Jimi Hendrix muore a Londra il 18 settembre del 1970. Ha solo ventisette anni, quanti sono bastati per cambiare la storia della musica e tramutare se stesso in un'icona di libertà creativa che, decenni dopo, continua a risplendere. La sua non è soltanto la storia di un genio fragile stritolato dagli ingranaggi dell'industria musicale, è anche l'avventura di una ribellione senza ideologia, sostenuta da un misticismo sensuale e dalla fede pura e assoluta nella propria arte. Metà nero e metà cherokee, Hendrix portava dentro sé le anime dell'altra America.
A cinquant'anni anni dalla morte di Jimi Hendrix la ComicOut ripropone in libreria una graphic novel di Matteo Guarnaccia originariamente pubblicata su «Rolling Stones» nel 1980. La storia a fumetti, sviluppata in 46 tavole a colori di grande formato, ripercorre la biografia del più grande chitarrista rock di tutti i tempi, ma restituisce anche le forti emozioni culturali di quegli anni, la musica, e le nuove filosofie di vita. Solo Matteo Guarnaccia, autore e teorico della Psichedelia, poteva raccontare così Jimi Hendrix. Un ritratto fatto di flash veloci, spietati e visionari, che a distanza di 40 anni dalla pubblicazione si rivela un pezzo di storia vibrante del fumetto italiano.
«Nel 1980 la rivista Rolling Stone, si era ormai lasciata alle spalle l’originaria contiguità con la controcultura di San Francisco, testimoniata dalla fortunata testata, disegnata dall’artista psichedelico Rick Griffin. Era una delle riviste più autorevoli nel campo del nuovo giornalismo (…) Quell’anno, grazie a una cordata scombinata, debuttò la sua versione italiana. (…) Venni inserito tra i collaboratori e, a dispetto dei tempi, mi venne affidato il compito di realizzare un albo a fumetti per il decennale della dipartita di Jimi Hendrix.
Negli anni Ottanta parlare di musicisti psichedelici e controcultura, era considerato un pericoloso segnale di passatismo. Si viveva come sotto i Khmer Rouge, bastava un minimo accenno a Purple Haze per essere spedito nei campi di rieducazione a fotocopiare fanzine. Imperversavano il punk, la new wave e i paninari. Rabbia, messa in scena e rappel à l’ordre. Erano i giorni algidi delle mises stilose, tenax e borchie di pelle, Plastic e tastiere elettroniche, capelli decolorati e spalline spigolose. Hendrix, con i suoi capelli afro, i completini selvaggi etnico-spaziali, la sua musica “fuori di testa”, era considerato un relitto del passato, un hippie che puzzava troppo di peace & love. (…) Le spedizioni tra gli anelli fosforescenti di Saturno erano state sostituite dalle giravolte sulle piste imbiancate delle discoteche. Amavo Jimi dal momento in cui, nel 1968, leggendo Walt Whitman mi ero reso conto che quello che lui stava cantando era esattamente il corpo elettrico menzionato dal poeta».
Il ricordo di Eugenio Finardi
«Jimi e la sua Stratocaster bianca erano il Re e la Regina della psichedelia, lui la baciava, la violentava, la seduceva e ne traeva urla di gioia e di dolore. Raffiche di mitra. Melodie angeliche.
E cantava bene come può cantare uno che crede di non esserne capace.
Il suo percorso artistico coincide con la vetta della cultura psichedelica e ha segnato l’inizio di un trentennio (e più) di predominio della chitarra elettrica come strumento di creazione sonora.
Noi adolescenti che da Milano sognavamo la California, Matteo, Alberto, io, Mario…
Ci innamorammo subito di quel suono viscerale e di quell’estetica lisergica e sognante, colorata e sensuale».
Il ricordo di Omar Pedrini
«Avevo quattordici anni quando Jimi Hendrix entrò così prepotentemente a spettinare la mia vita (e la mia futura carriera). Così come il sacro peyote trova il viaggiatore, quella mattina Hendrix trovò me e da allora non se n’è più andato.
Matteo invece l’ho incontrato intorno ai venticinque anni, sotto le sembianze di una copertina di un disco dei Byrds e allora pensai: cavoli, esiste un artista psichedelico italiano che ha illustrato un album dei miei miti californiani. Dovevo scoprire tutto di lui. In breve tempo Matteo divenne la mia guida personale per l’altra dimensione: i suoi manuali sugli anni sessanta- settanta della psichedelia, dei viaggi in India sui Magic Bus cantati dagli Who, sulla città dei miei sogni Amsterdam, sull’arte e addirittura sulla moda (Matteo, collaboratore di Vivienne Westwood e amico di un altro visionario come lui, il grande Elio Fiorucci). Poi la “mia” Milano, quella del parco Lambro, della Cramps, di Gianni Sassi e compagnia cantante, in una parola la Milano della “controcultura”.
Sono figli della stessa cultura, Jimi e Matteo, ci trovi Castaneda e Huxley, il dr. Hoffmann e Dylan e John Lennon con Yoko nelle loro “cose” e per fortuna che il secondo è sopravvissuto agli anni settanta per raccontarmi ciò che i miei occhi non hanno visto, o forse hanno visto in sogno. Capita spesso così, quando si è figli del Voodoo».