Amanda Gorman rappresenta l’esatto opposto di tutto ciò che la poesia ha rappresentato nei secoli e quindi è, in effetti, la candidata ideale a Presidente dell’ex Stato più importante del mondo, attualmente ancora il più demente e violento, gli Stati Uniti d'America. L’osceno si palesa già dalla determinazione di far quadrare l’ennesimo cerchio: il candore e l’isolamento della poesia, delicatissimo e periglioso esercizio di scandaglio della propria interiorità, per sua natura sempre lontana dal potere e dai suoi fasti, perennemente in imbarazzo quando si deve presentare, come accade ad esempio in occasione dei Nobel, al cospetto, appunto, del potere. La poesia è radicale diversità, ed anarchia anche quando, e raramente, si è rappresentata “di regime”.

Si veda da noi quanto stava Gabriele D’Annunzio sui coglioni a Benito Mussolini, che lo relegò al suo cimitero Museo con tanto di badante-escort. E il collo sempre troppo stretto dei poco avvezzi al papillon Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo, goffissimi ad inchinarsi di fronte al Re. In America i poeti, orfani di una tradizione classica che non hanno proprio perché cafona oasi di derelitti lì rifugiati alla ricerca di terre e ricchezze da conquistare, da Walt Whitman in poi non hanno potuto fare altro che crearsi una poesia di protesta, di antagonismo radicale, da Dylan Thomas a Lou Reed, da Gregory Corso a Bob Dylan. Ed ora ecco la vamp (di colore, quindi “inclusiva”) a vomitare in salsa di unica e falsificata “utopia di trasgressione” quell’incubo woke che ebbe un senso (tutt’altro senso, prima che marcisse in norma e non più trasgressione) sulla viva pelle dell’anglosfera in David Bowie e nel dimenticato Delmore Schwarz, e che oggi è cascame marcio di un’ideologizzazione militarizzata della rivolta. Le sue poesie sono già manifesti elettorali.

Certo, poeti drogati da ideologie di potere ce ne sono sempre stati. Ma hanno sempre fallito. Erano, tutti, utopisti o esuli: esule fu Dante, esule fu Foscolo e “vate” di una rivoluzione che tutto era che d’amore Majakovskij. La signora Gorman è una sorta di mostruosa Paris Hilton versificatrice. Affondi con le sue multinazionali psicotiche, e i partiti che le rappresentano come in un quadro di Bosch. O di Munch. O, per venire alla più gretta attualità nostra, Saturno Buttò.
