Ancora prima di Baby K c'è Claudia Judith Nahum. Ancora prima del disco di diamante (in Italia raggiunto, a oggi, solo da Lazza e Giusy Ferreri), c'è un'artista che riflette realmente su cosa significa, oggi, fare musica in Italia e su come vengano ancora, purtroppo, trattate le donne nel nostro Paese. Dalla nostra intervista, seppur telefonica, emerge che Baby K ha davvero tanto da dire. Per farlo ha scelto di tornare in estate con Follia Mediterranea, un singolo che apre a una trilogia che si svilupperà durante tutto il resto dell'anno e che farà da preludio al suo nuovo album. Dopo 17 anni di carriera, tra brani di successo e tormentoni, Baby K non si è limitata a flirtare con la leggerazza della hit stagionale, ma ha provocatoriamente portato avanti una riflessioni su cliché e stereotipi che ancora oggi legano corpo e musica, donna e spettacolo. E a chi dice che la "scongelano" solo d'estate, Baby K sa benissimo cosa rispondere, come ci ha raccontato nella nostra intervista.
Mi incuriosisce la questione della trilogia, che parte dall’estate ma poi andrà avanti tutto l’anno. Cos’hai in mente?
È un incipit al disco, racconta un po’ questo soggetto che in realtà è visto dal mondo esterno come un oggetto, un prodotto, qualcosa di non prettamente umano, sia come donna che come prodotto discografico. Attraverso vari brani prende coscienza di sé e inizia a esplorare la condizione umana, dunque tutti i difetti e cosa significa essere un essere umano, per dire la sua, vivere veramente le emozioni e la condizione umana. Il primo atto riguarda l’essere un oggetto, e io sono giustamente tornata d’estate, quando tutti mi aspettano al varco.
Quindi è nata da varie riflessioni?
Sì, avendo raggiunto tanti obiettivi, anche traguardi grandi, uno poi inizia ad analizzare il passato, il presente e il futuro.
Cosa pensi di chi dice ironicamente che ti “scongelano” d’estate? Lo dicono anche di grandi artisti come Mariah Carey e Michael Bublé a Natale…
(ride, ndr.) Sai che cos’è? Da una parte dico: lo scherzo ci sta. Quando uno ha raggiunto dei risultati iconici, spiccano moltissimo. Capisco che poi la battuta è dietro l’angolo, ma la differenza con gli italiani quando fanno queste battute è che manca quel patto iniziale, che invece c’è con i grandi artisti: tutti sono consapevoli che hanno una carriera lunga alle spalle. Mariah Carey ha fatto molto altro oltre a All I Want for Christmas Is You, quindi... Se questo modo gogliardico di prendermi in giro significa che sono ingabbiata in una stagione, per avendo una lunga carriera, non corrisponde alla verità. E c'è anche della malizia negli italiani...
In che senso?
Tendono a politicizzare qualsiasi cosa. Diventa una cosa maliziosa e cattiva rispetto a come viene detta per altri. Io vengo da una carriera lunga, il mio primo platino non l’ho fatto con i brani estivi. Sono dieci anni della stessa battuta: sarebbe bello che cambiasse, perché dopo un po’ non ridi più. E vorrei dire un’altra cosa.
Vai.
Mi sono resa conto che quando si parla di questa cosa, non si fanno le stesse battute su determinati artisti che si presentano solo a Sanremo e poi spariscono. Mi sembra un altro modo per rompere le scatole a una donna. Io non sbuco solo d’estate, ma mi viene dato più spazio.
Continuiamo ad abbracciare stereotipi e cliché che riguardano il corpo delle donne. Ci sono tanti uomini che propongono stereotipi simili a quelli contestati alle artiste donne. E il corpo, per voi, è fondamentale, e non ha genere. Perché non riusciamo ad abbatterli?
È una domanda che, provocatoriamente, vorrei fare a chi prova così tanto fastidio per il corpo umano. Perché dà così tanto fastidio? Cosa offende chi guarda, per avere addirittura una reazione così forte? Mi è capitato di vedere copertine di vinili dove c’era una donna in topless, e in passato mi sembra ci fossero meno tabù e più voglia di libertà, quando si parlava di abbinare il corpo alla musica. Capisco quando c’è la volontà di mostrarsi a tutti i costi, è fine a sé stessa, senza arte. Lì si va più per provocare. Ma quando il corpo è messo in funzione di un tema più grande, che riguarda qualcosa di creativo, non c’è niente di male. È qualcosa di naturale.

"Follia Mediterranea" lo hai scritto insieme a Chico Sanchez e Massimo Barberis. Come avete lavorato per la scrittura del brano?
Il concept nasce da me. Il produttore è Massimo Barberis e nel corso dell’anno abbiamo sperimentato con diversi brani. Mi piaceva poter fare un pezzo con sonorità afro mescolate al reggae. Il mio “fetish” è rendere ibrida e contaminata la mia musica, perché mi sento culturalmente meticcia, per la mia storia personale. Le parole si sono scritte quasi da sole. Per le strofe mi stavo veramente incastrando (ride) e ho lavorato con Viviana Colombo e Chico Sanchez, che è anche un amico ed è un autore brillante, e ha saputo aiutarmi. Gli ho espresso cosa volevo dire, perché volevo essere diretta, ammiccante ma non troppo girly, e lui è riuscito a calibrare le mie richieste.
Mi parlavi del disco. C’è un artista che vedi bene sul concept dell’album?
Domanda interessante. Collaborare è sempre un piacere, perché esci fuori dalla tua comfort zone, è stimolante e ti apre la mente. Sicuramente, in generale, mi piacerebbe collaborare con un artista afro o con artisti esteri, perché la mia musica è contaminata ed esotica. Non avrei un nome specifico per il panorama italiano, ma sicuramente qualcuno che sappia parlare bene della condizione umana e dei difetti che abbiamo. Qualcuno che capisca bene la sfera identitaria dell’uomo.
