Esiste una leggenda metropolitana, come tutte le leggende metropolitane autoalimentata, che vuole che io passi il tempo a parlar male di Laura Pausini. Qualcuno, in genere ascrivibile alla bolla dei fan della medesima, arriva a sostenere che parlar male della Pausini sia il mio core business, che, in sostanza, io mangi procacciando il pane a me e alla mia famiglia proprio criticando ferocemente la medesima. Nei fatti, carta canta e i numeri contano, mi occupo molto raramente della Pausini, questo anche perché, arrivato a una certa età (io, non lei) posso permettermi il lusso di scegliere di cosa occuparmi, e senza pistola puntata alla tempia tendo a non occuparmi degli artisti e delle artiste di cui non ho particolar stima. Certo, parte del mio lavoro va inteso come l’abbattimento degli ecomostri, quindi ci sta che io ogni tanto ne indichi qualcuno, e la musica della Pausini rientra a pieno titolo nella categoria, pur avendo negli ultimi anni occupato sempre più una posizione di seconda, anche di terza fila, si veda come si sta sbattendo come una ossessa tra ospitae il più variegate possibile pur di non far annegare la sua discutibile Ciao in mezzo alle altrettanto discutibili canzoncine che girano ora.
Quindi, sfatiamo un mito, mi occupo di rado della Pausini, il fatto che la cosa venga percepita diversamente è più che altro dovuta alla veemenza con cui lo faccio, e quindi all’efficacia con cui i miei rari pezzi fanno centro, e non ultimo al fatto che lei puntualmente si incazza, un tempo rispondendomi direttamente sui social, oggi immagino delegando ai suoi fan, il compito di rispondermi, lei mi ha bloccato. Detto questo, mi tocca parlare della Pausini, e non per smontare quella scatoletta acciaccata di Ciao, canzone che evidentemente è un suo disperato tentativo di dirsi contemporanea (quando capirà che lei è resterà sempre quella di La solitudine forse, pacificata con se stessa, comincerà a fare come altri suoi colleghi, cioè smetterà di fare inutili dischi nuovi, inutili per noi, ma soprattutto per lei, e passerà a fare il corrispettivo italiano delle residenze a Las Vegas, ogni anno un tour in cui rifà sempre le medesime canzoni), ma perché tra le varie trovate per far parlare di sé, quindi avere spazi sui magazine e nelle radio e tv per parlare dei suoi prossimi concerti, c’è questa idea rivoluzionaria di farsi aprire da giovani artisti emergenti. Lo so, è una idea che hanno già praticato in tanti, tantissimi, ma l’anima del commercio è vendere, e vendere una cosa anche usurata ma spacciandola per nuova, a volte funziona. Il punto, però, non è tanto che l’idea sia già stata usata, l’autocandidatura o la scelta nel mazzo da parte della medesima è a sua volta leggenda cui crede, immagino, solo chi davvero pensa che nella notte del 6 gennaio arriva la Befana a lasciare dolci o carbone, quanto piuttosto chi la Pausini ha scelto per questa specialissima occasione.
I nomi selezionati sono otto, come otto le città che ospiteranno le date: 13 novembre a Eboli, Ste, 15 e 16 novembre a Bari, Leonardo Lamacchia, 18 e 19 novembre a Roma, Guera, alias Valeria Mancini, 21 novembre a Livorno, Erio, il 23 novembre a Pesaro, Federico Baroni, il 27 e 28 novembre a Milano, Niveo, il 30 novembre a Torino, Fellow e infine il 28, 29 e 30 dicembre a Messina, Nico Arezzo. Nomi già conosciuti, alcuni, penso a Nico Arezzo, validissimo, o all’Erio di X Factor di qualche tempo fa, nomi che si stanno muovendo bene nel pop, come Niveo, nomi che in realtà atterrebbero più al mondo degli influencer, tipo Guera, ma ormai la musica va così. Otto giovani, si fa per dire, Erio di anni ne ha trentotto, Lamacchia trenta, tanto per dare qualche numero, che apriranno per la nostra popstar più famosa all’estero, così si usa dire in questo caso specifico. Una donna con la cazzimma, anche questo si dice in genere, arrivata dalla provincia e capace di conquistare il mondo. Esempio perfetto di woman empowerment, dai. Che però nello scegliere chi aprirà ai suoi concerti si è dimenticato di essere donna, e ha chiamato praticamente sei uomini e due sole donne. Ora, uno ha il sacrosanto diritto di chiamare chi vuole a aprire ai suoi concerti, e ci mancherebbe pure altro. I concerti sono suoi, e seppur ci stia sfrangendo le palle con questa idea superinnovativa, la ruota in pratica, ci sta che faccia le sue scelte secondo i suoi gusti, ma è possibile che tra le tante possibilità ci fosse solo due donne, una che per di più non è neanche una che nella vita fa la cantante, ma l’influencer? Ora, qualcuno dirà che sono prevenuto, che parlo perché il mio core business è parlar male della Pausini. Lo pensi pure, se crede, ma io almeno quattro artiste in grado di tenere quel palco prima di lei gliele saprei dire senza neanche doverci pensare.