Fabio Caressa è la voce del calcio, oltre la svolta di Pechino Express che lo ha portato a diventare il conduttore di Money Road. Ospite a Supernova, da Alessandro Cattelan, mette in fila una serie di pensieri che tracciano un quadro del giornalismo sportivo, della comunicazione contemporanea e, immancabile, dello sport più seguito in Italia. La prima bordata è contro il tipo di comunicazione che sta diventando una sorta di standard, quella di chi urla nei microfoni. "È questo tipo di comunicazione falsa che qualcuno ha, quella che va di moda adesso. Si mette lì, apre un microfono e incomincia a urlare, a bestemmiare, a sbattere i pugni su mil tavolo. Io mi ricordo Nino Longobardi, uno di destra, che faceva così. Mi sembra di essere tornato a quegli anni lì. Ce ne sono eh, di questi che urlano. Urlano perché così tuo figlio se lo guarda. Ma tuo figlio lo guarda perché urla, non perché sta dicendo qualcosa. Stiamo andando verso questa cosa qui". Poi passa a commentare la retorica sulle telecronache, soprattutto in riferimento a chi lo accusa di toni spenti in certe partite, non ultima la finale di Champions League tra Inter e Psg: “Qualcuno ha detto 'telecronaca moscia'. Ma non è che la telecronaca fa le partite, è la partita che fa la telecronaca. Ci sarà un po' di differenza tra una partita che finisce 4-3 ai supplementari, con due gol negli ultimi tre minuti, e una che al ventesimo è già 2-0, finita. Ma a prescindere dal fatto che giocasse l'Inter, anche se fosse stata Liverpool–Paris Saint-Germain e fosse finita 3-0 per il Liverpool dopo il primo tempo, che cosa vuoi raccontare? Io ho fatto Germania–Brasile 7-1, quella della semifinale dei Mondiali. Lì avevano detto: 'è chiusa sul 3-0', e io risposi 'ma noi nel calcio non si sa mai, abbiamo visto i miracoli'. Il punto è che non va mai bene niente. Ma che cazzo devo dire? Andate a casa, la partita è finita?”. Ma il problema, secondo Caressa, è tutto italiano. In Inghilterra c'è un approccio diverso, e per Fabio scatta una certa invidia professionale: “Prendi Micah Richards e Titi Henry. Loro possono mettersi lì e commentare da tifosi: quando segna il Liverpool, l'altro lo prende in giro e non succede niente. Se lo facessimo da noi, diventerebbe un inferno. Lì proprio non c'è questo concetto del 'hai fatto il tifo per', 'hai fatto il tifo contro', 'hai fatto il tifo a favore'. Proprio un altro mondo. Io li invidio molto da questo punto di vista. Non ci sono mai polemiche sulle telecronache in Inghilterra”.

Telecronache a parte, con l'arrivo dei social è cambiato anche il ruolo del giornalista: “Ormai già la definizione di giornalista è una cosa un po' vaga. Prima c'era l'Ordine che interveniva. Adesso la differenza tra me e uno che fa altri tipi di contenuti è la mia professionalità, è come mi preparo. Non è mica il tesserino. Che senso ha? Lui ha un microfono e parla, come io ho un microfono e parlo. Ma secondo me è anche giusto così. È normale che la differenza non la possa più fare un tesserino, ma la faccia il contenuto che tu sviluppi o trasmetti. Da questo punto di vista è completamente scomparso qualsiasi tipo di possibile controllo. Tranne che: se un giornalista si azzarda a fare una pubblicità, ti vengono addosso e ti cacciano via dall’Ordine. Mentre invece tutti gli altri, che non sono giornalisti, possono fare quello che gli pare. Ormai è una distinzione veramente fuori dal tempo, questa. Fuori dal tempo. È ovvio che l'importanza non è quello che sei, ma quello che fai, e come lo fai, e il tipo di professionalità che hai. Ma poi le persone ti seguono se hai una certa credibilità. Se non ce l’hai, prima o poi ti mollano. È evidente”. A un certo punto Cattelan la butta su Lele Adani. La risposta è diplomatica ma non troppo: “Lele comunque è uno preparato, uno che studia. Poi ognuno può avere le sue idee. E io gliel’ho detto, lo posso anche ridire: Lele è una persona che ogni tanto, secondo me, guarda il mondo con i suoi occhiali. Mentre invece, secondo me, un commentatore deve guardare il mondo per come è. Deve analizzare ciò che è, non ciò che io penso che sia, che sono due cose diverse”. Più avanti, si lascia andare a un gioco con Cattelan sul calciatore perfetto.

Caressa lo immagina così: piede destro Francesco Totti, piede sinistro Maradona, colpo di testa Gigi Riva, cattiveria in campo Rino Gattuso, fantasia Roberto Baggio, tiro da fuori Andrea Pirlo, freddezza Pippo Inzaghi o Gerd Müller. E il migliore nelle pubbliche relazioni? Fabio Galante. Lo dice ridendo: “Perché gli voglio bene”. Ma il più bello di tutti? Signore e signori, David Beckham: “Sì, la mia eterosessualità ha vacillato moltissimo con Beckham. Anche perché io ti dico la verità: tra tanti, un signore come Beckham non l’ho mai conosciuto. Veramente una persona di una signorilità incredibile quando ti parlava. Sarà forse anche la sua natura inglese. Poi lui è uno che è molto cresciuto. Non veniva dalla nobiltà, ma dalla working class. Poi ragazzi, Beckham ha avuto una pressione addosso nella carriera... Mi ricordo un servizio fotografico con la moglie, loro due sdraiati sul biliardo: erano delle foto, tra l’altro, orribili”. Più che per provocazione, Caressa si incazza davvero solo quando parla del tiki-taka. “Quello che non mi ha divertito per niente è il tiki-taka, e tutto quel periodo di passaggi infiniti. La squadra che ho odiato di più in tutta la carriera è stato il Barcellona di Guardiola. Poi sai che palle fare la telecronaca di una partita di tiki-taka? Quanti nomi devi dire, perché continuano a passarla, sempre due che si passano la palla. Alla fine stavo zitto, non se ne poteva più. Poi non era tanto il Barcellona e Guardiola, quanto i Guardiolati. C’erano molti che provavano a giocare come Guardiola, ma non avevano neanche quella pressione, quella cosa che faceva il Barça. Non c’avevano Messi, che non è una cosa da poco. Era una rottura di palle”. E a chiudere, quasi senza avvertire, parte un momento da videogiocatore. E qui cambia tono, ma resta fedele a sé stesso: “C’erano i momenti che ero un po’ schizzato, in cui tornavo dalle partite ed ero stressato. Mettevo Uncharted e passavo un’ora a stirare la gente in macchina. Ma senza motivo. Pif, così, tutti che saltavano”. La raccomandazione è: non fatelo incazzare.
