Amii Stewart è una vera regina della musica dance: negli anni ’80 ha fatto ballare mezzo mondo con hit come Knock on Wood e Friends, diventando un’icona internazionale dello stile disco. Ma chi pensa che oggi si sia fermata si sbaglia di grosso. Amii è più attiva che mai, piena di grinta e voglia di dire la sua. E lo dimostra anche con l'ultimo singolo Mama, un brano che mescola sonorità nostalgiche a vibes più contemporanee, creando un sound potente, emotivo, che parla alle generazioni di ieri ma anche a quelle di oggi. Quella con Amii non è stata solo una classica chiacchierata musicale. Nata negli Stati Uniti ma ormai italiana a tutti gli effetti, ha una doppia prospettiva unica, che le permette di guardare con lucidità a ciò che succede sia in Italia che in America. Con lei abbiamo parlato di tutto: di arte e impegno, della situazione politica nei due Paesi, del ruolo che un artista può (e forse deve) avere nella società. Amii dice la sua sulla premier Giorgia Meloni, esprime dubbi sul legame con Donald Trump, e lancia un grido d’allarme su due temi che le stanno a cuore: la violenza sulle donne e lo stato del sistema sanitario italiano. Per Amii, l’artista non è solo qualcuno che canta o intrattiene: è anche una voce che deve spronare gli altri a riflettere. E questa intervista ne è la prova. Amii Stewart non ha perso il ritmo. Né quello della musica, né quello delle idee.
Amii sei diventata un’icona mondiale con la disco music, ma oggi il genere viene liquidato anche come frivolo. Ti dà fastidio questa etichetta o la rivendichi con orgoglio?
Io non ho mai sentito qualcuno chiamare la disco music “frivola”, quindi non ho mai dovuto difenderla, perché la disco music un po’ si ascolta dappertutto ancora oggi. E non credo che si possa pensare ad artisti come Donna Summer, Earth, Wind & Fire, Gloria Gaynor, The Village People, e la lista è lunghissima, come musica “frivola”. Non ho mai sentito questa definizione, sinceramente.
E se l’Amii Stewart degli anni ’80 debuttasse oggi, in un mondo dominato da TikTok e dagli algoritmi, pensi che troverebbe spazio?
Non ne ho idea. Io vorrei pensare che ci sia sempre spazio per tutti. Vedo cose sciocche insieme a cose bellissime, insieme a cose bruttissime, su TikTok, su Instagram, su Facebook, ovunque. Ormai viviamo in un mondo di algoritmi. Penso che dipenda dal tipo di artista, ovviamente. Io, se fossi nata adesso, non canterei la musica degli anni ’80. Mi adeguerei alla musica di oggi. È difficile pensare in questo modo, che oggi qualcuno possa cantare musica degli anni ’80.
Anche se lo facciamo...
Sì, ma si ascolta negli attimi di nostalgia. Se vedi la faccia di George Michael su TikTok, ti fermi. Perché è talmente riconoscibile, è talmente amato, che non c’è tempo che tenga. L’arte è arte. Una bella canzone è una bella canzone. Indipendentemente da quando è stata creata, cantata, prodotta. Secondo me, l’arte è perenne. Dura sempre. Perché, altrimenti, non si spiegherebbe questo grande senso di nostalgia e di gioia quando ascolti un brano, per esempio, degli anni ’80 o ’90. Non puoi mettere un’etichetta sull’arte. Non puoi mettere un’etichetta su Marvin Gaye, Aretha Franklin o George Michael. Non si può.

Però oggi il pop sembra più interessato alla provocazione che all’arte, o al diventare virali. Cosa pensi delle popstar contemporanee?
Dipende da quale popstar stai parlando. Se mi parli di Billie Eilish, io dico: chapeau! C’è spessore e spessore, tesoro. C’è artista e c’è cantante. C’è rapper e c’è cantante. Ci sono interpreti di canzoni. Non si possono mettere tutti nella stessa categoria solo perché fanno pop. C’è pop e c’è pop. C’è il pop che dura nel tempo, e c’è il pop che sparisce in due settimane.
E quali popstar ti colpiscono in particolare, sia internazionali che italiane?
Adoro, come ho già detto, Billie Eilish. Adoro Alicia Keys. Adoro John Legend. La lista è lunga. Mi piace la bella musica. Sia classica, che jazz, che pop, che rock. Tante volte, ascoltando la radio, sento un brano che mi piace da morire, inizio a cantare e non ho idea di chi lo canti. Spesso nemmeno lo dicono.
In Italia, invece, c’è qualcuno che ti ha colpito?
In Italia mi piace moltissimo Marco Mengoni. Ho sempre adorato Vasco Rossi. Mi piace un nuovo artista, nuovo per modo di dire, però è molto bravo dal vivo: Nico Arezzo. Ci sono artisti validi. Mi piace molto Rose Villain per la sua grinta. Mi piace moltissimo Elodie, anche lei per la sua grinta. Queste sono le ragioni per cui mi piacciono determinate artiste: in base al loro talento e alla loro personalità. Io non giudico un cantante solo per la voce, perché è un insieme di cose che fa l’artista. Altrimenti non potrei dire che mi piace Marco Mengoni e allo stesso tempo un rapper. Ma esiste questa cosa, perché non c’è una sola caratteristica che definisce un artista. Ci sono diversi ingredienti che creano una personalità interessante.

Volevo parlare anche un po’ delle tue origini. Sei nata a Washington, che è il cuore pulsante della lotta per i diritti civili. Oggi però l’America sembra tornata un po’ indietro, in quanto a razzismo sistemico, repressione, diritti ridiscussi. Cosa pensi della piega che ha preso il tuo Paese?
Io sono inorridita. Non riconosco più il mio Paese. Anzi, ho appena finito di scrivere un testo proprio su questo fatto. Non riconosco più la direzione in cui sta andando. D’altronde, pensandoci, l’America è nata sulla schiavitù. Senza la schiavitù, l’America non sarebbe esistita. Se gli inglesi non avessero tolto e massacrato gli indigeni, non avrebbero neanche avuto una terra in America. L’America nasce dalla violenza. L’America nasce dalla conquista col sangue.
È nel nostro Dna. E purtroppo, quando arriva il momento in cui sembra esserci una possibilità di grande cambiamento, e quando dico grande cambiamento parlo di Obama, la risposta più forte che l’America bianca poteva dare a questo cambiamento è stata Donald Trump. Per mandare un segnale, tipo: pensavate che le cose stessero per cambiare, ma noi siamo qui per dirvi che non sarà così. Perché c’è questa risposta? Perché fra vent’anni, l’uomo bianco in America sarà in minoranza per via dell’immigrazione. Ed è per questo che combattono così tanto l’immigrazione. Non perché gli immigrati siano criminali, come dicono, ma perché tra vent’anni saranno in minoranza. È ovvio. È l’evoluzione del mondo. Tra poco anche in Italia sarà così. Tanti Paesi europei avranno una popolazione bianca in minoranza, per via dell’immigrazione. Perché, sia chiaro: in Italia non si fanno più figli. E lo stesso vale per i bianchi in America: ne fanno molti meno. Perché oggi ognuno è molto più egoista. È cambiata la mentalità. E chi va avanti nel mondo, chi lo popola, è il cosiddetto “terzo mondo”.
Ma tutto questo spaventa, evidentemente. Anche in Europa sta vincendo l'ultradestra...
Esatto. Perché è la paura di diventare in minoranza. Ma è ora che loro assaggiano un po' di quello che danno. È il momento in cui iniziano a ricevere quello che danno e che hanno dato per secoli.

Ma com’è essere una donna afroamericana in un Paese dove il razzismo viene ancora spesso negato?
Mi fa tanto dolore. Io penso che il futuro appartenga ai giovani. Perché tutto questo razzismo viene dalle persone estremamente benestanti, che non vogliono perdere il potere, o da persone estremamente ignoranti. Ma proprio ignoranti in modo assurdo. La mamma del cretino è sempre incinta. E fa tanti bambini. Però il futuro è dei bambini, dei giovanissimi, che non sanno nemmeno cosa significhi razzismo, perché accanto a loro c’è l’indiano, il cinese, quello del Bangladesh... giocano insieme, pranzano insieme, ridono, piangono, fanno i compiti. Ed è quello il domani. Il razzismo, l’odio, deve essere insegnato. Non si nasce con l’odio. Si impara a odiare. Per questo tutta la mia forza e le mie preghiere vanno ai giovani: loro capiscono com'è che dovrebbe essere il mondo. cose così succedono quotidianamente. E non è solo una questione di colore della pelle, è una questione di prepotenza. Oggi non abbiamo più pazienza per essere gentili. Non c’è più tempo per un sorriso, per aiutare una persona in difficoltà. Una volta non era così. Mi ricordo benissimo che non era così. Ora siamo tutti troppo di fretta, troppo impegnati. Per fare cosa? Guardare TikTok. Non esiste che non c’è più tempo per un sorriso o un buongiorno.
Qui in Italia si parla poco anche di razzismo strutturale: molti pensano che non esista. A te è mai capitato di scontrarti con forme di razzismo, diciamo, “educato”, magari in ambienti culturali o televisivi?
No, perché è la mia fama che mi protegge. Però lo vedo nei confronti degli altri. Mi ricordo come fosse ieri: stavo a Roma, al supermercato, in fila. Avevo finito di fare la spesa e stavo andando via. Una signora dietro di me, che vendeva delle cose fuori dal supermercato, è entrata per comprare poche cose. Non aveva abbastanza soldi, aveva solo spiccioli. La cassiera ha iniziato a trattarla male: “Ma che è? Non hai abbastanza soldi? Ma che è questa roba?” L’ho guardata. Io ho degli sguardi newyorkesi che possono immobilizzare anche un ratto... L’ho guardata e ho detto: “Non è necessario che tu parli così con la signora". Ho pagato io la differenza. L’ho fatta sentire una merda, perché lo era, per come aveva trattato quella persona.
Se potessi incontrare la nostra premier, Giorgia Meloni, che cosa le consiglieresti?
Di fare dieci passi indietro rispetto a Donald Trump. Non capisco questa vicinanza. Non la capisco proprio. E secondo me non mette l’Italia in una buona luce. Voglio dire, si fanno tante leggi, tanti cambiamenti, tutti a parole per migliorare la situazione dell’Italia. Ora, io non sono una politica, quindi non posso dire se quello che stanno facendo sia giusto o sbagliato. Ma due cose le so. La prima: ogni giorno, in Italia, viene uccisa almeno una donna. Spesso due. E non ho ancora sentito parlare di un nuovo decreto, di una legge veramente incisiva per proteggere le donne. La seconda: gli italiani pagano cifre enormi per un sistema sanitario che, di fatto, non esiste più. Non funziona più. E non è solo un problema di medici. È un problema strutturale. Le persone non vengono rispettate, e il sistema è rotto. Questo mi dispiace moltissimo, perché spesso la colpa ricade su un singolo medico accusato di “malasanità”. Ma io mi ricordo benissimo, negli anni ’90 se non sbaglio, quando qualcuno molto “intelligente” decise di mettere un tetto ai posti disponibili in medicina, perché “ce n’erano troppi”. E oggi non ci sono abbastanza medici. Non ci sono abbastanza professionisti. E questa è una conseguenza di quelle scelte. Le decisioni che un Paese prende, oggi, avranno effetto tra dieci anni. Lo stesso vale per Donald Trump: il danno che sta facendo oggi, si comincerà a sentire davvero tra un anno o due. E tra dieci anni si vedranno tutte le conseguenze. Le cose belle, come le piante, hanno bisogno di tempo, di acqua, di sole. E anche le cose fatte male, però, lasciano il segno: magari non si vede subito, ma con il tempo, goccia dopo goccia, il danno si rivela.

Visto che abbiamo toccato la politica, secondo te gli artisti hanno anche una missione di sensibilizzazione? Alcuni pensano che non dovrebbero “fare politica”, ma altri usano la musica proprio per esprimere idee e posizioni. Tu cosa rispondi a chi pretende che i cantanti “stiano al loro posto”?
E quale sarebbe, esattamente, il “posto” di un cantante? Un artista è un comunicatore. Un artista nasce per esprimere idee, per scuotere coscienze. Non è un robot programmato per dire solo ciò che il pubblico vuole sentire. Se così fosse, non sarebbe più un artista. Io credo che l’artista debba avere il coraggio di dire ciò che sente. Se ha voglia, se sente il bisogno di parlare di politica, deve farlo. Perché la musica parla ai giovani, e i giovani sono il motore del mondo. Quando vai a un concerto pieno di ragazzi, vedi un’esplosione di amore. È un “love fest”, una festa d’amore. E la cosa bella è che quando le persone, giovani o adulte, escono da quei concerti, ognuno di loro porta con sé un’energia positiva. E quella energia la trasmette a chi incontra. Questa è l’unica speranza che abbiamo. E se un artista non fa questo, allora cosa ci sta a fare su un palco?
E proprio perché l’artista ha una voce più forte, ha anche una responsabilità maggiore. Perché davvero può smuovere qualcosa...
Esatto. Non si può mettere il bavaglio alla bocca di un artista. Se lo fai, non avrai più figure capaci di far pensare, di creare dibattito, di generare un cambiamento. Pensa a Roberto Benigni. Quando sale sul palco ti fa riflettere. E non importa se sei d’accordo o no: ti costringe a pensare. Io preferisco un artista che mi fa pensare, piuttosto che uno che sale sul palco e inizia a bestemmiare, a usare volgarità una dopo l’altra. Questo uccide la cultura. Abbassa il livello dell’essere umano. E purtroppo oggi, l’80 per cento della televisione è così. Perché non possiamo alzare il livello culturale? Perché dobbiamo sempre abbassarlo fino a renderlo becero? Io non ci sto. Né in Italia, né in America, né in nessun’altra parte del mondo. Perché se no, i giovani... di cosa parleranno domani? Quale cultura avranno da trasmettere ai loro figli? Capisci cosa voglio dire? Abbiamo tutti una responsabilità civica. Tutti. E l’artista, che ha una voce potente, ha una responsabilità ancora più grande. Immagina quanto sarebbe bello se tutti usassimo quella voce per costruire qualcosa di migliore.
Tornando proprio all'industria discografica, quella che ha sempre guadagnato anche dalla black music, ma raramente ha dato potere agli artisti neri: secondo te è cambiato qualcosa oggi o è sempre lo stesso copione?
Questa è una domanda interessante. Io posso dire che, oggi come oggi, per via di queste integrazioni, ci sono persone bianche che stanno cantando la black music. Se chiudi gli occhi, non puoi capire se sono bianchi o neri. Senti Justin Timberlake, senti Eminem, Cristina Aguilera... la lista è talmente lunga che è imbarazzante. Quindi non sono solo le persone di colore a mandare avanti l’industria discografica: è la musica nera, cantata da chiunque, a mandare avanti il settore, non solo in America ma a livello internazionale. Il rap, che molti pensavano sarebbe morto, non è mai stato così forte come adesso. Il rap nasce negli anni ’90, siamo nel 2025, e il rap c'è ancora, più forte che mai. Quindi posso dire che la musica nera è il motore del mondo discografico, perché il rap lo senti in tutte le lingue, in tutte le forme, ed è musica nera. Ma gli artisti sono di tutti i colori. Mariah Carey: tutti pensavano fosse bianca, ma è nera. Christina Aguilera: tutti pensavano fosse nera, ma è bianca. È un casino, ormai non ci sono più barriere nella musica. Certo, ci sono le Beyoncé, le Alicia Keys, i rapper più ricchi del mondo, e sono di colore. Ma il tipo di musica non è più settoriale. Qui in Italia, quanti rapper ci sono?
Tanti.
E di che colore sono? Non sono tutti bianchi. È un arcobaleno, come dovrebbe essere il mondo.
