image/svg+xml
  • Attualità
    • Politica
    • Esteri
    • Economia
    • Cronaca Nera
  • Lifestyle
    • Car
    • Motorcycle
    • Girls
    • Orologi
    • Turismo
    • Social
    • Food
  • Sport
  • MotoGp
  • Tennis
  • Formula 1
  • Calcio
  • Culture
    • Libri
    • Cinema
    • Documentari
    • Fotografia
    • Musica
    • Netflix
    • Serie tv
    • Televisione
  • Garlasco
  • Cover Story
  • Attualità
    • Attualità
    • Politica
    • Esteri
    • Economia
    • Cronaca Nera
  • Lifestyle
    • Lifestyle
    • Car
    • Motorcycle
    • girls
    • Orologi
    • Turismo
    • social
    • Food
  • Sport
  • motogp
  • tennis
  • Formula 1
  • calcio
  • Culture
    • Culture
    • Libri
    • Cinema
    • Documentari
    • Fotografia
    • Musica
    • Netflix
    • Serie tv
    • Televisione
  • Garlasco
  • Cover Story
  • Topic
Moto.it
Automoto.it
  • Chi siamo
  • Privacy

©2025 CRM S.r.l. P.Iva 11921100159

  1. Home
  2. Culture

L’intervista a Luca Franchini (voce della Wwe) su Hulk Hogan che smonta i tuttologi (e il Corriere): “Il suo nome ha influenzato Della Valle per le scarpe”. E chi ha goduto per la morte? “Disdicevole. Wrestlemania senza di lui…”

  • di Francesco Mazza Francesco Mazza

  • Foto: Ansa

27 luglio 2025

L’intervista a Luca Franchini (voce della Wwe) su Hulk Hogan che smonta i tuttologi (e il Corriere): “Il suo nome ha influenzato Della Valle per le scarpe”. E chi ha goduto per la morte? “Disdicevole. Wrestlemania senza di lui…”
Finalmente parla qualcuno che di wrestling che capisce. Abbiamo chiesto a Luca Franchini (voce della Wwe) un ricordo di Hulk Hogan a pochi giorni dalla sua morte: “Il suo nome ha influenzato Della Valle per le scarpe”. E sugli hater che hanno goduto per la sua scomparsa: “Disdicevole. Wrestlemania senza di lui non sarebbe esistita…”

Foto: Ansa

di Francesco Mazza Francesco Mazza

Succede sempre così. La stampa italiana di alcuni argomenti se ne frega, considerandoli roba per poveretti. Poi accade un fatto di cui si parla sui siti di tutto il mondo, ed ecco che escono decine di articoli scritti da giornalisti completamente ignoranti in materia, che si danno da fare di copia incolla da Wikipedia, riuscendo lo stesso a rimediare figure barbine. Con la morte del leggendario Hulk Hogan è accaduto lo stesso. Pezzi di addio scritti da gente che il wrestling non sa cosa sia, ovviamente redatti con il piglio degli espertoni, come se non si fossero occupati d’altro da sempre. Tra questi, ha spiccato Renato Franco, il quale sul Corriere della Sera ha vergato un coccodrillo in cui è riuscito a scrivere che Hogan ebbe “una carriera stellare, al culmine della quale fu scelto da Stallone per recitare in Rocky III”. Peccato che Rocky III è un film uscito negli Usa nel 1982, quando Terry Bollea (vero nome di Hulk Hogan) nemmeno era sotto contratto con la Wwf. Come lo stesso Bollea scrive nel suo libro, come ha ripetuto innumerevoli volte e come chiunque si sia interessato a lui sa perfettamente, è vero l’esatto contrario: Stallone scelse Bollea quando questi non era nessuno (aveva avuto un breve “stint” nella Wwf, allora Wwwf, come lottatore cattivo, nemico di Andre The Giant allora buono e volto principale della compagnia) e fu proprio grazie al ruolo di “Labbra Tonanti” interpretato in Rocky III che la sua carriera spiccò il volo. Tornò in Wwf alla fine dell’83 (oltre un anno dopo l’uscita del film) per poi diventare campione nel 1984 e lottare nel primo main event di Wrestlemania l’anno successivo. Non è questa l’unica castroneria dell’articolo di Franco, il quale riesce a scrivere che nei match di Hogan “non si è mai vista una goccia di sangue”, quando di sangue, nel wrestling e pure nei match di Hogan, se ne vede eccome, dato che – ancora una volta, come sa chiunque segua anche solo di sfuggita la disciplina – i wrestler sono soliti tagliarsi con piccole lamette proprio per indurre il sanguinamento (i cosiddetti “blade job”), pratica che Hulk eseguì innumerevoli volte. Quello che non si capisce – dunque - è come mai i principali quotidiani francesi, inglesi e tedeschi abbiano intervistato chi di wrestling se ne intende, a cominciare dai commentatori televisivi ufficiali; mentre da noi, nell’era dei podcast e del sapere iper-specifico, i giornalisti, soprattutto in via Solferino, si ostinino a improvvisarsi tuttologi, collezionando figure barbine, facendo un pessimo servizio ai propri lettori. Un quotidiano che scrive fake news su un fatto come la morte di Hogan, quale credibilità può avere su temi come la guerra in Ucraina o la strage in Palestina? Per raccontare davvero il ruolo di Hulk Hogan nella storia minima del wrestling e in quella massima della cultura popolare, intervistiamo allora Luca Franchini, 59 anni, voce ufficiale insieme a Michele Posa della Wwe (l’allora Wwf) nel nostro Paese da oltre 25 anni. Tanti anni fa, nel 2002, abbiamo fatto insieme un viaggio a Colonia per vedere la Wwe dal vivo, ai tempi in cui il wrestling, in Italia, lo seguivamo in venti.

Luca Franchini (a destra) e Michele Posa, voci della Wwe
Luca Franchini (a destra) e Michele Posa, voci della Wwe

Luca Franchini, sei uno dei pochi italiani che Hulk Hogan lo ha conosciuto dal vivo. Raccontaci come è andata.

Ho avuto occasione di vederlo nel nostro primo viaggio a Wrestlemania, nel 2015. Fu durante l’incontro con la stampa alle 6:30 del mattino, a San José. La prima impressione quando l’ho visto camminare, a 61 anni, era quella di una persona estremamente provata nel fisico, la schiena inarcata, il passo incerto. Dimostrava molti più anni di quelli che aveva. Eppure, emanava ancora un’aura di carisma, proprio come negli anni migliori.

Nel tuo libro racconti un altro episodio sempre legato ad Hulk Hogan che ha dell’incredibile.

Parliamo del 2007-2008. Ero con una mia amica a cena in un ristorante milanese elegante. A un certo punto, dal piano di sopra scendono Diego Della Valle, Gianna Nannini e il parrucchiere Rolando. La ragazza che era con me si alza in piedi per salutare Della Valle, ma lui la evita, e con uno scatto mi avvicina e fa “non ci credo, Luca Franchini, il telecronista del wrestling!”. E a quel punto mi racconta la vera storia delle scarpe Hogan. Nessuno lo sa, ma Diego Della Valle chiamò le scarpe Hogan proprio in onore di Hulk Hogan, perché rimase folgorato da una serata al Madison Square Garden in cui lo vide dal vivo, nei primi anni Ottanta.

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da 'Il Godzilla" Luca Franchini (@godzillalucafranchini)

Ecco perché bisognerebbe intervistare chi si intende di un argomento, invece di far parlare i tuttologi: sono storie come queste a essere interessanti per i lettori, e non certo i copia incolla fatti in fretta furia. Peccano che i lettori debbano rinunciarci per fare spazio ai CazzGpt della situazione. L’altro aspetto fondamentale è il fatto che Hogan, nella comunità degli appassionati di wrestling (milioni di persone in giro per il mondo: la Wwe ha fatturato 1,3 miliardi di dollari nel 2024) sia stato una figura divisiva, estremamente polarizzante. Altro che mito indiscusso: tanto per cominciare, per anni, è stato accusato di non essere all’altezza da un punto di vista tecnico.

20250727 121623671 5605
Hulk Hogan sul ring Ansa/JOHN G. MABANGLO

È vero che Hogan non sapeva lottare? O una certa parte degli appassionati, quelli normalmente definiti “smart” in seno alla comunità, sono stati con lui troppo ingenerosi?

La storia di Hogan incapace di lottare è una storia che si ripete ciclicamente nel wrestling quando qualcuno diventa il numero uno. È accaduto lo stesso con John Cena, o con Roman Reigns e prima ancora con The Rock. Certo, ci sono stati wrestling molto più tecnici, ma il Daniel Bryan della situazione non entrerà mai nel cosiddetto monte Rushmore del wrestling: parliamo di uno spettacolo dove la qualità tecnica conta, ma conta fino a un certo punto, ci sono altre componenti che fanno la differenza. Parlando di wrestler a tutto tondo, Hogan è stato sicuramente tra i più grandi e sì, una certa parte di pubblico è stata sicuramente ingenerosa verso di lui.

 

Talmente ingenerosa che sul finire del 2024, quando Hogan fece quella che sarebbe stata la sua ultima apparizione in WWE, in occasione dello sbarco della federazione su Netflix, venne accolto da una bordata di fischi, talmente forti da coprire la sua voce. “Li però” – continua Franchini – “c’entra anche il suo essersi schierato politicamente. L’endorsement a Trump dell’estate scorsa ha avuto i suoi effetti. Molti siti americani specializzati fanno parte di gruppi editoriali schierati politicamente dalla parte opposta, e questo ha contribuito a creare attorno alla figura di Hulk Hogan molto hype negativo”. Un hype che, peraltro, è stato alimentato, circa un decennio fa, dalla stessa Wwe. Nel 2015 venne pubblicato un video in cui Terry Bollea, a casa sua, mezzo ubriaco e con in mano una canna, senza sapere di essere ripreso, si lasciava andare a una battuta razzista sul fidanzato di sua figlia. Apriti cielo: la mannaia della cancel culture lo fece a fette. I piani per un suo ultimo match vennero annullati, lui stesso fu estromesso dalla programmazione Wwe, e giù di damnatio memoriae in stile Kevin Spacey o Louis Ck, con la sua effige bannata da tutti i siti ufficiali.

 

Anche qui, non si è un po’ esagerato?

Ho letto commenti sul web, anche da parte di fan italiani, tipo “meno male che è morto, un razzista di meno”. Davanti alla morte certe cose dovrebbero passare in secondo piano, per quanto l’episodio fosse stato molto disdicevole.

Hulk Hogan
Hulk Hogan e il sostegno a Trump Ansa/SHAWN THEW

Un altro degli aspetti che non hanno giovato alla reputazione di Hogan è stata la sua notoria indisponibilità a concedere il “job”, che nel gergo del wrestling significa la sua indisponibilità a perdere. Alla faccia di Franco, che non si è fatto mancare nemmeno l’abusato ritornello del wrestling come spettacolino finto (lo vada a spiegare al wrestler Tyson Kidd, che nel 2015, a causa di un “muscle buster” di Samoa Joe, si ruppe la spina dorsale, sfiorando la morte e passando anni sulla sedia a rotelle) la verità è che la disciplina segue meccanismi assai più complicati. Altro che finto: l’allenamento è vero, il sacrificio è vero, e con esso il rischio associato a certe manovre. Piuttosto, il wrestling è, a tutti gli effetti, una soap opera: vittorie e sconfitte sono predeterminate, ovvero decise in base agli effetti drammatici che i writer (che sono gli stessi che lavorano per soap opera e serie tv vere e proprie) intendono creare, cercando di massimizzare l’effetto spettacolare, ovvero l’interesse che le storie sono in grado di suscitare nel pubblico. Per restare a Hogan, esistono decine di tesi di laurea e dottorati di ricerca, pubblicati in Università americane di prestigio che analizzano il fenomeno del’Nwo, la fazione fondata dallo stesso Hogan nel 1996 nella federazione Wcw, prendendo il tutto molto sul serio, arrivando a sostenere che la resurrezione della serialità americana derivi proprio da lì, dall’enorme successo ottenuto dal wrestling negli Usa alla fine degli anni Novanta (quando ai tempi della “Monday Night War” oltre 20 milioni di americani guardavano wrestling), che sdoganò il ruolo del “cool villain”, il personaggio cattivo ma supportato dal pubblico. Hollywood Hogan, ma anche Shawn Michaels o Stone Cold Steve Austin come base per Tony Soprano e Walter White, insomma. Ma tornando al wrestling, il problema è che, pur essendo predeterminato, alcuni lottatori vivono ugualmente malissimo la sconfitta, e si rifiutano di perdere. Sui mancati job di Hogan si è scritto di tutto, a cominciare da quando nel 1993 rifiutò, con un contratto per la federazione rivale già in tasca (la Wcw di Ted Turner) di perdere contro Bret Hart, l’uomo indicato dalla Wwe per raccoglierne l’eredità in un più che legittimo passaggio di testimone.

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da 'Il Godzilla" Luca Franchini (@godzillalucafranchini)

Tu sei il più grande fan di Bret Hart che ho mai conosciuto. Pensi che aver rifiutato il job contro di lui (e contro decine di altri emergenti) abbia inficiato la grandezza di Hulk Hogan?

Sicuramente la sua fissazione è sempre stata il controllo creativo. Bret Hart nel suo libro lo racconta chiaramente, doveva esserci il passaggio di consegna a Summerslam ma Hogan si rifiutò, causando un danno enorme a tutta la compagnia. Però questo non credo abbia inficiato la sua eredità, è un po’ come quando Maradona fu squalificato per doping nel 1994: secondo te quell’episodio ha influenzato la percezione che oggi abbiamo di Maradona? Hogan sta al wrestling come Maradona al calcio o Jordan al basket o Senna alla Formula 1. Si sa che i grandi hanno fatto, a volte, anche delle porcate dal punto di vista sportivo, ma la vera leggenda va oltre ogni controversia.

Quale è la vera importanza di Hogan nella storia del wrestling? Perché in Italia è popolarissimo dal momento che chi scrive oggi sui giornali è rimasto fermo a Dan Peterson, mentre negli Usa – ribadiamo - la sua figura, pur di eccezionale grandezza, è stata oggi posta in chiaro scuro.

Senza Hogan non avremmo mai avuto Wrestlemania, quindi non avremmo mai avuto la connessione con Mtv e tutto quello che ha fatto partire, a livello planetario, un business che oggi vale miliardi di dollari. Basta pensare che nel 1987, la firma del contratto per il match tra Hogan e Andre The Giant fece 33 milioni di audience sulla tv in chiaro (il canale Nbc). Si dice spesso che Steve Austin sia stato il più grande “draw” nella storia del wrestling (ovvero il wrestler con la maggiore capacità di attrarre denaro): ma quei numeri non li ha mai fatti nessuno. Poi è anche vero che Hogan si è trovato al posto giusto nel momento giusto: non c’era ancora la realtà divisa in bolle che c’è oggi, lo zeitgeist era molto meno frammentato. Lui era il volto di uno spettacolo che si impose nella cultura pop mondiale.

Ma nel tuo monte Rushmore personale, Hogan c’è o no?

La chiave del wrestling è l’immedesimazione nel personaggio, io in Hogan non mi sono mai immedesimato, avevo altri personaggi di riferimento. Ma il monte Rushmore è una cosa personale, ognuno ha il suo, il mio per dire è composto da The Rock, Stone Cold, The Undertaker, Bret Hart. Un conto sono i propri miti un altro la storia oggettiva della disciplina.

https://mowmag.com/?nl=1

More

IL ROMANZO DI (DE)FORMAZIONE IN UN RING. Perché Hulk Hogan ha segnato la nostra infanzia e la nostra adolescenza: tra Dan Peterson, Harley Davidson e propaganda, è morto il mito dell’America inventata attraverso il tubo catodico

di Matteo Cassol Matteo Cassol

Whatcha gonna do, brother?

IL ROMANZO DI (DE)FORMAZIONE IN UN RING. Perché Hulk Hogan ha segnato la nostra infanzia e la nostra adolescenza: tra Dan Peterson, Harley Davidson e propaganda, è morto il mito dell’America inventata attraverso il tubo catodico

Hulk Hogan è morto e anche il wrestling non si sente tanto bene

di Redazione MOW Redazione MOW

Ultim'ora

Hulk Hogan è morto e anche il wrestling non si sente tanto bene

Mr. McMahon? Violenza, The Rock e Hulk Hogan, Wrestlemania e “Simply business”: su Netflix ecco la storia senza morale del boss della Wwe. E sul processo in corso per molestie sessuali…

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

Eredità fragili

Mr. McMahon? Violenza, The Rock e Hulk Hogan, Wrestlemania e “Simply business”: su Netflix ecco la storia senza morale del boss della Wwe. E sul processo in corso per molestie sessuali…

Tag

  • coccodrillo
  • Corriere della Sera
  • Sport
  • wrestling

Top Stories

  • Abbiamo letto “L’anniversario” di Andrea Bajani (Feltrinelli): ma com’è? Un romanzo che ti fa venire voglia di distruggere il Premio Strega e rifondarlo. Ma davvero sono questi i libri che vogliamo premiare?

    di Flaminia Colella

    Abbiamo letto “L’anniversario” di Andrea Bajani (Feltrinelli): ma com’è? Un romanzo che ti fa venire voglia di distruggere il Premio Strega e rifondarlo. Ma davvero sono questi i libri che vogliamo premiare?
  • Abbiamo visto il film La città proibita (ora su Netflix), ma com’è? Grazie a Dio, in Italia abbiamo Gabriele Mainetti. Ecco perché dovreste recuperarlo: per ricordarvi quanto può essere bello il nostro cinema

    di Ilaria Ferretti

    Abbiamo visto il film La città proibita (ora su Netflix), ma com’è? Grazie a Dio, in Italia abbiamo Gabriele Mainetti. Ecco perché dovreste recuperarlo: per ricordarvi quanto può essere bello il nostro cinema
  • NO VASCO, IO NON CI CASCO! Ultimo batte il record di biglietti venduti a un concerto? Ma i numeri nel pop non cancellano la storia del rock. La differenza tra Tor Vergata e Modena Park spiegato da chi c'era (sul palco)

    di Clara Moroni

    NO VASCO, IO NON CI CASCO! Ultimo batte il record di biglietti venduti a un concerto? Ma i numeri nel pop non cancellano la storia del rock. La differenza tra Tor Vergata e Modena Park spiegato da chi c'era (sul palco)
  • Abbiamo visto Untamed su Netflix, la nuova serie con Eric Bana, ma com'è? Un thriller onesto e solido, anche se...

    di Irene Natali

    Abbiamo visto Untamed su Netflix, la nuova serie con Eric Bana, ma com'è? Un thriller onesto e solido, anche se...
  • Siamo stati al concerto di Ultimo allo Stadio Olimpico a Roma, ma com'è andata? È STATO BELLO DAVVERO: altro che finti sold out e cambi d’abito. Niccolò solo con la sua musica si è portato dietro sessantamila storie che gli assomigliano. E sull’annuncio…

    di Giulia Ciriaci

    Siamo stati al concerto di Ultimo allo Stadio Olimpico a Roma, ma com'è andata? È STATO BELLO DAVVERO: altro che finti sold out e cambi d’abito. Niccolò solo con la sua musica si è portato dietro sessantamila storie che gli assomigliano. E sull’annuncio…
  • COMUNISTI! Rete 4 meno di destra (e Mario Giordano si incazza)? Mentre Rai 3 prende Cerno, Pier Silvio Berlusconi imbarca Tommaso Labate dopo Bianca Berlinguer. Perché? Ha bisogno di più spettatori e gli servono quelli di sinistra...

    di Irene Natali

    COMUNISTI! Rete 4 meno di destra (e Mario Giordano si incazza)? Mentre Rai 3 prende Cerno, Pier Silvio Berlusconi imbarca Tommaso Labate dopo Bianca Berlinguer. Perché? Ha bisogno di più spettatori e gli servono quelli di sinistra...

di Francesco Mazza Francesco Mazza

Foto:

Ansa

Se sei arrivato fin qui
seguici su

  • Facebook
  • Twitter
  • Instagram
  • Newsletter
  • Instagram
  • Se hai critiche suggerimenti lamentele da fare scrivi al direttore moreno.pisto@mowmag.com

Next

Siamo stati al concerto degli Afterhours, ma com'è andata? La verità è che Manuel Agnelli può scatarrare ancora su qualsiasi cosa voglia, soprattutto sulla musica di m*rda

di Irene Natali

Siamo stati al concerto degli Afterhours, ma com'è andata? La verità è che Manuel Agnelli può scatarrare ancora su qualsiasi cosa voglia, soprattutto sulla musica di m*rda
Next Next

Siamo stati al concerto degli Afterhours, ma com'è andata? La...

  • Attualità
  • Lifestyle
  • Formula 1
  • MotoGP
  • Sport
  • Culture
  • Tech
  • Fashion

©2025 CRM S.r.l. P.Iva 11921100159 - Reg. Trib. di Milano n.89 in data 20/04/2021

  • Privacy