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Quando tutti erano cantautori impegnati lui era già avanti e parlava del futuro: disinformazione, gossip, pigrizia. Cosa ci resta di Ivan Graziani, l'Andrea Pazienza della musica

  • di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

6 ottobre 2025

Quando tutti erano cantautori impegnati lui era già avanti e parlava del futuro: disinformazione, gossip, pigrizia. Cosa ci resta di Ivan Graziani, l'Andrea Pazienza della musica
80 anni fa nasceva il cantautore più anarchico di tutti. Oggi lo cantano a X Factor, ma Ivan Graziani è stato il più anarchico, il più fuorimoda e il più eretico di tutti i musicisti italiani. Ha preconizzato i grandi problemi di oggi, dalla disinformazione e al gossip. E ci ha detto cosa dobbiamo fare per non essere schiavi del sistema: smettere di essere pigri e tagliare la testa dei bulli

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

Quando Ivan Graziani è morto io non ero nato. Quindi questo non è un articolo su quei tempi là, su quella musica là, su quel genere di cose che chi ha vissuto quell’epoca oggi rinfaccia ai più giovani. Né un articolo sugli ottant’anni dalla nascita. Io non ho nessun ricordo di Ivan Graziani, un’intervista, una presenza in tv, una polemica. Le poche volte che ho sentito nominare Ivan Graziani in televisione sono state a XFactor. Un bel po’ di anni fa Nevruz portò Pigro, poi ci fu la gaffe di Francesca Michielin, che nel 2023 chiese a Colapesce e Dimartino com’era stata la collaborazione con il cantante, morto però nel ’77 (e su questa gaffe si montò la polemica in diretta per una battuta di Morgan). Poi, l’anno scorso, grazie a Manuel Agnelli, si cantò Lugano addio. Infine quest’anno, per ben due volte, Ivan Graziani viene portato alle selezioni da due artisti diversi. Prima Monnalisa, poi Firenze (canzone triste). Insomma, cazzate. Un altro ricordo simil-biografico su Ivan Graziani. A liceo il mio professore di arte, tra una storia su Carlo Magno che in realtà era nato nelle Marche e Tolentino, il mio paese, che aveva avuto l’elettricità subito dopo Milano, e dunque per secondo in tutta Italia, mi raccontò di una volta che a un liceo artistico invitarono Ivan Graziani, come ricordava lui, “all’Accademia delle Belle arti di Urbino”. Arrivò, chiacchierò con gli studenti e non rispose a quasi nessuna domanda. Poi, quando gli chiesero cosa avrebbe detto agli studenti che lo stavano ascoltando, avrebbe risposto: “Non studiate”. E quando i docenti iniziarono a rumoreggiare, aggiunse: “O, almeno, non studiate all’artistico”. Un ultimo ricordo pseudo-autobiografico. Il suo chitarrista, Bip Gismondi, è un amico di famiglia, più di mio zio, io lo conosco poco. Ma suona e canta benissimo. È di Civitanova, la stessa città di mio padre, dove l’ho sentito suonare un paio di volte insieme a Filippo Graziani, il figlio di Ivan.

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Ivan Graziani

Quando ero piccolo Ivan Graziani era il mio cantautore preferito. A mio padre piaceva Vecchioni (che poi divenne anche il mio cantautore preferito), questa epica dell’antieroe per eccellenza, del perdente. A mio zio, l’amico di Bip, piaceva Guccini, così anche a mio cugino. All’altro mio zio piaceva De André. Con la figlia dello zio a cui piaceva De André cantavano da piccoli Agnese di Ivan Graziani, la cantavano in do maggiore. Cioè lei cantava e io suonavo, con impostazione classica, una chitarra da poche decine di euro della Lidl. Al mare, in sala, a casa dei nonni, poco prima che il campanile di Cristo Re suonasse l’Ave Maria di Schubert per annunciare ch’era mezzogiorno. Bella questa cosa, prima Ivan e poi Schubert, come se ci fosse uno strano legame tra due modi di concepire la poesia, la musica, ed entrambi i modi si prendessero il loro spazio, uno dirimpetto all’altro, come due ragazzi che si passano la palla da un lato all’altro della strada quando non passano le auto. Da piccolo mi piaceva perché credevo di capirlo, e in una famiglia di gente che prova a capire quasi tutto, dalla fisica alla politica, avere la sensazione che anche io, piccolo com’ero, potessi capire qualcosa, mi dava soddisfazione. Sentivo Il chitarrista o Fuoco sulla collina e mi sembrava di aver appreso quanto c’era da apprendere. Sentivo I lupi, senza capire esattamente che c’era di mezzo la guerra, il XX secolo, la violenza, la stanchezza, la paura del lupo. Ma mi piaceva il ritmo. Ecco, prima considerazione: il rock. In Italia per me era quella cosa lì, le ballad di Jeff Byckley più la chitarra di Chuck Berry. In una persona, in due parole, Ivan Graziani. Era come ascoltare musica in inglese, senza capire il testo, ma rimaneva in testa.

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Ivan Graziani

Ma Ivan Graziani non era solo questo. Seconda considerazione: la semplicità dei testi. No, non come Gino Paoli. Ma come Leonard Cohen o Bob Dylan, che tuttavia non ha mai imitato, fedele alla sua indole da brigante abruzzese, da apolide musicale. Per capire qualcosa dei suoi testi bisogna ricordare le parole di un altro grande, Renato Zero, che ha detto: “Io Ivan Graziani l’ho respirato”. Come si sniffa l’aria quando non c’è più aria, come si cerca l’aria sott’acqua. Sarò più preciso. Ivan Graziani si faceva respirare, i suoi testi erano leggeri come il vento. Basti pensare alla sua Fame, “una signora di classe” che “si presenta al momento giusto / col suo profumo di pollo arrosto”, veloce e violenta “come la lingua di un rospo”. Sussurrata, schitarrata, ma non era una canzone semplice. Dietro c’era un esercizio di realismo più duro di qualsiasi tema generico: “In nome della fame ho ammazzato le illusioni / piegando le ginocchia ho sfruttato le occasioni / e ho lavorato come un pazzo a cose in cui io non credevo / lasciando che morisse l'erba che io calpestavo”. Non il compromesso, ma il disincanto saper di dover scendere a patti con la realtà. Perché dico che non è un compromesso? Perché nello stesso album, sempre sussurrandolo, Ivan Graziani canta: “Taglia la testa al gallo che ti becca nella schiena”, taglia la testa al bullo, al padrone. Per parafrasare Sant’Agostino: canta e fai quel che vuoi. Ivan Graziani era davvero il più anarchico di tutti. Post-ideologico, contemporaneo nostro, anzi, avanti nel futuro, quando capiremo non solo che la disinformazione è un cancro, ma che la pigrizia è la benzina della disinformazione. E cioè che è colpa nostra.

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Terza considerazione: Ivan Graziani ci ha raccontato tantissimo di come siamo. Non delle nostre battaglie, non dei grandi temi, ma di noi, immischiati con la Storia universale e con la storia personale, tra cuore e guerra. Ancora I lupi. In un blog in cui si ricorda questa canzone, un utente commenta nel box in fondo alla pagina, sostenendo che Ivan Graziani potesse aver preso spunto da un romanzo enorme e incredibile e dimenticato del Novecento, come per un po’, in questi anni, è stato dimenticato Ivan Graziani. Il cavallo rosso di Eugenio Corti, “il Guerra e pace italiano” come lo definì Cesare Cavalieri nella prima recensione in assoluto, era il 1983. I conti non tornano, perché l’album I lupi uscì sei anni prima, nel 1977. Che Eugenio Corti si sia ispirato a I lupi di Ivan Graziani? Quasi certamente la risposta è negativa, ma ci piace comunque pensarlo. Perché? Perché Ivan Grazia è stato un po’ Flaubert e un po’ Turgenev. In Dada a Graziani son serviti due versi per raccontare la tossicodipendenza: “E il tempo scivolava sulle braccia fredde / I buchi sulla pelle, più non la voleva, più la desiderava”. C’è una storia d’amore lesbica, forse, tra Dada e Ivette senza tette, c’è Dada che vuole fare uscire dal giro Ivette. E c’è un finale aperto, che suggerisce, anche qui forse, che anche Dada sia invece finita a bucarsi. Cos’è se non Madame Bovary e cioè l’impossibilità di scappare da ciò che ci fa male? Non c’è logica buddista che tenga. Viviamo in questa grande contraddizione del dolore e dei nostri tempi. Così come in Fame, come si è detto, dove Ivan Graziani realizza che siamo tutti come John Fante, che dormiva in auto e scriveva per pagarsi da mangiare (e soprattutto bere), e non come Truman Capote. E siamo anche tutti come la signora Bovary, incastrati in qualcosa che ci riguarda in prima persona. E che quindi, in un certo senso, non possiamo strapparci di dosso, a meno di non strapparci di dosso, ma sarebbe assurdo, il nostro io.

Un disegno di Ivan Graziani: "I mostri"
Un disegno di Ivan Graziani: "I mostri"

Come avete letto, non è un articolo che parla di quel mondo là, di quell’epoca lì, anche se forse Ivan Graziani, che disegnava sempre, anche in vacanza, disegni orfici, decisi, raffinatissimi, era un po’ l’Andrea Pazienza della musica, con la musica al posto dell’eroina (e un tumore al posto dell’overdose). Vorrei dirvi che non parla di me, ma non sono un critico, non sono un musicista, non curo musei. È ovvio che parla di me, perché il Natale che racconta in Ballata per 4 stagioni è il mio Natale, e E sei così bella l’ho dedicata alla mia ragazza e l’assolo di Fuoco sulla collina è il primo che ho imparato con un’imitazione di Gibson diavoletto rossa. Perché non era il preferito di nessuno, ma lo ascoltavano tutti in casa. Perché oggi non lo ascolta più nessuno, tranne Lucio Corsi, ma poi torna almeno cinque volte a X Factor, l’anti-musica, ma soprattutto l’anti-Ivan, nel giro di pochissimi anni. Perché Ivan Graziani non l’ha capito nessuno e forse neanche io.

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