“Back to my roots”, un ritorno alle radici che è un invito irrinunciabile, soprattutto se la voce che canterà queste radici al Blue Note di Milano è quella di Amii Stewart. Un ritorno che prevede, oltre ai propri brani, classici come “Bennie and the Jets” di Elton John, “I wanna be your lover” di Prince, “Sexual healing” di Marvin Gaye, “Hurry to me” del maestro Ennio Morricone. E poi c’è “Friends”, la sua firma. Noi ripartiamo proprio da quel brano storico per sapere cosa pensi Amii Stewart di (quasi) tutto ciò che la circonda.
40 anni di “Friends” e ora una nuova versione di questo classico. Perché?
“Friends” è un classico, un evergreen. Un brano che ancora oggi viene cantato ovunque. Il 13 settembre “Friends” compie 40 anni, ed è una canzone ancora piena di fascino. Ricantarla nasce da un’esigenza spirituale. È una canzone a cui sono enormemente legata. Con cui voglio anche commemorare Francesco (Mike Francis, ndr), artista e persona splendida di cui ancora sento la mancanza.
Poi, sabato 14 settembre un doppio concerto al Blue Note di Milano. E il primo dei due show è già sold-out.
Esibirmi al Blue Note è un modo per cantare in quei locali – ahimè, ce ne sono sempre meno – in cui le prime file sono talmente vicine a chi canta che riescono a vedere le gocce di sudore che ti scendono sul volto. Il mio passato è colmo di teatri, arene, discoteche, ma al Blue Note inseguo un’atmosfera più intima. Con un set mirato di brani anni ‘80/’90. Ma non solo singoli, eh!, anche i cosiddetti “deep cuts”. Torno alle mie origini soul e R&B, rivisitando pezzi che, in alcuni casi, definirei ingiustamente dimenticati. Tutto riarrangiato in chiave jazz/R&B. Per questa musica servono locali raccolti.
Oggi sarebbe più facile o difficile emergere per una Amii Stewart agli esordi?
Sarebbe stato molto più facile. Rimanere, tuttavia, è un altro paio di maniche. Per emergere basta un’idea fi*a e uno smartphone, per rimanere serve una struttura. Quella è la chiave, per qualsiasi artista. Essere visibili, oggi, è semplicissimo, ci si può riuscire da soli, in una notte. Il difficile è tutto il resto.
Sei da sempre una paladina dei diritti LGBT. Ritieni che qualcuno abbia speculato su quei diritti?
Ogni movimento di massa della nostra storia ha avuto in seno figure che hanno cavalcato l’onda di quel movimento per fini esclusivamente personali. Un discorso che vale per le lotte femministe, per Black Lives Matter. Oggi, in generale, la gente ha la pelle troppo sottile. Ogni cosa che dici può potenzialmente offendere qualcuno, ma un’opinione libera non è un giudizio inappellabile. La democrazia (vera) si fonda su questa libertà. La nostra società è pervasa da un equivoco senso di “equality”. Uguaglianza non significa che un’opinione diversa dalla tua sia sbagliata, automaticamente offensiva. C’è tanta ipersensibilità, poca disponibilità a concepire e accettare davvero la diversità.
Credi che figure come Donald Trump o Giorgia Meloni, sempre nell’ottica dei diritti LGBT, rappresentino un grande passo indietro politico?
Donald Trump è nocivo per qualsiasi cosa. Su Meloni cosa posso dire? In Italia c’è il Vaticano. In Vaticano una coppia gay può essere benedetta, ma guai a celebrare un matrimonio. Ho saputo di minacce verso chi avrebbe potuto celebrare delle nozze omosessuali. E voi pensate che, in un contesto simile, Meloni, che è di destra, possa mai portare avanti un paese come l’Italia? Stato da una parte e religione dall’altra con il Vaticano che ha sede a Roma? Non scherziamo. La nostra realtà è questa. Il papa ha già detto che i gay devono essere benvenuti in chiesa, ma dall’altra parte volano minacce di licenziamento per chiunque osi sfiorare l’idea delle nozze omosessuali in Vaticano. Manca un politico che lotti davvero per i diritti, i diritti di tutti. E la gente ha paura, interpreta male sia la fede che la Bibbia. C’è troppa paura in giro.
Per chiudere la pagina politica: cosa ne pensi di Kamala Harris?
La adoro. Punto. E non perché è afro-americana, ma perché dice ciò che è giusto dire. Però deve vincere al Senato e conquistare la Casa Bianca, altrimenti resteremo ancora bloccati. Immobili.
Torniamo alla musica, al pop di oggi, la trap... Amii Stewart come ascoltatrice: quanto sei vicina o lontana alla musica contemporanea?
Non la ascolto, ma capisco perché c’è. Le nuove generazioni stanno creando musiche nuove che li pone al centro. Non tutto è da buttare. Ok, non è trap, però Mahmood è fantastico. Il fatto che tanta musica di oggi non mi piaccia non significa che non sia di valore.
Da appassionato di musica black mi pare che la generazione hip hop abbia tributato grandi onori alla musica dei propri padri (soul, funk, R&B), mentre la sensazione è che i giovani afroamericani di oggi siano molto meno grati ai loro padri putativi.
Abbiamo già fatto noi la strada per loro. Come fai a essere grato se cammini con 900 dollari di scarpe ai piedi? Se non soffri, i testi che scrivi parlano di ottenere più di ciò che si ha, qualcosa di grandioso e pazzesco. E allora si guarda solo al presente e ci si scorda il passato. Un passato che sembra sempre più lontano. L’arte nasce dalla sofferenza, non dal comfort o, peggio, dalla spinta al lusso.
Una voce femminile che Amii Stewart ama?
Ce ne sono tante. Sarah Vaughan, per dire. Ma è un discorso difficilissimo. La mia ammirazione per le belle voci è viscerali. Adoro Chaka Khan, Billie Holiday. I cantanti veri, e non parlo di estensione. Parlo di emozioni. Penso a Stevie Wonder, abbandonando un attimo le voci femminili. O Rihanna, per tornare subito in tema.
La mia voce nera è Donny Hathaway.
Oh my God (ride, ndr). Tu conosci la musica, ti avessi davanti ti abbraccerei, grazie! Stavo giusto ascoltando Marco Mengoni che fa una cover di Donny. E poi anche lui viene da Washington. Come Roberta Flack, Billy Preston.