“Chico Forti? Un uomo meraviglioso, di grande cultura. Il suo trasferimento è arrivato inaspettato, ma siamo tutti felici che finalmente sia arrivata l’autorizzazione”. Jo Squillo esulta dopo anni di battaglie per riportare in Italia il nostro connazionale, anche se ancora non ci sa dire esattamente quando succederà :”Tutto dipende dalla giustizia americana, che è assolutamente imprevedibile”. Ma se per Forti è felice, ben presto l’entusiasmo le passa quando parliamo di musica : “Ascoltiamo solo ciò che già conosciamo, quello che ci propina l’algoritmo. Siamo diventati una colonia americana”. E ancora sui nuovi talent: “Sono troppi e molti sono anche sprecati”. Ecco l’intervista a una icona come Jo Squillo.
Ti sei battuta per anni e adesso che tornerà in Italia hai avuto modo di sentire Chico Forti?
No, non è così semplice sentirlo. Mi ha telefonato a gennaio, ci siamo parlati, quindi è da allora che non lo sento.
E come l'hai trovato?
Sempre molto combattivo, molto forte. Ogni volta che lo incontri percepisci il suo entusiasmo. È un uomo di grande cultura, di grande umanità e sensibilità. Penso sia una delle persone più interessanti da incontrare. Un campione mondiale di surf, un produttore televisivo, un uomo pieno di capacità e incapace di pensare anche solo a una cosa così brutale come quella di cui era accusato.
Ti aspettavi questo risvolto relativo al trasferimento?
No, siamo rimasti tutti colpiti, non ce l'aspettavamo. Il trasferimento è stata una battaglia combattuta da molti. Sembrava tutto fermo quando improvvisamente è arrivata la firma del governatore della Florida e l'autorizzazione al trasferimento. Aspettiamo solo che le pratiche burocratiche si concludano affinché lui possa arrivare in Italia nel carcere designato. Dato che noi non abbiamo per i reati comuni il "fine pena mai", non sappiamo come verrà commutata.
Hai idea di quando potrebbe tornare?
Dipende dalla giustizia americana, che è imprevedibile. Gli atti dovrebbero essere stati tutti depositati, il carcere è stato trovato, ed ora è solo una questione di tempo.
Parliamo di musica, che ormai è fluida, ma i dati dicono che lo streaming fa crescere il mercato del 18%. È positivo?
Il riassunto è che ascoltiamo solo ciò che già conosciamo, e questo per la musica è un male. Quello che io ho fatto nella mia crescita personale, grazie ai miei genitori, a mio padre che era un visionario, è stato ascoltare molta musica, anche quella che non conoscevo. Ed ero curiosa di prestare attenzione a ciò che ignoravo. Una volta andavamo a cercare la musica, uscivamo e selezionavamo ciò che volevamo ascoltare anche in base alle copertine. C'era anche una scelta basata su ciò che vedevamo. Oggi, proprio per lo streaming, ascoltiamo solo ciò che ci hanno già fatto ascoltare, quindi l'organizzazione mondiale musicale ci ha trasformato in colonie americane, colonie dell'industria basata sul commercio. Ciò che è gradevole a un momento, a ciò che siamo adesso, ma nulla di più. Ora la musica è una questione di numeri, legata a un algoritmo, a qualcosa di meccanico. Tutto questo esclude la ricerca, il coltivare la curiosità e appiattisce la cultura. E la musica dovrebbe essere altro.
Siamo messi così male?
Sì, c'è un appiattimento forte. Per me che sono nata negli anni '80, con il funk, con un desiderio di rimettere in discussione i sistemi musicali. Io ho fatto tre canzoni con tre accordi, ma davo dei segnali, degli stimoli, delle riflessioni in musica. "Sono cattiva", "Orrore orrore", "Violentami sul metrò" hanno in qualche modo sconvolto e creato nuove generazioni di donne che non cantavano solo "cuore sole amore".
Non salviamo almeno un artista tra le nuove leve?
Gli artisti si devono salvare da soli, non devono pensare solo al denaro ma anche all'arte. Il problema è che ci sono un sacco di talenti, ma sono talenti sprecati. Non tutti sono artisti. Ma se proprio dovessi scegliere qualcuno, sicuramente punterei su chi si mette in discussione e manda messaggi: Ghali, Rosa Chemical e Bigmama.