Se sei un uomo eterosessuale (o una donna lesbica, o una qualunque persona attratta dalle donne), sappi che gli autori di Monster ti hanno dato dell'Ed Gein. Sì, il tizio che su Netflix dissotterra cadaveri di donne, ammazza donne vive, le squarta e le scuoia, forse le penetra da morte, di sicuro ne ricava maschere e corpetti di pelle con tanto di seni da indossare e con cui specchiarsi con lussuria. Perché? Perché stando ai dialoghi dello show (e all'intervista “ufficiale” ai creatori Ryan Murphy e Ian Brennan), il mostro del Wisconsin che ha ispirato Psycho, Non aprite quella porta, Il silenzio degli innocenti e molto altro (e molti altri) era un “ginefilo”. Cioè? Uno attratto dalle donne. Come miliardi di altri esseri vivi attualmente su questa Terra. Cos'è successo? Che gli autori hanno sbagliato parola, volevano probabilmente usare “autoginefilo”, definizione data per indicare chi si eccita immaginandosi o vestendosi come una donna. Una parafilia, cioè una di quelle situazioni che non rientrano nell'interesse sessuale "standard". Anche se una parafilia, che di per sé non viene vista come una patologia (lo diventa quando è un disturbo parafiliaco, ossia sostanzialmente quando finisce per danneggiare sé stessi o gli altri), non implica che uno debba diventare per forza Ed Gein. Tutto a posto, quindi? No, perché, se chiamare “ginefilo” un serial killer non fa incazzare nessuno (offendere gli uomini eterosessuali è permesso, anzi ormai promosso), “autoginefilo” fa incazzare gli attivisti trans o lgbt eccetera. E pensare che Murphy e Brennan avevano inserito quella distinzione tra trans e (auto)ginefilo proprio per non incorrere in accuse di transfobia...

Il “caso lessicale” deflagra nella settima puntata della serie, mentre Ed Gein si immagina di tramite una radio (che in realtà non è collegata a nulla) con Christine Jorgensen (la prima donna nota per aver subito un'operazione di riassegnazione sessuale negli Usa), che nel montaggio mantiene la propria voce ma si alterna alla figura di un dottore, probabilmente l'unico a parlare realmente con Ed. Dopo che Gein le ha detto frasi come “ho un serpente nei calzoni, e mi sento come se fosse disconnesso da me” e “forse ho cominciato a sentire la necessità di liberarmene, come se n’è liberata lei”, il personaggio ibrido Jorgensen/medico risponde: “Di rado una persona transessuale perpetra violenza, signor Gein, mi creda, di solito noi siamo le vittime di violenza. Non credo che in fonda lei sia una donna, Ed, non credo che voglia nemmeno diventarlo. Lei è quello che si definisce un ginefilo, erotizza a tal punto il corpo femminile che desidera indossarlo, sì, trovarsi al suo interno. Questa non è un'identità, ma una sessualizzazione. È un atto violento, è il modo più aggressivo di violare la femminilità, perché nell'approccio tradizionale è stato inibito da una madre oppressiva”. Quella specifica (non trans, ma ginefilo, intendendo però autoginefilo), assieme all’avvertenza didascalica che chi è trans di solito è vittima e quasi mai violento, per scollegare l’automatismo nell'immaginario dell'equivalenza cinematografica tra transgender (o più frequentemente uomo con parrucca travestito da donna, come Buffalo Bill o Leatherface) e serial killer, ma come prevedibile quando si tratta di questi temi le critiche anche feroci sono arrivate comunque, perché in quest'epoca non si è mai abbastanza puri, non si è mai abbastanza politicamente corretti, mai abbastanza conformi. Perché ci sono temi avventurandosi nei quali, nell’era della suscettibilità e del woke, non si può uscire indenni, nonostante le buone intenzioni. E così, per esempio, è arrivato l’attacco di Mey Rude su Out.
“In Monster – si legge su Out – Jorgensen dice a Gein che lui è un “ginefilo”, cioè qualcuno attratto dalle donne. Tuttavia, la serie fa chiaramente riferimento all’autoginefilia, una parafilia – ovvero una fantasia sessuale atipica e persistente – in cui una persona è eccitata dall’idea di essere una donna o di avere un corpo femminile. In altre parole, Monster sostiene che Ed Gein non fosse transgender, ma semplicemente un travestito o crossdresser con un feticismo per i corpi femminili. […] Che il vero Gein fosse o meno un travestito o fosse affascinato da Jorgensen è materia di dibattito. In ogni caso, etichettarlo come “ginefilo”, termine che Brennan e Murphy hanno confuso con “autoginefilo”, potrebbe avere gravi conseguenze”. Il problema sarebbe la teoria dell’autoginefilia dello psicologo Ray Blanchard: “Essa propone che esistano due tipi di donne trans: le donne trans eterosessuali, che fanno la transizione perché trovano troppo difficile la vita da omosessuali, e le altre che fanno la transizione a causa di un “impulso sessuale eterosessuale deviato” e di una parafilia che le eccita all’idea di essere una donna. […] In un’intervista con Tudum, Brennan (co-creatore di altri progetti di Murphy come Scream Queens e Hollywood) afferma che la scena era “necessaria” affinché la serie potesse tracciare una linea di distinzione tra donne trans e autoginefili. «Era davvero importante per noi fare quella distinzione, dire: ‘Guardate, sono due cose molto diverse’», dice. «Ed è stato fantastico poterlo far dire a Christine Jorgensen. Sentirselo dire da lei, nella mente di Gein, è stato un momento davvero potente». Ciò che Brennan sembra ignorare è che non sono psicologi e medici a definire i transessuali (un altro termine, spesso più clinico, per persone transgender) e gli autoginefili come due categorie separate, anche le Terf (femministe radicali trans-escludenti) e i transfobi lo fanno. Infatti, l’autoginefilia è diventata uno dei principali argomenti usati dagli attivisti anti-trans, i quali sostengono che le donne trans – e in particolare quelle attratte da altre donne – siano deviate sessuali e mentalmente malate”.

Insomma, Murphy e Brennan – che hanno costruito il proprio impero estetico sulla diversità glamourizzata, dalle cheerleader obese alle drag queen messianiche – volevano separare l’identità transessuale dal mostro, ma sono finiti accusati di alleanza con i mostri del pensiero. E allora, forse, era meglio tacere. Perché il mostro, oggi, non è più chi squarta: è chi sbaglia parola.