La ricerca sul campo fa sempre la differenza, ma pensare che si possa davvero essere al riparo da condizionamenti e pregiudizi rischia di rivelarsi un’illusione. Fabio Geda comunque ci prova e con Song of myself. Un viaggio nella varianza di genere (Feltrinelli, 2024) riesce, forse per la prima volta in Italia, a inquadrare il tema della devianza di genere a partire dalla vita reale, dalle esperienza. Il rischio di circolarità è editorialmente messo in evidenza proprio dal primo capitolo (magari scritto alla fine della ricerca?) in cui si dice quasi tutto ciò a cui dovrebbe portare leggere l’intero racconto: la cosiddetta ideologia gender è un feticcio creato dalla politica, mentre ciò che ci troviamo ad affrontare oggi con i discorsi di genere è una rivoluzione gentile, “la più importante rivoluzione culturale di questo millennio”, “una rivoluzione che cammina per le stesse strade dei movimenti per l’ambiente”. Si tratta di “una delicata transizione collettiva verso una certa idea di mondo: un mondo, per dirla con il filosofo Paul B. Preciado, che desidera affrancarsi dall’estetica patriarcale, coloniale e fossile”.
È interessante, perché nulla di tutto questo è frutto della ricerca sul campo, del racconto presso l’ambulatorio dell’ospedale infantile torinese Regina Margherita. È interessante notare questa ricostruzione ideologica della storia e del presente, che mira in qualche modo a indicare una direzione perseguibile dalle masse sbronze di presente. Il problema? Non sempre una ricostruzione ideologica è anche una ricostruzione logica. I termini utilizzati sono, però, un buon indicatore per chi dovrà leggere il saggio. Patriarcato, colonialismo, fossilizzazione, ambiente, rivoluzione culturale. Presi insieme dicono molto del tema, un tema emerso e spesso compreso, spiegato e raccontato dal punto di vista degli intersezionalisti, degli anticolonialisti, dei transfemminismi. Come si può comprendere un fenomeno se, in fondo, è solo una parte a essere assorbita come foriera di letteratura autorevole?
Purtroppo, dai casi della Gids e di altre cliniche fino al racconto di alcuni tra i più importanti intellettuali di oggi, come Douglas Murray (vedi La pazzia delle folle), il racconto non può mai essere solo un viaggio di scoperta, ma anche un viaggio di cautele metodologiche e culturali. E, per esempio, essere assorbiti dalle lusinghe progressiste della schwa, scegliere questo linguaggio, significa muoversi senza cautele in un mondo che andrebbe cambiato dov’è necessario cambiarlo. L’accortezza metodologica diventa anche un’accortezza estetica, una gentilezza: tutte quelle ‘ə’ hanno distrutto il flusso della lettura senza alcun reale motivo (si vedano i libri dei linguisti, non dei giornalisti). Fabio Geda ha fatto un grande lavoro, come tutti i grandi lavori è pieno di premesse sbagliate. Resta una testimonianza importante, necessaria in Italia per comprendere da vicino cosa sia la devianza di genere e perché sia importante accettare, capire, aiutare, sostenere. Comprensione che non può essere, però, l’omologazione di massa e l’eliminazione delle differenze di genere e sessuali (lo sport? Chiedetevi se sia giusto far gareggiare fisici maschili in competizioni femminili; guardate le statistiche).