Un mastodonte farcito di nomi, luoghi, titoli, testimonianze per fare luce sul mistero Woody Allen. Chi è Woody Allen? La domanda è semplice e paradossale allo stesso tempo. Una vexata quaestio che, lungo quasi mille pagine di biografia non autorizzata, Patrick McGilligan, scrittore e storico, pone varie volte. Cambiando le parole, cambiando la prospettiva. Ma la domanda rimane sempre la stessa: chi ca**o è davvero Woody Allen? Perché, a quanto pare, non sono bastati una cinquantina di film, vari libri, gli spettacoli di stand-up comedy e, già che ci siamo, anche un clarinetto suonato maluccio, per afferrare l’essenza di Allan Stewart Konigsberg, da poco novantenne e quest’anno celebrato da varie pubblicazioni, tra le quali anche l’ottimo “Tutto Woody Allen” di Enrico Giacovelli.
SE IL PRIVATO É PUBBLICO, L’ARTE COME SI PESA?
“Da una parte, Allen consolidava la sua immagine di uomo qualunque, timido, vigliacco e sfortunato in amore; dall’altra, proprio la sicurezza di sé su cui era costruito questo personaggio gli garantiva, fuori dal palco, una vita completamente opposta. La fama gli portò ricchezza e donne”. Boh, forse che questo tema – che percorre parte dell’enorme sforzo di McGilligan – non sia, in fondo, un tema molto “dei nostri giorni”? Così avanzati e così arretrati? Avanzati perché oggi di una star possiamo sapere quasi tutto, analizzare al millimetro anche fotogrammi di pellicole dimenticate. Arretrati perché ci ritroviamo stranamente affamati di verità assolute che nessuna arte si è mai sognata di consegnarci ben sigillate. La chiave – per giudicare, e tanto, a quanto pare – si chiama Soon-yi Previn. È lei che ha cambiato la storia pubblica e artistica di Woody Allen. Lei, che per un attimo – ma solo un attimo – si è pensato potesse cambiare soprattutto la vita privata di Allen. Dopo due mogli (Harlene Rosen e Louise Lasser) e un’unione simil-matrimoniale (Mia Farrow), arriva lei, da poco maggiorenne. È il gennaio del 1990 e qualcosa sta per cambiare per sempre nella vita del cineasta statunitense. Due anni e quel cambiamento avviene: nel 1992, lo scandalo. Un uomo maturo, da tempo in carriera, sta con una “poco più che ragazzina”, peraltro figlia adottiva della donna con cui l’uomo di cui sopra condivideva il letto da anni. Da “Allen ha confessato di essersi innamorato della figlia adottiva di Mia Farrow” ad “Allen ha violentato la sua figlia ritardata e minorenne” (cit. Mia Farrow) il passaggio è stato molto breve. Così, sull’onda della furiosa battaglia “Farrow contro Allen” cresce, lentamente ma inesorabilmente, in una porzione di osservatori e di opinione pubblica, la convinzione che l’opera alleniana, dissezionata da McGilligan con ostinata precisione – soprattutto dal punto di vista strategico (il modo in cui Allen ha più o meno meticolosamente strutturato/pianificato la propria ascesa) –, non sia più sufficiente a sé stessa e per sé stessa, ma che Allen debba essere artisticamente pesato soprattutto in virtù di ciò che ha combinato (o non combinato) sotto le lenzuola. I tempi cambiano rapidamente, Allen nell’arco di una decina d’anni si ritrova sotto il naso i cannoni Woke (del #MeToo ne accenneremo più tardi) di chi ha sempre e solo impugnato la versione (mai penalmente confermata) di Mia Farrow. Così Allen viene letto e riletto non tanto – old-school style – attraverso quei patologici eccessi di intellettualismo settantiano che ispiravano minuziose analisi su tutto (dalla pubblicità del Dixan in avanti), bensì alla social, ossia passando per quel neomoralismo da tribunale del popolo digitale secondo cui pubblico e privato non possono esimersi dall’abbracciarsi, fino a soffocare, nel nome di una suprema e folle coerenza.
Eh, Woody, tu che in “Ridere per ridere” di John Landis, in mezzo a un gruppo di energumeni black, hai urlato “ne*riiii!”, prova a ribadirlo, oggi, che “un comico finisce sempre per offendere qualcuno”. Provaci, Sam, se ne sei capace. Provaci, ora che il privato ricostruito da McGilligan (chi ama il gossip alto avrà di che godere nella seconda parte del volume, ma non attendetevi bombe inedite) è diventato, per alcuni, l’unico vero metro di valutazione artistica della tua opera. Eppure Allen ha iniziato presto ad attirare su di sé impressioni e giudizi relativi al suo vero sé. Lui, innamorato del cinema europeo, che riteneva “Quarto potere” uno dei pochi film che potesse reggere il confronto con Fellini, Bergman o Lang, incassò queste parole da Orson Welles: “Quasi non riesco a parlargli. Ha la malattia di Chaplin. Quella particolare combinazione di arroganza e timidezza mi irrita enormemente. […] Si finge timido, ma non lo è. È spaventato. Si odia e si ama, una situazione molto tesa”.
LE DONNE, MUSE O VITTIME?
Ce ne sono tante di donne, in questo libro. Tante compagne, tanti flirt, tante comparse. Poche muse. Perché per quanto il supposto autobiografismo (parecchio, a dire il vero) di molto cinema alleniano abbia spesso autorizzato a fare due più due e ad azzeccarci (“Mariti e mogli” esce, non a caso, durante la crisi con Mia Farrow), è altrettanto vero che un’unica donna – con cui peraltro Allen ha intrattenuto una storia sentimentale piuttosto breve – lo ha profondamente ispirato a livello artistico: Diane Keaton. Bella, occasionalmente verbosa, intellettuale ma non troppo, pesante e leggera insieme. E bulimica, tratto che Keaton provò a tenere nascosto mentre era sul set e si abbuffava mica male per poi vomitare tutto. Chi sono quindi le donne di Allen? Spesso – Soon-yi a parte – sono giovani e un po’ ingenue, in stle Evan Rachel Wood in “Basta che funzioni”. Quando si inca**ano – Mia Farrow – straripano e provano a farlo pentire di ciò che in sostanza è sempre stato, un donnaiolo troppo inebriato di sé per dire no davanti a due gambe aperte. Di donne Allen ne ha deluse parecchie, ma spesso l’addio fra le parti è stato amichevole. Semmai è stata la sua conclamata fama ad aver avvelenato le penne biografare di tante figure (anche marginali) che negli anni ci hanno tenuto a raccontare che uomo fosse Woody Allen. “Secondo alcuni critici cinematografici, Allen rappresentava il prototipo della mascolinità hollywoodiana moderna e meno idealizzata, in contrapposizione, per esempio a un duro come Clint Eastwood”. Di questo, Woody Allen, ne era terribilmente consapevole. Tanto da utilizzare spesso questa dimensione come uno scaltro scacchista.
CHI E’ WOODY ALLEN?
McGilligan, mai evasivo, non cade nel tranello di tirare le somme definitive. Di certo non cade neppure in certi bluff artistici attraverso cui Allen, per anni, ha cucinato il proprio pubblico. Non crede che Allen sia parte di un ipotetico “club dei perdenti in amore”. Ma non crede neppure che tutte le accuse e le ripicche di Mia Farrow meritino di oscurare la stand-up, i libri, il teatro, i film, le battute. Perché nelle mille pagine vergate da McGilligan tutto questo non è il limo che si deposita ai lati del fiume, bensì l’acqua. Torbida, a tratti, ma forte di uno scorrere che pare eterno. Viviamo in un’epoca in cui Woody Allen sembra con noi da sempre, i suoi esordi ormai immersi in un passato nebbioso e quasi arcano. Allen è una sorta di archetipo vivente. Raramente autore di film perfetti, quasi sempre autore di film solo e solamente “suoi”, ha inciso varie lettere nelle generose pietre hollywoodiane. L’idealizzato jazz anni ’20-’30, l’Europa come rifugio di libertà espressiva, New York come nido caldo, il cinema come urgenza ordinatrice del caos. L’arte, alla fine, si eleva e mostra la propria testa. Perché le molestie alla figlioletta adottiva Dylan mai verranno provate nonostante i video girati da Mia Farrow, mentre “Io e Annie”, “Manhattan”, “Il dittatore dello stato libero di Bananas”, “Provaci ancora, Sam”, “Harry a pezzi”, “Misterioso omicidio a Manhattan”, “Zelig”, “Broadway Danny Rose” e altri ancora sono lì a ricordarci il genio che Woody Allen ha impresso su pellicola.
Ma prima di tornare a oggi, un ultimo balzo all'indietro. Di quasi dieci anni. Nel 2017, nella pancia calda dello showbiz americano, accade qualcosa di epocale: il caso Harvey Weinstein e il #MeToo. Inutile soffermarsi sulla questione, se leggete MOW o comunque non vivete in un deserto sapete di cosa parliamo. Ebbene, protagonista di quelle accuse che hanno fatto crollare una porzione di Hollywood è stato anche Ronan Farrow, figlio biologico di Mia Farrow e stimato giornalista investigativo. Quella tempesta – oggi si parla di un #MeToo italiano con protagonista Alfonso Signorini – travolse indirettamente anche Woody Allen. Tutto tornò a galla, in primis quell’accusa mai penalmente provata delle molestie alla figlia Dylan (Ronan Farrow, ovviamente, a riguardo, ha sempre sostenuto appieno la causa materna). Tuttavia, crediamo che neppure le recenti foto di Woody Allen in compagnia di Jerry Epstein, il finanziere arrestato e condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minori, e morto suicida in carcere nel 2019, potrà aggiungere granché sul già enorme file intitolato “Ecco chi è Woody Allen”.