L’uscita della serie sul caso di Elisa Claps su Netflix è stata accompagnata da un insolito silenzio. Sarà che la serie era già stata trasmessa in prima serata su Rai Uno lo scorso inverno, ma il potere della piattaforma ormai lo conosciamo. E, come l’onda mediatica che ha spaccato in due il pubblico per la colpevolezza o meno (ricordiamo che siamo sempre in presenza di una sentenza di terzo grado) di Massimo Bossetti che sta scontando la pena dell’ergastolo per l’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio, ci aspettavamo anche qui un po' la stessa cosa. Nel caso dell’indagine sulla scomparsa di Elisa prima, e per la sua morte dopo, i sospetti erano rivolti in due direzioni principali: la chiesa della Santissima Trinità di Potenza, l’ultimo luogo in cui è stata vista viva, e verso Danilo Restivo, il ragazzo con cui aveva appuntamento il giorno in cui si persero le sue tracce. In questo mosaico si inserisce la figura di Don Mimì Sabia, parroco della Trinità: è possibile avere un cadavere nella propria casa per diciassette anni e non saperlo? Secondo la famiglia Claps ci sono delle responsabilità riconducibili alla chiesa che ancora non sono state riconosciute. Lo stesso Gildo, fratello di Elisa, ci ha raccontato dell’atteggiamento che la chiesa di Potenza ha avuto nei confronti della sua famiglia per tutti questi anni: “Un comportamento pessimo sotto ogni profilo. Qualcosa di davvero inqualificabile, mancanza totale di rispetto. Professano la carità cristiana ma il loro comportamento è lontanissimo da quei principi. Un’ostilità continua”.
Ricordiamo che Elisa è stata ritrovata nel luogo in cui sì, era stata vista viva per l’ultima volta, ma un luogo in cui però non era mai stata cercata. Incredibile ma vero. Ma come ci è finita Elisa lì? Quel giorno aveva appuntamento in chiesa con Danilo Restivo che la convince a salire fino in cima, forse promettendole una vista molto bella su tutta la città. Lì Restivo tenta un approccio, Elisa cerca di scappare ma non ce la fa. Tredici colpi inferti da un’arma da taglio appuntita, forse una forbice. Poi le taglia una ciocca di capelli da tenere come souvenir. La sua firma. Ma qualcuno ha aiutato Danilo a nascondere il corpo si Elisa? Ed è qui che fa il suo ingresso nella storia Don Marcello Sabia, conosciuto come Don Mimì, che morì ultraottantenne nel 2008, due anni prima del macabro ritrovamento. Il giorno in cui Elisa scomparve Don Mimì era partito per Fiuggi per delle cure termali prenotate già da tempo. Fu però “costretto” a rientrare a Potenza dopo la convocazione in Questura, dove raccontò di non conoscere Elisa e di “conoscere appena” Danilo. A smentire questa affermazione fu Danilo stesso durante il processo. Non solo, a Potenza tutti sapevano che Don Mimì Sabia avesse rapporti con la famiglia Restivo, del resto Danilo era anche in possesso delle chiavi della chiesa della Santissima Trinità. Quindi era libero di entrare e uscire a suo piacimento. C’è anche una foto scattata alla festa dei suoi diciotto anni che li ritrae insieme, quindi altro che “conoscerlo appena”. L'arcivescovo Salvatore Ligorio ha parlato così di Don Mimì Sabia: “Non l’ho conosciuto. Ma da quello che ho compreso è che era una persona dal temperamento forte, vecchio stampo, come forse erano stati educati i sacerdoti della sua epoca i quali pensavano di essere custodi della propria comunità. Se fosse realmente venuto a conoscenza che nel sottotetto della Trinità ci fosse stato un cadavere appartenente in questo caso ad Elisa, non sarebbe sopravvissuto neanche un minuto. Non avrebbe retto alla paura. Gli hanno addebitato accuse improprie”.
C’è un altro particolare nel caso di Elisa che potrebbe avvicinarci a Don Mimì Sabia: un bottoncino di tessuto rosso porpora ritrovato accanto al corpo della sedicenne. Non si parla mai abbastanza della fotografia mostrata per la prima volta nel 1999 dalla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto”: all’abito talare di Don Mimì mancava proprio un bottone color porpora. Anche questa una coincidenza o un elemento che potrebbe stringere il cerchio? Il bottone è stato ritrovato nell’angolo tra il pavimento e la parete, nel sottotetto della chiesa, insieme ad altre tracce microscopiche di tessuto rosso rinvenute proprio accanto al corpo di Elisa. Lecito domandarsi a cosa potrebbero appartenere, anche perché il 12 settembre del 1993 ne Elisa ne Danilo indossavano vestiti potenzialmente riconducibili a quel bottoncino. Può Elisa averlo strappato al suo assassino prima di morire, o magari può essere appartenuto a qualcuno che è entrato nel sottotetto in un secondo momento? Danilo è colpevole di aver brutalmente ucciso Elisa, ma non può aver fatto tutto da solo.