Vanessa è uno sprint di vitalità: solare, allegra, energica. È una delle voci di RTL 102.5, ma la voce la usa anche per cantare: è vocal coach e artista, e sta per pubblicare il suo nuovo singolo I VIP SO CHIC, in cui racconta con sarcasmo il mondo di chi vive solo per apparire, tra ristoranti stellati, vestiti costosi e la famigerata Milano da bere (che lei però continua ad amare, ci ha detto). Dopo aver fatto discutere con Tette (una parola che evidentemente scandalizza ancora), eccola tornata con un altro brano schietto e genuino. L'abbiamo intervistata, e non è stata da meno: ci ha raccontato di quanto sia cambiato il modo di fare radio con l’arrivo dei social, di cosa vuol dire oggi essere una donna nel mondo della comunicazione, e del perché a volte sia più difficile accettarsi che farsi prendere sul serio. Ha parlato dell’autotune (“una scorciatoia che ha abbassato l’asticella”), della troppa offerta di concerti, di biglietti svenduti all’ultimo, e di come usa l’intelligenza artificiale come strumento (ha anche l'abbonamento a CHATGPT). Lei non la vede come una minaccia: e, infatti, il suo videoclip è stato realizzato interamente dall'IA.
Com’è cambiato il tuo modo di fare radio negli ultimi anni, con l’esplosione di TikTok, dello streaming e dei podcast?
Bella domanda! È cambiato tanto, perché bisogna stare al passo con i tempi. Devi evolverti, cercare di comprendere nuovi linguaggi e mondi. Non essere attuali è un rischio, e questo vale anche nel modo di cantare, scrivere e comunicare. La comunicazione cambia e dobbiamo cambiare anche noi.
La radio ha ancora il potere di lanciare un artista prima che diventi virale?
Secondo me sì, assolutamente. Io sono innamorata della radio, e credo che non morirà mai. La radio fa ancora ricerca. È chiaro che oggi spesso si scommette su chi è già virale, ma io continuo a credere nella scoperta. Sono una sognatrice: penso che le cose possano sempre cambiare e migliorare. Volere è potere.
Nel brano I VIP SO CHIC citi la Milano da bere, i ristoranti stellati. È più una critica o una celebrazione?
È una celebrazione mascherata da critica. Si parla tanto di apparenza oggi, ma io sono profondamente innamorata di Milano. È una città che mi ha dato tanto. Quindi sì, celebro la “Milano da bere”, anche se c’è un po’ di ironia su certe abitudini legate all’apparenza.
Il videoclip è stato realizzato con l’intelligenza artificiale. Non temi che questo strumento possa minacciare la creatività?
Nel mio caso è stato un supporto. Non mi spaventa, anzi, la uso quotidianamente anche per cercare idee o informazioni. Ho anche un abbonamento a ChatGPT. È uno strumento, non una minaccia: va usato per arricchirsi e acquisire nuove competenze.

Nel brano Tette hai parlato di empowerment femminile con un linguaggio provocatorio. Che reazioni hai ricevuto?
Un po’ di chiusura, soprattutto nel mondo dello spettacolo. Pensavo che una parola come “Tette” fosse ormai sdoganata, ma non è così. Io ho affrontato tutto con serenità: volevo portare un messaggio forte sull’accettazione e sul potere delle donne. Avrei voluto arrivasse a più persone, ma purtroppo c’è ancora molta resistenza.
Come vedi oggi il ruolo delle donne nella musica e nella comunicazione?
Stiamo sgomitando e facendo tanta strada. Siamo talentuose, brillanti, ma la parità non è ancora realtà. Ci sono ancora più uomini che donne nei ruoli di potere, nei team tecnici, nella produzione. Le donne che ci sono però, sono forti e meritano. I numeri però devono ancora crescere.
Secondo te è più difficile oggi essere una donna libera o essere presa sul serio?
Essere libera. Perché a volte la maschera ce la mettiamo da sole, non per malizia, ma perché fatichiamo ad accettarci. La vera libertà è accettarsi per come si è, e non è facile.

Ultimamente si parla di concerti che non fanno sold out. È crisi o cambiamento di abitudini?
Secondo me è cambiata l’abitudine, sì. C’è troppa offerta. Cioè, oggi ci sono tantissimi concerti, ogni giorno ce n’è uno diverso, quindi anche andare a un live diventa una scelta. Non è che puoi andare a tutti.
Anche perché i biglietti non costano poco…
Eh, appunto. Devi scegliere, no? Magari te ne puoi permettere tre o quattro, ma non venti. E poi c’è anche il discorso degli spostamenti, dell’organizzazione, magari del pernottamento se sei fuori città… Alla fine diventa impegnativo. Però la musica per me resta una priorità, è un’esperienza che ti porti dietro. Vai a vedere Vasco, Cremonini… ti ricordi quel concerto per sempre.
E infatti capita di vedere biglietti scontati a 10 euro all’ultimo minuto anche per eventi importanti, come sembrerebbe sia successo per Elodie. Che effetto ti fa?
Secondo me è una strategia. Devi riempire, no? Perché vedere uno stadio vuoto non è bello, quindi se abbassi i prezzi all’ultimo per me fai bene. È una scelta di marketing. Poi magari c’era gente che voleva venire ma non poteva permetterselo, lo vede a 10 euro e ci va.
Chi era indeciso perché costava troppo, alla fine si convince.
Esatto! Poi, oh, i soldi per un concerto sono sempre soldi spesi bene. Meglio una cena in meno che un live in meno, dai.

E sull’autotune? Lo vedi come uno strumento espressivo o una scorciatoia?
Una scorciatoia. Io vengo dal canto, quindi ci sta usarlo ogni tanto per sperimentare un suono diverso, ma non deve essere un modo per mascherare il fatto che uno non sappia cantare. Deve essere una scelta stilistica, non un salvagente. Poi, oh, l’imprecisione a volte è pure bella, è emozione! Gianna Nannini, Vasco, Jovanotti… non sono intonati perfetti, ma ti arrivano come pochi. Se lo usi come suono, perché ti piace quel mood, va bene. Ma se lo usi perché senza non riusciresti a fare una strofa… eh, lì il discorso cambia. È un po’ come l’intelligenza artificiale: può essere un supporto, ma devi avere tu la base. Lo stesso vale per l’autotune.
Qual è oggi il ruolo dello speaker radiofonico, tra playlist e algoritmi?
Un ruolo importantissimo. Lo speaker ti tiene compagnia, ti fa compagnia vera. Ti parla, ti fa sorridere, ti aggiorna. Io ho ascoltatori che mi seguono da sempre, anche dall’estero. L’altra notte una ragazza dal Giappone ci ha scritto in diretta, ci ha insegnato pure due parole in giapponese. È stato bellissimo! La radio crea legami, è ancora un punto di riferimento.
Ti faccio l’ultima: che consiglio daresti a chi sogna di lavorare con la voce - in radio, podcast o musica - senza perdere la propria identità?
Registrarsi e ascoltarsi, sempre. È importantissimo. E poi non snaturarsi mai: migliorarsi sì, ma restando sé stessi. La gente se ne accorge se stai facendo finta o copi qualcun altro. Devi tirare fuori chi sei davvero, far sentire la tua personalità. Solo così arrivi alle persone.
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