Abbiamo intervistato Mario Natangelo, il vignettista de Il Fatto Quotidiano, capace di scuotere politiche e persone ogni qual volta che, con un pennello e dei colori in mano, dà forma e parola ai suoi pensieri imbevuti di stringente attualità. Da Joe Biden alla famiglia Lollobrigida le vignette di Natangelo hanno fatto il giro dell'Italia e del mondo. Il segreto del suo successo? Essere divisivo, nonostante tutto, nonostante tutti. Noi di MOW al Passaggi Festival di Fano gli abbiamo chiesto se in Italia si sente davvero libero di dire e scrivere quello che pensa, se all’estero le cose funzionano diversamente (e meglio) e come è nato il suo libro, Cenere - Appunti da un lutto, capace di unire generazioni intere intorno alla sempiterna lotta al dolore per la morte, libro che è divenuto un punto di riferimento per chi si sente vuoto (anche se ha solo paura) e soffre. Ma come ha fatto Natangelo a rappresentare il tormento di chi vive cullato dal ricordo di qualcuno che non c'è più? Un po' come faceva Rothko quando dipingeva con colori accesi il male più profondo, così Mario ha scelto il giallo e il bianco per raffigurare un'anima devastata dalla perdita.
Mario sei originario di Scampia: quanto e cosa del luogo in cui sei nato si riflette nelle vignette che crei? In che modo le tue radici si sono sedimentate nel tuo linguaggio?
Più mi allontano da casa, più sento forte l'appartenenza alla mia cultura, la rivendico sempre più. Vivo a Roma da 15 anni, sono scappato da Napoli. Una volta andato via, ti rendi conto che non avresti più voluto restare lì. Ma ti devo dire che mi diverte disegnare personaggi che parlano con la mia stessa inflessione, perché riesco a riportare un po' di quella identità su pagina.
A Scampia la situazione oggi è diversa rispetto a tanti anni fa, o no?
Sì, a Scampia le cose sono molto cambiate. Quando ci vivevo io, c'era la guerra vera. Ma per me era la normalità. C'è una frase che mi piace molto: "Ai tempi del nazi*mo, non si sapeva di vivere nei tempi del nazi*mo". Ecco, quando io vivevo a Scampia, non mi rendevo conto davvero di dove stavo. Quando mi trovo in situazioni difficili anche nei viaggi che amo fare da solo, ripenso a dove sono cresciuto e a ciò che ho imparato lì, al mio passato. Devo dire che sono grato di esserci nato: sento la cultura di quel luogo ancora più forte quando sono lontano. Riscontro continuamente le mie radici e oggi però noto il cambiamento culturale di Napoli, ora preda di Airbnb e turisti. È diventato tutto un po' troppo "instagrammabile" per i miei gusti, un po' un pugno in faccia. Mi sento vecchio a dirlo, ma Napoli non è più quella che conoscevo e temo che col tempo possa perdere sempre di più la sua autenticità.
C'è più libertà d’espressione fuori dall’Italia?
Nei Paesi dove ho vissuto, come Spagna e Francia, c'è una tradizione di laicità e libertà di espressione che invidio. In Francia, questi valori sono radicati nella cultura, mentre in Italia sembra che non ci appartengano e che la gente non li comprenda né li desideri. Abbiamo costruito una società in cui non puoi esprimere niente che implichi un secondo livello di lettura. Spesso ci lamentiamo che gli algoritmi siano stupidi, ma è proprio così che spesso la gente ragiona.
Cosa ti è rimasto del tuo percorso universitario in giurisprudenza?
La giurisprudenza ti insegna a guardare le cose con attenzione, a soppesarle e a capire bene ciò che hai davanti. Mi ha insegnato a prestare molta cura nella scelta delle parole, e il mio lavoro è basato proprio su questo. È difficile che qualcuno ti quereli per un disegno, ma possono farlo per ciò che scrivi sopra.
Quando è arrivato lo scatto verso il fumetto?
Ho sempre disegnato. Ho iniziato sul giornalino dell’istituto, trattando temi come: il preside, la vita scolastica e la politica, quella vera, nostra, fatta da noi studenti. Una volta fui addirittura convocato dal preside per una vignetta in cui lo avevo definito un buffone anche se poi gli spiegai che non era certo mia intenzione attaccarlo personalmente.
Cosa bisogna dosare con cautela mentre realizzi una vignetta?
Diciamo che a volte mi sono domandato se fosse opportuno pubblicare certe vignette, e in alcuni casi ho deciso di non farlo. Mi sono chiesto se mi stessi esponendo troppo e in modo sbagliato e così mi sono fermato.
Hai mai pensato di esserti precluso delle opportunità in favore di una ricerca di maggiore libertà d'espressione?
Alcuni lavori li ho rifiutati e altri li ho persi. Lavorando per Il Fatto Quotidiano, che mi dà una base solida e molta tranquillità, posso permettermi di dire quello che voglio.
A Dimartedì hai detto che quando commentano un tuo lavoro "questa è una schifezza" per te questa esternazione corrisponde al premio più grande. Ma qual è il premio peggiore invece per un vignettista?
Raramente mi è stato chiesto l’origine di una vignetta, e di questo, in un certo senso, me ne vanto. Sai, credo che non sia un bene piacere a tutti. Essere divisivo fa parte del mio lavoro, anche se non è sempre facile. Vorrei fare vignette su argomenti più leggeri come le coppie o l’ansia, ma spesso mi trovo a dover affrontare temi difficili come la guerra in Ucraina. Questo significa che il mio pubblico è davvero interessato a ciò che faccio, anche se a volte può spaccarsi.
Passiamo al tuo nuovo libro Cenere, in cui racconti la perdita di tua madre. A chi ti sei ispirato per realizzarlo?
Non ho pensato a Cenere come a un lavoro che dovesse seguire un modello specifico. Ho semplicemente buttato su pagina ciò che sentivo, raccontando in modo naturale la mia storia. Per elaborare quello che stava succedendo attorno a e ho cercato risposte nei libri e, alla fine, quando ho deciso di realizzare un libro ho chiesto la prefazione a Erri De Luca, che ha accettato con piacere. Non ho cercato ispirazione esterna, ho solo guardato dentro di me.
Cenere è ricco di colori. Ci spieghi come mai?
In questo caso, il colore ha una predominanza importante è vero. Ci sono effetti di colore ricorrenti, come il giallo, che ho usato inconsapevolmente nei momenti più drammatici. Il giallo e il nero li ho sfruttati per esprimere sentimenti più cupi, specialmente quando appare in alcune pagine questo mostro senza faccia e senza nome.
Se tua mamma fosse un colore, quale sarebbe?
Bianco, che è tutti i colori e nessuno di essi allo stesso tempo.
Questo libro è molto amato. Qual è il commento più bello che hai ricevuto?
Ho ricevuto tantissimi commenti belli. Raccontando la mia storia, è come se mi fossi seduto attorno a un fuoco e la gente avesse iniziato a raccontarmi le loro. Il più bello è stato: "Mi hai fatto ridere tanto". Se qualcuno riesce a ridere con una storia così tosta, allora ho vinto io.
Questa è stata la sfida più grande?
Sì, decisamente