Ieri sera non c’era niente in tv. Non c’è mai niente in tv, a dirla tutta, da una vita. Ma ieri sera non c’era niente in tv, pioveva, la Fashion Week non ha mai raccolto la mia attenzione, allora mi sono messo un giubbotto nero, un paio di pantaloni neri, dei guanti, ovviamente neri, un passamontagna nero e, invece di andare a fare una rapina a un benzinaio, vallo a trovare un benzinaio aperto di notte a Milano (vallo a trovare un benzinaio a Milano, verrebbe quasi da aggiungere, maledetto Sala), sono andato a trollare amici, colleghi, addetti ai lavori e pubblico pagante, perché anche se poco c’era pure un pubblico pagante, gente che ha tirato fuori tra i cento e i duecento euro, e sono andato al Forum di Assago. Questo si sarà detto ieri Kanye West, Ye all’anagrafe (immagino che possa farlo, l’ha fatto Mogol, potrà cambiarsi il nome all’anagrafe anche lui, no?). O magari l’ho detto io, e lì, al centro del campo da basket su cui sudano e corrono i cestisti dell’Olimpia c’ero io, mio figlio Tommaso a vestire i panni, sempre neri, sempre in grado di occultare alla vista qualsiasi dettaglio che possa portare a riconoscere chi ci si celasse sotto, Ty Dolla Sign. Un concerto, annunciato come usa ora, all’ultimo, che però non era un concerto, o forse era proprio un concerto per come andrebbero intesi i concerti oggi, nell’era del mercato discografico che si poggia quasi al 100% sullo streaming, quindi sul niente. L’ascolto di un disco, già era accaduto con Donda, ma stavolta un ascolto fatto a cazzo di cane, un audio che in confronto quello dell’Ariston durante Samremo è roba da audiofili malati di audiofilia, i due tizi al centro della scena senza manco un microfono in mano, senza neanche una illuminazione decente, ospiti di prestigio, se quelli che si ascoltano nei brani erano in effetti i tizi vestiti di nero che di volta in volta sono accorsi, irriconoscibili come i due padroni di casa, anche loro a non fare altro che incitare la folla, unica variante sul disco che si può ascoltare, sempre alla cazzo, questo offre il convento, su Spotify, la presenza dei brani che Spotify e il mercato ha visto negarsi, complice l’assenza di permessi da parte dei titolari dei diritti dei sample che Kanye West ha usato nelle produzioni, ovviamente a cazzo.
Una esperienza da stadio, verrebbe da dire, per fare i colti, quelli che citano il calcio perché è qualcosa di tribale e alto al tempo stesso, Javier Marias o Eduardo Galeano pronti per essere citati, e che non possono non notare come Kanye West e soci abbiano campionato la curva dell’Inter in ben due brani, e dopo averlo visto al Marassi, fortuna che non l’ha fatto col mio Genoa, avrei provato imbarazzo, la gente che canta in coro in assenza di artisti, proprio come ieri sera, quando per dire sono andati di scena, samplati, i Backstreet Boys. Backstreet Boys che, c’è da scommetterci una mano, nessuno dei presenti avrebbe mai cantato in altro contesto, figuriamoci, una boy band del cazzo, ma che lì, tanto più “rubati”, suonava bene, chiunque ha seguito l’evento in diretta sui social, cento o duecento euro salvi nel conto, ben lo sa, come chi era presente al Forum, in una esperienza che esperienza non è stata. Trollare. Si dice così quando si fa qualcosa che comprenda il prendere per il culo il proprio interlocutore, specie se l’interlocutore è una massa, spostando l’attenzione su se stessi, mentre il tema era altro, o comunque lasciando intendere qualcosa di diverso da quel che la realtà è. Ecco, l’impressione, che però non è impressione ma certezza, è che ieri al Forum, e oggi a Bologna, preparatevi, sia andata in scena una bella trollata. Due tizi, forse Kanye West e Ty Dolla Sign, che hanno ascoltato il loro Vultures vol 1 con un sacco di gente, ascoltato male, da un punto di vista tecnico, negandosi alla vista come all’ascolto, avatar senza neanche un minimo di risoluzione decente. Una trollata che è però anche la raffigurazione plastica di quel che è oggi il mercato, quindi a suo modo anche un colpo di genio, non sono spesso colpi di genio le trollate?, roba degna di un Malcolm McLaren, per intendersi, o di una Marina Abramovic. Una performance che consiste nel non performare, per far ascoltare musica che si poteva già ascoltare a casa, in ciabatte sul divano, al cospetto di artisti che potrebbero neanche essere loro, riconoscibili solo per quel loro celarsi alla vista (quando li abbiamo visti così allo stadio, col volto coperto per non farsi vedere, quindi rendendosi visibilissimi, non è quello che abbiamo pensato un po’ tutti?).
Nell’epoca della frammentarietà, della nebulizzazione della musica, altro che musica liquida, altro che Bauman, Kanye West e Ty Dolla Sign, o chi per loro, hanno cristallizzato lo stato dell’arte, niente più di fisico, di palpabile, volendo neanche di ascoltabile. Tutti i tanti che si lamentano di come i giovanissimi pensino che andare a vedere Tizio o Caio che rappano o cantano con l’aututune sulle loro canzoni incise, manco sulle basi, proprio sulle canzoni con su anche la voce, venti minuti e via, sia un concerto, ieri godevano di esserci, perché il punto in questi casi è esserci, non godere di uno spettacolo, come quando si va a questi megaeventi, penso a Modena Park, dove non si vede letteralmente un cazzo, di fronte a una performance che non c’era. Una performance d’arte contemporanea, quindi, attaccare una banana vera con lo scotch americano alla parete di una galleria, aspettando che marcisca, o mangiarsi la banana, dicendo che a sua volta è arte. Lo streaming ha negato la possibilità che la musica incisa, qualcosa che comunque ha una storia assai minima, se confrontata alla musica scritta e eseguita, non avesse più un supporto fisico, e di conseguenza l’ha privata del corpo. L’ascolto di un disco in pubblico, fatto male, e senza che l’artista abbia un ruolo altro che star lì a fomentare le folle, come i capi curva allo stadio, è la traslazione dello streaming sul live, nuova frontiera del nulla che sembra sarà il futuro della discografia, o un geniale atto di trollaggio. Siamo passati dal niente musica suonata, le macchine, Dio mio, le macchine, i robot incarnati dai Kraftwerk, il suonare i dischi dei dj, al niente musica eseguita, neanche il playback di Britney Spears, proprio l’ascolto di un disco, pagato a caro prezzo (anche se molti non hanno proprio pagato niente). Una messa, quindi, dove si accede per esserci, al cospetto di uno ritenuto impresentabile per le sue esternazioni e le sue idee, esternazioni che non avranno spazio, non ha il microfono, forse neanche c’è, un pazzo furioso cui si permette tutto, o che tutto pensa di potersi permettere, finché esiste un mercato che veicola la domanda e l’offerta, direi che ci sta. Del resto i quasi centomila che sono accorsi la scorsa estate a “sentire” Travis Scott cosa hanno fatto di diverso? Toh, qualcuno lui l’ha visto, ma non l’ha certo visto performare, almeno non da un punto di vista vocale, poveri pignoli che siamo. E c’è chi ancora rompe il cazzo con l’autotune, che sarebbe un trucco scorretto per far sembrare che si sappia cantare, poveri illusi. Ieri sera non c’era niente in tv, ma pioveva, e io abito dall’altra parte di Milano, rispetto al Forum, vallo a capire se sono stato in casa o mi sono messo a fomentare le folle al suono di “Everybody… yeah… yeah”. Vallo a sapere.