Quanto so maneschi i Måneskin. Il fatto è noto: gli Who de noantri, alias Damiano e soci, spaccano gli strumenti sul palco a Las Vegas alla fine del tour nordamericano (mentre Fedez si fa i selfie) e i populisti del rock la menano dura, sulla tastiera. “Vedere una chitarra in frantumi è uno schiaffo ai sogni e alla miseria”. Potevano risolvere la fame del mondo, e invece niente. E vai con la retorica spiccia e l'indignazione a pioggia, stavolta ci tocca fare l'avvocato del diavolo. Proprio noi, che alla band non abbiamo mai fatto passare niente, a differenza altrui. Sarà lo spirito natalizio che scorre nelle vene? O sarà piuttosto che conosciamo la storia del rock?
A ogni modo, gli spacca chitarre non sono una novità, è vero. Possibile pure che fosse una posa, anzi sicuramente. Scommetto che Thomas la sua Fender preferita l'avrà messa al sicuro, e gli strumenti a fine show siano stati sostituiti velocemente con pari altri di scarso valore. Mica so scemi. Eppure parliamo di gesto sano (eccetto il tag allo sponsor Gucci), lecito: la ribellione e la rottura distinguono il rock da tutto il resto, cari spacca-tastiera. Allora, Paul Simonon (The Clash: vi ricordate la copertina di London Calling?) sbagliò a farlo perché l’aveva già fatto Pete Townshend (The Who)? Ma che significa. Sempre su un palco siamo, e ogni generazione deve spaccare la sua chitarra (o bruciarla, pensiamo a Jimi Hendrix), e se l'hanno fatto gli Omini a XFactor (ma chi cazzo so?) lo possono fare pure i Måneskin. Lo devono fare, anzi. Per una volta che fanno qualcosa che assomiglia al rock 'n roll! Alla fine non è importante definire chi fu il primo a fare cosa. Pete Townshend, già citato, per fare i puntigliosi, che rimane anche lo spacca chitarre più famoso (senza dimenticare il caro Kurt Cobain), ma che si continui a fare, se la voglia di “spaccare” resta.
E a proposito di spaccare, non male l'ultimo singolo a sorpresa, La fine. Un brano in italiano (solo due nel prossimo disco, peccato!), con attacco che auto coverizza la sanremese Zitti e buoni. Sarà voluto o erano finite le melodie degli altri? In ogni caso, come notano i fan (sempre un passo avanti), la parte strumentale non è manco recente, ma di ben due anni fa, ideata in piena quarantena (tempi del disco passato) usando a modo la cover di Black Skinhead. Particolarità che non sorprende, e anzi influisce positivamente sul testo, non ai livelli di Vent'anni o Coraline, ma comunque degno, e che sa di vissuto, finalmente. Segno che strizzare l'occhio al pop americano non serve, visto le scialbe canzonette finora sfornate. Sperando di non ricrederci nell'arco di un pandoro, e ritrovarci dopo le feste Tom Morello (prossimo feat di peso) in reggicalze e minigonna.