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Intervista ai Bluebeaters: “Quella volta a casa di Gino Paoli...”. E su Ornella Vanoni, il Sanremo con Neffa, i Kolors, l’industria musicale e la salute mentale...

  • di Benedetta Minoliti Benedetta Minoliti

29 luglio 2024

Intervista ai Bluebeaters: “Quella volta a casa di Gino Paoli...”. E su Ornella Vanoni, il Sanremo con Neffa, i Kolors, l’industria musicale e la salute mentale...
I Bluebeaters celebrano quest'anno i trent'anni di carriera. Tra concerti in giro per l'Italia e un nuovo singolo, "Mantra", che anticipa l'album in uscita nel 2025, il supergruppo ci ha raccontato dell'incontro con Gino Paoli, del "no" di Ornella Vanoni, delle difficoltà che i giovani incontrano nell'industria musicale e dei Kolors...

di Benedetta Minoliti Benedetta Minoliti

Quella con i Bluebeaters è la classica intervista che una volta fatta vorresti raccontare a tutti gli amici, anche a quelli che di musica non capiscono un caz*o. Abbiamo parlato con alcuni membri del supergruppo, Gianluca "Cato" Senatore, Patrick "Pat Cosmo" Benifei e Ferdinando "CountFerdi" Masi, poco prima del loro concerto a "Città dell'altra economia" a Roma, per parlare non solo del nuovo singolo "Mantra" e del loro progetto musicale in uscita nel 2025, ma anche di passato e futuro, di salute mentale, di scrittura, con tanti aneddoti di una band che da trent'anni fa parte della storia della musica italiana. I Bluebeaters hanno tanto da raccontare, sia sul palco che fuori, e questa intervista ne è la dimostrazione.

The Bluebeaters
The Bluebeaters

Il vostro è il pubblico dei cellulari e di mille stories o pensa più a ballare e divertirsi?

Gianluca "Cato" Senatore: Il nostro è un pubblico un po' agé, non ci sono i ragazzetti. Non significa che non ci siano i giovani, ma l'atteggiamento è partecipativo.

Patrick "Pat Cosmo" Benifei: Non è quello dei concerti estivi che vediamo in televisione, dove tutti sono con i cellulari. È quel tipo di pubblico a cui piace ancora la musica e a cui piace interagire.

Vorreste più giovani ai vostri concerti?

CS: Beh sarebbe bello, perché sono le nuove generazioni che alimentano la musica. Ci sono artisti che sono riusciti ad essere intergenerazionali. I genitori vengono a vederci, mentre i figli vanno a vedere altro, ma qualche illuminato c'è.

PC: Poi se c'è la serata col DJ dopo i nostri concerti i giovani vengono a vederci, ci conoscono e rimangono sorpresi da quello che facciamo.

Avete qualche rimpianto rispetto a questi 30 anni di carriera?

CS: Questa è una domanda che dovrei fare al mio analista, aspetta che mi consulto con lui e tiriamo fuori la risposta (ride, ndr.). Scherzi a parte, ne potremmo avere tanti.

PC: Ma vanno lasciati alle spalle! Siamo quello che siamo stati e saremo quello che saremo. Le nostre scelte sono mediate da tutti, essendo una band soprattutto in questo momento tutto quello che succede è una scelta collettiva.

Ferdinando "CountFerdi" Masi: Ci sono tanti alti e bassi, quello sì, ma come in tutti i mestieri legati alla musica e all'arte.

The Bluebeaters
I Bluebeaters al completo poco prima del concerto a Roma del 16/07/2024

Mi raccontante un aneddoto, qualcosa che non avete mai raccontato a nessuno?

PC: Quando siamo andati a Sanremo con Neffa, CountFerdi ha deciso di arrivare con mezz'ora di ritardo e non convinto ci ha detto "va beh, dai, tanto ci aspettano". È stato un momento imbarazzantissimo e il direttore di palco ci fece il c*lo dicendoci "qui ci sono 150 persone dell'orchestra che stanno aspettando un batterista!".

CS: Se dobbiamo sceglierne uno bello, quando uscì la nostra versione di "Che cosa c'è" con Gino Paoli girava in radio e non ci rendemmo subito conto di quanto questo brano stesse funzionando. Lo capimmo solo quando facemmo un concerto al Live di Trezzo e ci ritrovamo le macchine a momenti parcheggiate in autostrada a bloccare l'uscita di Trezzo. 

E com’è stato conoscere Gino Paoli?

CF: Sono andato a casa sua insieme a Bunna (fondatore degli Africa Unite, ndr.). Il figlio di Paoli aveva detto al padre "perché non fai un brano con i Bluebeaters, così suoni davanti ad un pubblico diverso". Così veniamo convocati a casa sua a Recco, dove c'era anche Beppe Vessicchio. Mangiamo, ci racconta un sacco di aneddotti, ci parla della pallottola nel costato, e poi andiamo in questa stanza dove scriveva e aveva il pianoforte e ci dice "facciamo due pezzi e poi magari potremmo fare qualche data insieme nei club". Pensa che io per fare lo spiritoso gli ho risposto "eh adesso non esageriamo". Lui se l'è presa un casino, è uno super permaloso. Alla fine abbiamo fattto 4-5 date insieme ed è stato bellissimo. 

E quando avete registrato com'è andata?

CF: Ad un certo punto abbiamo avuto l'idea di coinvolgere anche la Vanoni, per ricreare un po' la coppia con Gino Paoli. Ha cantato il pezzo ma non ha mai voluto farlo uscire.

Sapete il perché?

CS: Ha bellamente detto che non le piaceva.

CF: Le abbiamo chiesto di pubblicarlo sia nel '99 che l'anno scorso, ma ha detto sempre di no. Ha detto di nuovo che non le piace e diciamo che nell'economia delle sue uscite discografiche non ci sta mai. Peccato.

In vista del vostro nuovo progetto avete pubblicato un singolo, Mantra. Come nasce? Ve lo chiedo perché ho un'altra domanda che potrebbe farvi incazz*re.

PC: L'ho scritto io un po' di anni fa. È nato per somigliare a Rock the Casbah dei Clash, lo dico apertamente, ma con un piglio pop. Quando l'ho fatta sentire agli altri Bluebeaters l'abbiamo plasmata insieme. La roba bella di quando le canzoni sono scritte con criterio è che reggono qualsiasi arrangiamento. Poi a scrivere in inglese sono tutti buoni, le parole e le sonorità ti portano subito all'estero, mentre in italiano è tutto diverso, diventa subito più pop, anche se questo brano ha anche velleità trascendentali e di riscoperta di sé stessi.

Ok, perché ascoltando il pezzo con un amico, che non vi conosceva, mi ha detto: "Ma sono i The Kolors?"

PC: Questa cosa c'è l'hanno già detta. La cosa più lontana però l'ha detta uno di una radio che ci fa "fighissimo, sembra un po' un pezzo dei Clash ma sento anche Alan Sorrenti" (ride, ndr.).

CS: L'ispirazione è la stessa per tutti. I Kolors hanno preso dallo stesso nostro immaginario, però loro hanno un suono più pop, mentre il nostro è più grezzo. 

PC: Ma se ci dicono che siamo pop non ci incazziamo. Nel disco ci saranno altre cose pop, ma non solo.

Patrick, parlavi di scrivere in italiano. Come ti sei trovato?

PC: È una cosa che si impara ed è una sfida. Nel corso della mia carriera ho fatto il "ritornellaro" per Mecna, Night Skinny e tantissimi altri rapper con cui ho avuto il piacere di collaborare. Ad un certo punto però ho sentito il desiderio di scrivere delle canzoni, non solo i ritornelli. Quando ho scritto "Sono qui" ho iniziato ad affinare le mie skills, lavorando anche con Coez e Frah Quintale. Abbiamo passato diverse giornate insieme ed è nata "Mamma perdonami", che è partita da un ritornello di Coez. Tanti fanno i fighi con l'inglese, ma poi diventa un cliché e non ti esprimi mai davvero come gli inglesi. 
 

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È un periodo in cui si parla tanto di salute mentale. Vediamo artisti molto giovani che dopo talent e situazioni varie fanno il botto, miliardi di streaming, e poi dicono basta, non ce la faccio più. Quello della musica è un mondo davvero così di m*rda?

CS: Qualunque attività con un risvolto prestazionale porta facilmente alla nevrosi. Lo stress non viene retto, e ci sta, perché non fa altro che aprire una voragine su un vuoto che già hai. Una volta l'attività dei musicisti era fare dischi, cantarli, promuverli. Oggi invece gli artisti devono fare tutto e sono continuamente esposti al logorio della vita moderna.

PC: Quando ho fatto "Sono qui" è andato benissimo, ma mi sono ritrovato in situazioni che erano fuori dal mio controllo. Quando esplodi non hai veramente il controllo di quello che vorresti fare e che ti piace. Lavori e tutti ti dicono "eh sei fortunato, vai in radio, fai questo e quello", ma non sanno che vieni spremuto continuamente. Io fortunatamente venendo dagli anni '90 avevo un po' di anticorpi e mi sono reso conto che quello che mi stava succedendo non mi piaceva. Ho sofferto e mi sono venuti gli attacchi d'ansia. Immagino quindi un ragazzo di 19-20 anni che si ritrova ad avere una pressione incredibile, ad essere circondato da persone che vogliono qualcosa da te. Ci sta che ad un certo punto esplodi.

Ma che tipo di paura si prova? Si pensa di non farcela o di non avere successo?

CS: La paura di non farcela ti accompagna da quando inizi fino a quando muori. Noi siamo in tanti, ci pariamo il culo a vicenda, ma quando sei da solo magari ricevi tante pacche sulle spalle, ma poi basta.

PC: Ci sono tanti che partono benissimo, che mi piaccono un casino, ma poi fanno il disco orrendo dell'estate perché va di moda il produttore x e devono fare marchettoni. Così si sradicano completamente, senza sapere che poi tornare indietro e riacquistare credibilità è difficilissimo. Ghemon ha scritto un libro sulla depressione, su quello che può capitare quando hai tanta pressione. Noi non siamo psicologi, ma la fama, l'essere riconoscuti per strada ecc, può portare a momenti difficili.

A voi capita di essere fermati per strada?

PC: Ogni tanto, ma come dico sempre i nostri non sono "fan" ma "supporters". Sono competenti, vogliono conoscere i dettagli sui brani, non vogliono semplicemente fare la foto e avere il feticcio da portarsi a casa. Abbiamo la fortuna di avere questo tipo di interazione con i fan.

Qual è il collante dei Bluebeaters? Immagino litigherete e ci saranno degli scazzi...

CS: Infatti ci stiamo sciogliendo... No, a parte le battute, penso sia la voglia di fare musica, non di certo la voglia di successo. Ci sono alti e bassi, ma ci conosciamo e ormai sappiamo come prenderci. 

Nel 2025 in primavera uscirà il vostro nuovo album. Qualche spoiler?

CF: Sarà un disco leggeramente diverso da quelli che abbiamo fatto fino ad oggi, ma sempre con le stesse coordinate, spostandoci dagli anni '60 agli anni '80. Di sicuro non ci siamo messi a fare death metal.

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