Punti di riferimento non si nasce, ovviamente. Si diventa. A patto che qualcuno, negli anni, continui a riconoscerti un ruolo decisivo, una funzione importante. Fred Ventura, in qualche modo, si nasce e si diventa. Dalla Milano punk-wave del 1979 a oggi, passando per uno snodo cruciale: la Italo disco. “Ma con Italoconnection, insieme a Paolo Gozzetti, non porto in giro una nostalgia fine a sé stessa”, specifica Fred. Folgorato da “Blue Monday” dei New Order, Ventura, dopo decenni a produrre sé stesso e altri, ci ha parlato di progetti, music biz e, inevitabilmente, di quel profumo Italo che sempre aleggia nell’aria.

Tante persone si tengono ancora stretta la tua compilation del 2006, “Relix”. Era una parata di brani Italo disco che coniugava scelte popolari, le hit, e scelte abbastanza oscure…
Allora non c'erano ancora i presupposti per un revival, era ancora un po’ presto. Però quella selezione è stata forse un’antesignana, ha fatto sì che venissero divulgate quelle che erano le tracce più cult, quelle di un certo livello.
Iniziamo dalla fine. Dove si trova oggi, artisticamente, Fred Ventura?
Porto avanti il progetto Italoconnection, insieme a Paolo Gozzetti, con cui faccio e produco remix. Produciamo altri artisti, ma facciamo anche i nostri album, i nostri singoli. E siamo ormai attivi, insieme, da 15 anni. Poi continuo come Fred Ventura, anche se sporadicamente perché non mi rimane molto tempo da dedicare a me stesso. Infine ci sono le compilation relative alla scena post-punk italiana degli anni ’80 che curo per l’etichetta fiorentina Spittle Records.
Qual è lo spirito di Italoconnection?
L'idea era quella di aggiornare il sound Italo dei primissimi anni ’80. Declinarlo in chiave moderna, contemporanea. Non un progetto nostalgico, bensì un progetto con le radici piantate in quegli anni, ma ispirato dalla volontà di rendere il tutto fresco, attuale. Utilizzando anche le nuove tecnologie. Italoconnection è un contenitore di modernità e suoni vintage. L’obiettivo è sempre stato quello di fare dei dischi che pescano soprattutto nella cultura della musica pop elettronica europea. Quindi non solo Italo, ma anche synth-pop inglese, francese, tedesco.
Come ti spieghi la lunga vita di un genere che, quando esplose, soprattutto nei primi anni, fu bollato come una moda più che fugace? Invece ora abbiamo perso il conto dei revival e l’interesse “globale” verso la Italo disco non accenna a diminuire.
È un discorso che vale per tanti generi. Il punk, esploso fra il 1976 e il ’77, sarebbe dovuto durare un amen, invece ci sono ancora band di quell’epoca che vanno in tour. Sex Pistols, Damned… La musica house doveva durare sei mesi ed è qui da quarant’anni. La Italo disco ha avuto un grande picco di popolarità, ma poi è crollata sulle ceneri di quella che era un’imprenditorialità italiana un po’ sfigata. Un fenomeno gestito da discografici indipendenti che, una volta scoperta la gallina dalle uova d’oro, l’hanno spremuto e sfruttato fino all’inverosimile. A un certo punto è crollato tutto, ma la musica è rimasta. Le varie correnti della Italo sono rimaste. Quella più commerciale funziona ancora parecchio nel Nord-Europa e nell’Est europeo, ma ci sono dj giovani, fra Amsterdam, Rotterdam, Berlino e Londra – diciamo alternativi –, che stanno riscoprendo i pezzi più trascurati. Una lunga onda di ritorno che è partita circa 25 anni fa. Mi trovavo in Olanda e capii che qualcosa si stava muovendo. Nei locali mi capitava di imbattermi in versioni dub di determinati brani che mai mi sarei sognato di riascoltare, soprattutto all’estero. Brani che negli anni ’80 non finivano al Festivalbar, per capirci.

Ecco, pensi che uno come Roberto Zanetti, meglio conosciuto col brand Savage, avrebbe meritato maggiore popolarità?
Beh, ritengo che Roberto abbia avuto grande visibilità. È tuttora stra-popolare in tutto l’Est-Europa, durante la sua carriera ha snocciolato varie hit e da pochissimo la Warner ha acquistato il suo catalogo. È stato anche il produttore di Alexia, quindi se l’è passata bene anche negli anni ’90. Lui ha incarnato la vena malinconica della Italo, ricordo ancora gli accendini accesi nei teatri durante “Don’t cry tonight”.
Un pezzo storico, che conquistò anche i Pet Shop Boys.
Una ventina d'anni fa li ho incontrati nel backstage di un loro concerto milanese. Gli portai una copia di “Relix” e mi dissero che a metà anni ’80 si trovavano a New York, quando un bel giorno entrarono in un barettino dove sentirono “Don’t cry tonight” di Savage. Il giorno dopo girarono tutti i negozi della città per trovare quel pezzo. Ne rimasero stregati. Del resto la Italo fa parte delle loro (tante) influenze. Mi piace pensare che ci sia un pizzico di Italo in “West End girls”, che ritengo uno dei capolavori assoluti della musica dance-pop mondiale.
Viriamo invece sui personaggi della Italo. Il nostro Gianmarco Aimi qualche giorno fa ha intervistato, presumiamo per l’ultima volta, Den Harrow. Oggi Stefano Zandri è Stefano Zandri e basta. Punto. Un’intervista in cui ha parlato di alcune ingiustizie patite, della questione mai del tutto chiusa con Tom Hooker…
Preferisco non addentrarmi in certe aree. Quella è una saga che mi annoia e che interessa soprattutto ai personaggi coinvolti. Sono anni che si va avanti con certe polemiche. Io quel periodo l’ho vissuto, ed era abbastanza normale pubblicare dischi e trovare poi chi ci mettesse la faccia. Non faccio nomi, non mi interessa farli perché comunque ognuno fa il suo. Ho condiviso il palco con gente che nei dischi non ci aveva mai cantato. Si è trattato di un fenomeno che è andato ben oltre la Italo, ha riguardato tutto il pop, vedi Milli Vanilli. Un fenomeno, con tante polemiche annesse, che mi convinse a prendere le distanze dall’ambiente.
E oggi?
Oggi il fake è di moda e di conseguenza va bene tutto. Siamo pronti ad accettare l'arrivo di artisti che non esistono, creati con l'intelligenza artificiale. Siamo pronti a tutto. Non ho, come si dice, una contromisura da proporre. Perché comunque abbiamo accettato tante innovazioni tecnologiche di cui tutti abbiamo goduto, vedi gli anni ’70 con i sintetizzatori. Poi sono arrivate le batterie elettroniche, i campionatori, fino alla AI. C’è chi ne farà buon uso. Chi invece ne farà un pessimo uso. Starà a noi decidere se farci prendere in giro o meno.
Si torna sempre inevitabilmente all’essere umano, alla fine.
Sì sì, assolutamente. Siamo liberi di essere fan di un artista che non esiste o di un artista che è solo un'immagine. Nel caso di certi pezzi Italo credo che questi siano diventati famosi anche grazie ai volti che fingevano di cantarli. La musica, senza quella immagine, non avrebbe avuto lo stesso appeal.
Rimanendo in un territorio confinante, ti chiedo, visto che sei anche dj: cosa pensi dei set pre-regstrati? Qualche anno fa Deadmau5 aveva acceso la polemica. Una polemica che, a fasi, torna e scatena lunghe diatribe su Reddit. David Guetta, a tal proposito, è una delle figure più discusse…
Io sono soprattutto un selezionatore. Non mi ritengo un vero e proprio dj. Oggi è troppo facile fare il dj o spacciarsi per tale. Come dj ero limitato, non perché non sapessi mettere la musica, ma perché non ero abbastanza concentrato su quello che era il valore della pista da ballo. Io sono uno che mette solo la musica che ama, di conseguenza non sono disposto ad assecondare troppo le esigenze del pubblico. Detto questo, credo che i set pre-registrati siano spesso utilizzati quando si suona ai festival, quando non c'è il tempo per fare un soundcheck. Se col tuo aereo privato atterri giusto mezz’ora prima di salire sul palco, allora ti conviene inserire una chiavetta con un set pre-registrato, anche perché tanto i centomila euro per un'ora di set te li danno ugualmente. Quello che conta è il nome di chi sale sul palco e la musica che mette. Che la stia mixando in quel momento o sia pre-registrata conta poco. Io credo che, eticamente parlando, andare in giro con un set pre-registrato non sia proprio una gran bella cosa. Qualcosa devi dare. Quando faccio un mixtape lavoro ore e ore per scegliere le tracce. Perché comunque voglio offrire un prodotto che può rappresentarmi e nello stesso tempo possa piacere alla gente. Quindi faccio ricerca, tutti i giorni cerco di vedere cosa mi succede attorno in termini di nuove produzioni. Ma nel momento in cui sei una star e c'è chi ti fornisce le tracce facendo il lavoro di selezione al posto tuo, ecco che tu, star, non sei più un dj, bensì soprattutto un personaggio pubblico.
Cosa tiene viva, oggi, la Italo disco?
Le riscoperte di cui ti dicevo prima, ma anche i mega-raduni che fanno in Veneto, ad esempio. O questa sorta di post-Festivalbar itinerante in cui trovi Sabrina Salerno, Tracy Spencer, Scotch, Gazebo, Righeira. Sono canzoni che conoscono anche i muri, e gli artisti giustamente vanno avanti a proporle perché un pubblico c’è eccome. Nei paesi dell’Est, per dire, il fenomeno è ancora diverso. Vogliono assolutamente vedere questi personaggi perché all’epoca in cui esplodevano non avevano avuto modo di viverli. Nelle discoteche europee, infine, da Parigi a Manchester, l’Italo è semplicemente musica da ballo, considerata di livello quanto l'house di Chicago.
