimonianza dell’eternità climatica”.

