Ho letto l’editoriale di Ernesto Galli Della Loggia dal titolo Il mito dell’inclusione nella scuola italiana, pubblicato sabato, ovviamente sul Corriere della Sera. Speravo, - forse quel vino dolce di Pantelleria con cui ho accompagnato il dolce fatto da mia moglie ha avuto la meglio su di me - che il pezzo indicasse come nella nostra scuola l’inclusione sia ancora più un’ambizione, che un dato di fatto. Ovviamente non era così.
Il pezzo che ha scritto, che prende le mosse dal libro di Giorgio Ragazzini Una scuola esigente, parte dicendo come la nostra scuola sia sulla carta perfettamente funzionante. Subito, però, tradisce la propria visione del mondo, in quel “e alla fine tutti sono promossi”, per altro poco suffragato dai fatti: siamo al quinto posto nell’Ue per numero di giovani che abbandonano gli studi, con una percentuale dell’11,5% contro il 9,6% di media europea, e come segnala l’Istat ciò accade già nel primo anno delle scuole superiori, che teoricamente sono ancora parte della scuola dell’obbligo (in realtà legato all’anagrafe, ma così previsto in assenza di bocciature precedenti), e circa l’8,5% degli studenti non supera l’anno a giugno, con un altro 18% che viene rimandato a settembre.
È in quel che arriva dopo che però, confesso, si trova quanto di peggio mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi. Galli Della Loggia, infatti, attacca a parlare di inclusività, dando un senso al titolo scelto per il suo editoriale. Il problema, secondo il nostro intellettuale col ciuffo, non è tanto che la scuola non sia abbastanza inclusiva, ma che lo sia decisamente troppo. Va quindi a spiegarci come nelle nostre aule ci siano, al fianco di studenti che lui chiama “i cosiddetti normali” (forse perché sa che quel che sta per dire è talmente aberrante da doversi celare dietro un lessico di facciata), a fianco di disabili anche gravi, lì coi proprio insegnanti di sostegno (di cui ovviamente sottolinea come nulla sappiano a riguardo). Ce ne sarebbe per rabbrividire.
Per Galli Della Loggia, quindi, i disabili dovrebbero starsene per conto loro, in aule pensate ad hoc, come fossero dei ghetti, per non intralciare il corso atletico e dritto di chi è “cosiddetto normale”. Strano che non abbia anche scritto un pezzo contro questa aberrazione degli scivoli che provano ad abbattere le barriere architettoniche tipo “questi handicappati di merda se ne potrebbero pure stare a casa loro, invece che infestare marciapiedi e luoghi pubblici, come le aule delle nostre scuole”. Insomma, roba da strabuzzare gli occhi fino a farseli uscire dalle orbite. Abbiamo davvero toccato il fondo, penso, invece Galli Della Loggia non è che all’inizio (e dire che è un piccolo editoriale, quindi di parole neanche ne può dire troppe) prosegue col dire che ci sono i ragazzi con Bes, Bisogni educativi speciali. Specifica, a beneficio di chi non sapesse di cosa si sta parlando, che sono i dislessici e disgrafici, aggiungendo, ovviamente, che oggi sono cresciuti a vista d’occhio, anche a causa dell’insistenza delle famiglie. Dice che questi sono quindi probabili portato di un Pdp, Piano Didattico Personalizzato. Ora, a parte che dislessici, disgrafici e discalculici non sono Bes, ma sono Dsa, cioè persone con Disturbi Specifici dell’Apprendimento, e che chi è Dsa non ha probabilmente un Pdp (lo ha invece sicuramente, esattamente come chi avendo meno diottrie, si troverebbe a indossare gli occhiali, non al fine di essere avvantaggiato, ma per vedere alla stregua di chi le diottrie le ha tutte, mentre chi è Bes, il Pdp in genere lo ha solo se il Consiglio di classe unanimemente ritiene che debba averlo, ma, non ne può per esempio usufruire in sede d’esame, si tratti di scuole secondarie di primo o secondo grado); a parte tutto questo, andrebbe segnalato al dottor Galli Della Loggia che per essere certificato Dsa, tocca passare dagli Uonpia, che sta per Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dove i bambini o i ragazzini passano al vaglio di neuropsichiatri e psicologi, logopedisti (in molte regioni da tutte e tre queste figure, in sequenza). Inoltre, qualora le Asl delle regioni non avessero abbastanza specialisti a disposizione, ci sono altri professionisti riconosciuti che svolgono lo stesso ruolo, esattamente come capita quando ci si rivolge al privato, per non dover aspettare anni prima che si liberi una determinata visita nel pubblico. Andrebbe quindi sottolineato che le famiglie non è che insistono perché avere un figlio con Dsa sia come trovare una corsia preferenziale. Anzi, al contrario, in genere ci si ritrova a dover pagare di tasca propria interi corsi con counselor o insegnanti privati, per accompagnare questi giovani verso un utilizzo corretto di metodi compensativi, che potrebbero essere un computer per chi è disgrafico. Un computer che, magari Galli Della Loggia non lo sa, le famiglie devono comprarsi di tasca propria, non certo per il gusto di insistere. Insistono perché la scuola italiana non è ancora abbastanza inclusiva, e a fronte di chi ha Dsa spesso deve rispondere con quel che passa il convento, cioè insegnanti non sufficientemente formati, a tratti con la medesima mentalità snob e antiquata di Galli Della Loggia.
Guardare ai Bes, ai Dsa e i disabili, come a un ostacolo per la preparazione dei “cosiddetti normali” - questo il non detto, suppongo - è una cosa che credo neanche Goebbels avrebbe pensato, e lui almeno non si fingeva altro da quel che era, cioè un nazista che portava chi non rientrava nei canoni della cosiddetta normalità nelle camere a gas, per eliminarlo. Galli Della Loggia non arriva a tanto, li vorrebbe semplicemente fuori dalle aule, o in altre aule, come, dice a inizio del suo editoriale, in tutto il resto del mondo. Tutto il resto del mondo che, parlando di Europa, è in realtà rappresentato solo da Svizzera e Belgio, dove gli alunni disabili gravi e con bisogni educativi speciali frequentano altre strutture rispetto ai cosiddetti, da Galli Della Loggia e dai suoi amici svizzeri e belgi, normali. La Germania e i Paesi Bassi praticano invece una formula mista, con scuole speciali a fianco di scuole inclusive. Questo è il resto del mondo.
Ovviamente le ventuno righe di editoriale di Galli Della Loggia non poteva fermarsi a discriminare su disabili, Bes e Dsa - per lui un’unica cosa, il tutto dopo aver rimpianto i bei tempi andati nei quali gli allievi venivano bocciati - così ecco, arrivare la chiosa, dedicata ai tanti stranieri che non spiccicano una parola di italiano (immagino in prevalenza negri, provo a interpretare le parole del nostro autore), rei di abbassare ulteriormente lo stato dell’arte delle scuole. Il finale tranchant “il risultato lo conosciamo” è quindi lì a monito futuro, signora mia.
Non specifica, Galli Della Loggia, che dovremmo fare di questi stranieri, ma immagino che li si potrebbe serenamente chiudere da qualche parte finché non dimostreranno di saper parlare un italiano sufficiente da tenere alto il livello dei nostri giovani compatrioti. Come possano mai fare, in effetti, mi sfugge, ma sarà appunto una mia tara personale (e fortuna che le scuole le ho ormai fatte, immagino rallentando il corso dei miei compagni di classe). Figuriamoci se mai al nostro sia venuto in mente che, invece che stigmatizzare chi a fatica prova a tenere i propri figli, disabili, Bes, Dsa, al passo con i cosiddetti normali, potrebbe essere il caso di cambiare un pochino il concetto alla base della nostra scuola, che sui “cosiddetti normali” e su una e una soltanto modalità per arrivare da A a B concepisce i piani didattici, come se arrivare da A a B facendo giri differenti non portasse alla medesima meta, e soprattutto come se parte dei piani formativi non sia anche la preparazione degli allievi alla vita sociale, che a occhio dovrebbe appunto includere il sapersi rapportare con chi non è esattamente identico a noi, sia mai che mi metta a parlare di inclusività. Strano che non abbia buttato lì pure la faccenda dei ricchioni, che lui avrebbe stucchevolmente incluso dentro l’acronimo Lgbt (la Q e il + no, non esageriamo), come un Vannacci qualsiasi, solo col ciuffo più pronunciato e la libreria piena dei libri di Arbasino, signora mia. Pennac, no, lui è dislessico e ambisce a una scuola senza voti. Pensa te ‘sti francesi, con quelle loro erre mosce un po’ ricchioni lo sono sempre sembrati. Il bello è che Galli Della Loggia parte da un libro, quello di Ragazzini, che ha al centro della sua attenzione la mancata applicazione del diritto allo studio di chi è meritevole, diritto sancito dalla costituzione che però non trova quasi mai riscontro; mentre lui, Galli Della Loggia, dall’alto della sua conclamata cultura, e dei suoi ottantuno anni, ambirebbe a una scuola priva di figure come disabili, Bes, Dsa o stranieri, che in qualche modo ostacolino il sano apprendimento dei normali, alla faccia del mito dell’inclusività nella scuola. Signora mia, non ci sono più i falsi miti di una volta.